Il commento di Francesco Forte
Perché una fronda in stile Tea Party servirebbe anche al Pdl
Uno dei termometri che funziona meglio per capire se un movimento o un leader politico sono o no validi secondo la gente comune, e perciò destinati al successo, è ciò che ne scrive il Financial Times. E ai Tea Party e ai suoi leader il Financial Times riserva un trattamento peggiore di quello finora dedicato a Silvio Berlusconi. Se ne desume che i Tea Party hanno un grande avvenire.
Uno dei termometri che funziona meglio per capire se un movimento o un leader politico sono o no validi secondo la gente comune, e perciò destinati al successo, è ciò che ne scrive il Financial Times. E ai Tea Party e ai suoi leader il Financial Times riserva un trattamento peggiore di quello finora dedicato a Silvio Berlusconi. Se ne desume che i Tea Party hanno un grande avvenire. La tesi per cui il movimento anti tasse, portando alla candidatura al Senato di repubblicani ultra conservatori, contribuirà a far vincere candidati democratici pericolanti – sostenuta appunto dal Financial Times e dal New York Times – ha qualche grano di verità nell'immediato. Ma trascura il fatto che una quota importante di elettori delusi, che non andavano a votare per i repubblicani in quanto troppo simili ai democratici, d'ora in poi potrebbero farlo. E negli Stati Uniti la percentuale di votanti non supera il 60 per cento degli aventi diritto. I Tea Party esercitano un effetto rilevante di medio e lungo termine nella pubblica opinione, da anni inondata da luoghi comuni etici ed economici lassisti. Fra questi luoghi comuni campeggiano quelli di Keynes e dei keynesiani, di cui i Tea Party sono l'antitesi.
Non sono un simpatizzante dei Tea Party, ma devo dire che gli eredi di Keynes questa reazione “se la sono cercata”. Il programma del nuovo movimento si basa su meno tasse e meno spese, ma anche su maggiore responsabilità individuale e in genere sulle “virtù vittoriane” che hanno caratterizzato l'etica sociale dell'Ottocento e del primo Novecento angloamericano. Keynes ha criticato l'etica e la scienza economica “tradizionale” con frasi come questa: “Morale, politica, letteratura e religione dell'epoca convergevano in una ‘grande congiura' per sollecitare il risparmio. Dio e Mammona si riconciliavano. Pace in terra agli uomini di buone proprietà. Il ricco poteva finalmente entrare nel regno dei cieli, purché risparmiasse”. E poi ancora: “Un atto di risparmio individuale significa, per così dire, una decisione di saltare il pranzo di oggi; ma non richiede necessariamente una decisione di pranzare o di comperare un paio di scarpe fra una settimana o fra un mese”.
L'etica della responsabilità dei Tea Party comporta invece che la base dell'economia sia costituita dalla parsimonia e dall'efficienza, e quindi dal lavoro e dal risparmio, che la moneta deve essere stabile e il bilancio in pareggio per tutelare il risparmio, che il big government non è la soluzione giusta, ma anche che la famiglia è la base della società, che l'aborto non è lecito, che è insensato il matrimonio fra persone dello stesso sesso, ed altri principi che si collegano alla concezione della “right nation”, fra i quali il patriottismo e che gli altri immigrati regolari debbono meritarsi l'integrazione e quelli clandestini vanno espulsi.
Sono, come si nota, i valori di una destra vera, che in economia comportano la libertà economica e il mercato. Ma l'idea che il Tea Party sia soltanto il partito delle basse imposte è doppiamente errato. Sia perché esse derivano da basse spese, dato il dogma del bilancio in pareggio, sia perché lo small government di questa concezione è un postulato etico. Nel nostro paese evidentemente la Lega nord non si identifica con questo modello, perché anche se non ama lo stato grosso, ama il governo locale importante e paterno e non è patriottica. Gianfranco Fini avrebbe potuto costituire un movimento di questa natura, ma ha preferito raccogliere consensi e simpatie a sinistra. Tuttavia all'interno del Popolo della libertà sarebbe sommamente utile una “fronda” con la grinta di una Sarah Palin, anche perché pure presso di noi ci sono troppi che “se la sono cercata”.
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