Le tensioni su Profumo e i compromessi bancari dei leghisti

Viaggio nell'appeasement tra Lega e fondazioni a partire da Cariverona

Michele Arnese

I propositi incendiari di aprile scorso, quando la Lega conquistò Veneto e Piemonte manifestando sulle fondazioni bancarie chiari appetiti ribaltonisti rispetto al vecchio potere quasi tutto democristiano-ulivista sembrano mutarsi in un più pragmatico appeasement. In Cariverona, ieri il sindaco leghista Flavio Tosi ha rinnovato la fiducia al presidente Paolo Biasi nonostante i rinvii a giudizio per la bancarotta di società abruzzesi che riguardano la famiglia e non la Cassa, primo socio italiano di Unicredit.

    I propositi incendiari di aprile scorso, quando la Lega conquistò Veneto e Piemonte manifestando sulle fondazioni bancarie chiari appetiti ribaltonisti rispetto al vecchio potere quasi tutto democristiano-ulivista sembrano mutarsi in un più pragmatico appeasement. In Cariverona, ieri il sindaco leghista Flavio Tosi ha rinnovato la fiducia al presidente Paolo Biasi – ma non è stato ancora deciso se confermarlo o meno – nonostante i rinvii a giudizio per la bancarotta di società abruzzesi che riguardano la famiglia e non la Cassa, primo socio italiano di Unicredit. Nella banca guidata dall'ad, Alessandro Profumo, le tensioni non mancano. Tra Banca centrale libica e il fondo sovrano Lia, Tripoli è divenuto di fatto il primo singolo azionista, mentre Banca d'Italia e Consob continuano a chiedere chiarimenti, e va avanti anche la diligence interna del presidente Dieter Rampl, nei giorni scorsi polemico con Profumo. Di “scalata bella e buona” ha parlato ieri Luca Zaia, governatore leghista del Veneto: “I libici vanno contingentati o perlomeno vogliamo capire se il loro è un semplice investimento, come dicono, oppure no. La banca è figlia dei territori e vogliamo che tale rimanga, con Cariverona primo azionista”. Una posizione condivisa anche dal suo collega di partito, Tosi, che però con Biasi ha trovato una mediazione per entrambi fruttifera: la Lega, con il rinnovo avvenuto ieri di 25 dei 32 componenti del consiglio di gestione della Cassa, ha portato a casa una larga presenza (almeno sei i nomi vicini ai leghisti, di cui due di stretta osservanza tosiana), che dovrebbe riflettersi anche nel nuovo consiglio d'amministrazione, l'organo che più direttamente influisce sulla partecipazione in Unicredit. Tra Zaia e Tosi c'è sempre stata una certa dialettica, anche politica. Così come il pensiero critico di Zaia verso gli “autocrati che da decenni sgovernano le fondazioni” non trova consonanze con l'agire di Roberto Cota. Il governatore della regione Piemonte, in attesa del riconteggio delle schede, usa toni lievi con la fondazione San Paolo, prima azionista di Intesa, e in particolare con il presidente Angelo Benessia. Cota si è tenuto fuori dalle diatribe interne all'Ulivo e al Pd torinese che hanno visto l'asse Benessia-Sergio Chiamparino fallire nel tentativo di imporre Domenico Siniscalco alla presidenza del consiglio di gestione di Intesa.

    A non meravigliarsi di questo nuovo corso leghista è il saggista Giancarlo Galli, autore della “Giungla degli gnomi” (Garzanti): “La Lega di lotta, divenuta di governo, non può non dover trovare mediazione e compromessi con gli uomini esperti degli enti creditizi”, dice al Foglio. Una trasformazione che per Galli non è opportunistica – trovare accordi con i poteri locali – ma ineluttabile: “Anche perché il movimento di Bossi non aveva uomini propri di riferimento nel settore”. L'evoluzione bancaria del Carroccio si rintraccia anche in Lombardia. Giuseppe Guzzetti, pluridecennale presidente della Cariplo, di recente ha avallato l'ingresso di due leghisti nel vertice della fondazione lombarda e ha stabilito buoni rapporti con il vero cervello finanziario (e non solo) della Lega, Giancarlo Giorgetti, che viene accreditato alla corrente moderata del Carroccio, assieme a Cota. Zaia sembra per ora prendere atto che l'appeasement rende più dell'arma bianca. E ha mantenuto un bersaglio minore, il quasi ventennale presidente della fondazione Cassamarca di Treviso, Dino De Poli, ex sinistra dc, che però influisce in Unicredit per solo lo 0,8 per cento. L'asse veneto-tedesco per spodestare Profumo al momento non trova sponde unanimi. Anche perché secondo fonti attendibili lo stesso Profumo ha spiegato direttamente a Silvio Berlusconi, ad Arcore, che la presenza libica nella prima banca italiana non sarebbe aggressiva ma “stabilizzatrice” o addirittura “di sistema”. Un po' come la Lafico ai tempi della Fiat. Opinione già sottoscritta dal presidente delle Generali, Cesare Geronzi, e sulla quale starebbe riflettendo Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e uomo forte della fondazione Crt, che sulla questione ha assunto una posizione interlocutoria rispetto a Profumo.

    Abituato a vedersela direttamente con Giulio Tremonti, neppure Palenzona disdegna sintonie con la Lega (e viceversa): il segretario generale della Crt, Angelo Miglietta, uomo ritenuto vicino a Palenzona, è un tecnico in buoni rapporti con Giorgetti e Cota. Chi invece dà una lettura istituzionale della parabola leghista è Antonio Miglio, vicepresidente dell'Acri, che riunisce fondazioni e casse di risparmio: “La legge, gli statuti degli enti e le sentenze della Corte costituzionale – dice al Foglio – conferiscono alle fondazioni un'equilibrata rappresentanza, pubblica e privata, del territorio. Gli enti sono quindi soggetti terzi rispetto alle amministrazioni locali e non fanno politica”. Come dire: non possiamo non andare d'accordo con chi dice di volere solo il bene delle comunità.