Qualcuno, e non a Bankitalia, fa la guerra a Gotti Tedeschi
Giù dal Torrione
Quando Benedetto XVI ha portato il banchiere Ettore Gotti Tedeschi alla guida dello Ior, il forziere vaticano chiamato un tempo “Ad pias causas”, la parola d'ordine fu una: voltare pagina. Superare anni di scandali e misteri: dal passaggio nel Torrione di Niccolò V, sede dell'istituto bancario vaticano, della maxitangente Enimont fino ai conti correnti anonimi, aperti con pseudonimi e nomi in codice.
Quando Benedetto XVI ha portato il banchiere Ettore Gotti Tedeschi alla guida dello Ior, il forziere vaticano chiamato un tempo “Ad pias causas”, la parola d'ordine fu una: voltare pagina. Superare anni di scandali e misteri: dal passaggio nel Torrione di Niccolò V, sede dell'istituto bancario vaticano, della maxitangente Enimont fino ai conti correnti anonimi, aperti con pseudonimi e nomi in codice. Dal 23 settembre 2009, giorno della sua nomina, Gotti Tedeschi – amico dell'Opus Dei ma “ri-convertito” da un cattolicesimo superficiale a un'adesione fervente dal fondatore di Alleanza cattolica Giovanni Cantoni, da sempre battitore libero da ogni appartenenza associativa – questo si è messo a fare, forte dell'appoggio del cardinale Tarcisio Bertone: pulizia. Tanto che chi ha potuto avvicinarlo in queste ore dice sia risoluto nella volontà di incontrare al più presto gli uomini della procura romana e con loro giustificare ogni transazione effettuata, in uscita e in entrata, dallo Ior: tra l'altro “le due operazioni ‘bloccate' sono normali operazioni di tesoreria dello Ior per se stesso. Erano operazioni nostre, dirette, nessun terzo coinvolto”, ha dichiarato Gotti Tedeschi.
Allora cosa è successo? Perché l'azione di Gotti Tedeschi, per altro ancora in itinere, di restituire alla banca del Papa un'immagine virtuosa, di scrollare di dosso all'istituto l'ombra incombente di Paul Marcinkus, si è trasformata in poche ore nel suo contrario? Propositi troppo grandi per mura non avvezze a chi ambisce a ideali importanti? La risposta non è semplice anche perché, nel caso specifico dei due bonifici non andati in porto, tutto può essere spiegato col semplice fatto che il Credito artigiano, la banca incaricata dell'operazione, aveva già avvisato lo Ior che occorreva informare prima via Nazionale. Eppure non tutto torna. E oltre il Tevere c'è chi si domanda: se una certa superficialità nella gestione dei due bonifici bancari può anche esserci stata, meno chiaro è perché, in poche ore, Gotti Tedeschi sia divenuto un reprobo, quasi un corpo da espellere. Un articolo uscito ieri in prima pagina sull'Osservatore Romano sembra dire che per il Vaticano tutto sarebbe nato dentro Banca d'Italia.
Ricorda l'Osservatore che tutto è cominciato da una “comunicazione dell'Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d'Italia”. Questa “ha segnalato all'autorità giudiziaria una possibile violazione delle norme antiriciclaggio, eppure dall'inizio di quest'anno, gli organi della Banca d'Italia e dello Ior operano in stretto collegamento”. Ma la sintonia, ribadita ancora in queste ore, tra i vertici di via Nazionale e i vertici dello Ior, tra Gotti Tedeschi, Mario Draghi e il direttore generale Fabrizio Saccomanni lascia pensare che Bankitalia abbia semplicemente fatto il proprio lavoro, senza voler ledere nessuno. E allora? Allora non è in Banca d'Italia che i dirigenti dello Ior vanno cercando il proprio nemico. L'ipotesi è un'altra. Oltre il Tevere viene soltanto sussurrata, ma con insistenza. E poi, si sa, nei Sacri Palazzi funziona così. L'eco fa presto a raggiungere nuove stanze, per poi tornare da dove era venuta e ancora ripartire, un movimento perpetuo che a volte non trova pace.
L'ipotesi è quella di un gioco d'ostruzione interno, dell'esistenza insomma di una sorta di resistenza al cambiamento. Gotti Tedeschi, senz'altro, è un oggetto dirompente rispetto alle abitudini passate, rispetto alla vecchia curia romana di Karol Wojtyla. E per questo non è da tutti gradito. E' un “esterno atipico”. Non aveva mai messo piede allo Ior prima della nomina, né se n'era mai occupato. In Vaticano però era già da qualche tempo di casa. Bertone l'aveva chiamato in aiuto due anni prima per raddrizzare la gestione finanziaria del governatorato, i cui bilanci erano in rosso per più di 15 milioni di euro. La cura di Gotti Tedeschi pare avesse funzionato. Ma prevedeva anche diversi allontanamenti. Monsignori in odore di promozione per nunziature di primo piano vennero spediti in diocesi di second'ordine. L'avvento di Gotti Tedeschi scompigliò anche antiche abitudini consolidatesi proprio dentro lo Ior. Al nuovo presidente venne chiesta “più trasparenza” rispetto alla gestione precedente, quella di Angelo Caloia. Un paragone non gradito da tutti entro le sacre mura. Poi altre abitudini da scardinare: quelle che impedirono al segretario di Wojtyla, don Stanislaw Dziwisz, di intervenire contro uno Ior occulto che operava alle spalle del Papa per finanziare interessi mai chiariti. Nomi che ancora oggi lavorano negli uffici vaticani, forse non del tutto in favore del Papa e dei suoi uomini di fiducia.
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