Houellebecq, lucidissimo e disturbato (auto)ritratto tra i miti di plastica

Marina Valensise

Anche Silvio Berlusconi compare nell'ultimo romanzo di Michel Houellebecq (“La carte et le territoire”, Flammarion, 430 pagine, 22 euro, esce martedì 29 da Bompiani, con il titolo “La mappa e il territorio”), il più disturbato e controverso scrittore contemporaneo. Viene evocato a causa del sorriso commerciale di Jeff Koons, artista star già sposo della diva del porno ed ex deputata radicale Cicciolina.

    Anche Silvio Berlusconi compare nell'ultimo romanzo di Michel Houellebecq (“La carte et le territoire”, Flammarion, 430 pagine, 22 euro, esce martedì 29 da Bompiani, con il titolo “La mappa e il territorio”), il più disturbato e controverso scrittore contemporaneo. Viene evocato a causa del sorriso commerciale di Jeff Koons, artista star già sposo della diva del porno ed ex deputata radicale Cicciolina. Condivide il privilegio romanzesco con altre personalità come Steve Jobs e Bill Gates, immortalati in un quadro di Jed Martin, l'ex fotografo di cartine Michelin assurto suo malgrado, e in via del tutto casuale, all'empireo del mercato dell'arte. Con loro ci sono l'industriale mecenate bretone François Pinault, Roman Abramovic, il genio libano-messicano delle tlc Carlos Slim, tutti a caccia di lucrosi investimenti. Ci sono le star del piccolo schermo, come Jean-Pierre Pernaut, anchorman familiare che guida alla riscossa la Francia profonda e scrittori di grido come Philippe Sollers e Frédéric Beigbeder, coicanomane professo e frequentatore di night, che invece ha un ruolo chiave, e persino autori dimenticati come Jean-Louis Curtis, “un innamorato dell'Italia, pienamente cosciente della crudeltà dello sguardo latino sul mondo”. Anche Teresa Cremisi, che nella vita è l'editrice di Houellebecq, compare nel romanzo: “Col quel fisico da orientale, sarebbe potuta essere una di quelle prefiche che ancora di recente partecipano ai lutti sul Mediterraneo”, tant'è che piange al funerale dello scrittore, decapitato nella sua casa di campagna.

    Houellebecq, infatti, non si è soltanto divertito a prendere i tratti del gracile Jed Martin, figlio taciturno di un ricco architetto depresso e di una violinista ebrea suicida, il quale cade, sempre per caso, fra le lenzuola di una splendida russa, addetta alla comunicazione della Michelin, che dopo aver avviato con lui un sodalizio fruttuoso lo pianta in asso per inseguire l'ambizione di carriera a Mosca. Al suo alter ego, ha aggiunto anche se stesso, trasformando “il famoso scrittore Michel Houellebecq”, misantropo a tendenza autistica, in uno snodo del romanzo e facendolo entrare in scena coi suoi tic, la sua afasia da alcolizzato, il prato incolto per paura di infilare una mano nel tagliaerba, il pigiama a righe, i tramonti insopportabili dell'estate irlandese e l'abitudine di infilarsi a letto alle sette con un libro e una bottiglia di vino per dimenticarli.

    Il libro, però, offre molto di più della disgraziata “mise en abîme” di un narcisista autoreferenziale e solipsista. E' un ritratto dal vivo, palpitante di ironia feroce alla Flaubert, dell'idiozia del mondo in cui viviamo: una fantasmagoria dei nostri miti di plastica – grandi artisti, grandi star, grandi fortune che s'accostano miseramente alla truffa – e dei più triviali riti d'oggi – le star del piccolo schermo, l'auto come status symbol, il consenso ineluttabile ai diktat del marketing e al format universale dei consumi, che il romanziere insegue con una fedeltà ossessiva alle istruzioni per l'uso di apparecchi fotografici, stampanti, hotel de charme, località turistiche e automobili varie che solo i poveri di spirito, o gli invidiosi come Tahar Ben Jelloun, possono assimilare al plagio.

    “Anche noi siamo dei prodotti… dei prodotti culturali. Anche noi verremo colpiti da obsolescenza” dice a un certo punto Houellebecq al suo alter ego Jed Martin, dopo essere scoppiato in lacrime al solo pensiero che il giubbotto Camel Legend, le scarpe Paraboot, la stampante Canon Libris sono scomparsi per il diktat dei responsabili di produzione. “L'unica differenza è che nel nostro caso non c'è miglioramento tecnico o funzionale evidente, ma l'esigenza di novità allo stato puro”. Con la stessa strafottenza, il narratore Houellebecq parla di economia (scienza inutile e pretenziosa), di Picasso (orrendo pittore) della morte il cui valore di mercato è superiore a quello del sesso o del piacere (il che spiega il successo dei teschi coi brillanti di Damien Hirst), della fugacità dell'amore e anche dell'eutanasia (regresso della civiltà), che stigmatizza facendo prendere a schiaffi da Jed la svizzera di “Dignitas” che ha incenerito il padre. “Voglio rendere conto del mondo”, dice a un certo punto il vecchio pittore, rimasto così solo da parlare allo scaldabagno. Houellebecq, senza per niente aderire alla vita, c'è riuscito benissimo in quello che molti considerano già il suo romanzo migliore.