Chavez vince ma non ha la maggioranza decisiva

Lavatrice o tette nuove? Così a Caracas si comprano le elezioni

Maurizio Stefanini

Elettrodomestici o tette nuove? Erano i due temi più dibattuti nel finale della campagna elettorale venezuelana che, per i record negativi raggiunti da violenza, recessione e inflazione, vedeva il presidente Hugo Chávez al più basso livello di popolarità da lui mai raggiunto dal grande sciopero del 2002-2003. Alle elezioni legislative di ieri il Partido socialista Unido de Venezuela (Psuv) guidato dal presidente Hugo Chavez ha battuto l'opposizione della Mesa de unidad democratica (Mud).

    Alle elezioni legislative ieri in Venezuela il Partido socialista Unido de Venezuela (Psuv) guidato dal presidente Hugo Chavez ha battuto l'opposizione della Mesa de unidad democratica (Mud). E' quanto risulta dai dati resi noti dal Consiglio nazionale elettorale di Caracas. Il monopolio politico da parte del partito socialista di Hugo Chavez dura da 11 anni. Al Psuv di Chavez sono andati 92 deputati, mentre all'opposizione del Mud 59, su un totale di 165 seggi. I deputati di altre formazioni sono invece 3; 11 seggi sono ancora da assegnare. L'affluenza al voto è stata del 66,45 per cento. Il PSUV, il Partito Socialista del presidente Hugo Chavez, ha dunque per ora la maggioranza dei seggi in Parlamento, ma non la maggioranza dei due terzi (110 deputati) necessaria per far passare le leggi più importanti nell'Assemblea Nazionale.

    Elettrodomestici o tette nuove? Erano i due temi più dibattuti nel finale della campagna elettorale venezuelana che, per i record negativi raggiunti da violenza, recessione e inflazione, vedeva il presidente Hugo Chávez al più basso livello di popolarità da lui mai raggiunto dal grande sciopero del 2002-2003 – soltanto il trentuno per cento di gradimento, anche se nel segmento di popolazione più povero continua a essere amato dal sessanta per cento.

    “Mi casa ben equipada” (“La mia casa ben fornita”) è il nome dell'ultima carta con cui Chávez ha tentato di raddrizzare i consensi. E' un meccanismo di credito per acquistare elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi, perfino quegli impianti di aria condizionata contro cui aveva dichiarato guerra dieci mesi fa. Sempre che nuovi black-out di luce e acqua, come quelli che hanno tormentato i venezuelani negli ultimi mesi, non li costringano a diventare meri oggetti ornamentali. Un intervento chirurgico per rifarsi i seni è invece il premio della lotteria con cui Gustavo Rojas, economista e professore universitario, ha finanziato la propria campagna elettorale come candidato di Primero Justicia – partito di centrodestra, uno dei più importanti tra la cinquantina di sigle raccolte nella Mesa de la Unidad Democrática, la “Tavola dell'Unità Democratica” delle opposizioni. In Venezuela, paese dove i concorsi di bellezza godono di un tifo quasi come quello riservato al baseball, almeno trentamila donne all'anno si riaggiustano il décolleté, qualcuna come regalo per il quindicesimo compleanno. Non è mancato nemmeno qualche politico che abbia proposto di accollare la chirurgia estetica al servizio sanitario nazionale.

    Il particolare dimostra come la demagogia non sia estranea anche al bagaglio della Mesa, un fronte ampio tra le cui sigle ci sono sia i partiti che gestirono il sistema clientelare della Quarta Repubblica venezuelana sia una gran quantità di gruppi di estrema sinistra in rotta col personalismo del colonnello. Tra gli ex sostenitori di Chávez c'è Miguel Henrique Otero, figlio di un Premio Lenin per la Pace, direttore ed editore del grande quotidiano El Nacional, nonché portavoce di quel Movimento 2D che sta sempre più diventando l'anima intellettuale della Mesa. Otero ha visto crescere il proprio peso politico anche per il massacro di leader dell'opposizione che i giudici chavisti hanno compiuto negli ultimi anni, costringendone parecchi all'esilio o in galera con accuse di corruzione e/o di sovversione.

    La Mesa ha presentato vari candidati in collegi con buone probabilità di riuscita, per riuscire senza troppi sforzi a coprirli con l'immunità parlamentare. E' il caso di Manuel Rosales, popolarissimo governatore di Zulia e poi sindaco di Maracaibo, candidato contro Chávez alle presidenziali del 2006 ed esule in Perù dall'aprile del 2009. Oppure di María Corina Machado, che Chávez ha ribattezzato “la Giovanna d'Arco dell'opposizione” – sotto accusa per tradimento a causa dei fondi che il Congresso di Washington ha versato a favore dell'Ong da lei fondata, Súmate – o di Iván Simonovis, funzionario della Polizia metropolitana di Caracas, condannato a trent'anni di carcere nel 2009 per ciò che accadde durante la momentanea deposizione di Chávez nel 2002.

    L'obiettivo principale della Mesa, però, era di tornare all'Assemblea nazionale. Eccetto qualche estremista, quasi tutti gli antichavisti considerano ormai un gravissimo errore il boicottaggio elettorale che, nel 2005, ha permesso a Chávez di governare per cinque anni con un Parlamento quasi unanimemente a suo favore – a parte un pugno di kamikaze, che è passato all'opposizione per protestare contro la riforma costituzionale sulla rielezione. L'anno scorso Chávez ha sostituito la precedente legge elettorale proporzionale con un simil-Mattarellum che fa eleggere 110 deputati su 165 in collegi uninominali, più altri tre designati dagli indios con procedure che saranno, a conti fatti, di cooptazione. E i collegi uninominali sono stati disegnati con una suddivisione studiata accuratamente per fare prevalere quella metà rurale del Venezuela dove alle amministrative “pareggiate” del 2008 vinsero i candidati chavisti, contro la metà urbana che invece elesse governatori e sindaci d'opposizione – che il colonnello, subito dopo la vittoria, esautorò facendo cambiare le leggi sui poteri locali. D'altra parte, anche senza l'autoritarismo furbastro di Chávez, questo resterebbe un sistema fortemente presidenziale. Anche se l'Assemblea nazionale fosse in mano all'opposizione, il presidente andrebbe avanti senza troppi problemi fino al termine del suo mandato, nel 2012.

    Tuttavia, dopo la sconfitta di Chávez al referendum del 2007, la stretta sulla società venne allentata per alcuni mesi – per permettere a Chávez, con il pragmatismo che lo contraddistingue, di rivendersi nel mondo come un democratico, mentre meditava su come aggirare la Costituzione per arrivare al secondo referendum, che invece ha vinto. Un'eventuale avanzata dell'opposizione potrebbe quindi avere un importante risultato psicologico. Per questo i venezuelani di entrambe le fazioni stanno hanno partecipato con entusiasmo alla campagna elettorale, in particolare su Facebook e Twitter. “Yo sí voy a votar el próximo 26 de septiembre”, “Elecciones parlamentarias 2010 - Venezuela decide” e “A votar el 26 de septiembre de 2010” sono i nomi di alcuni di questi profili. A volte adottano degli incipit volutamente ingannevoli, come “Voto perché Chávez se ne vada… a restare presidente della Repubblica Bolivariana e Socialista di Venezuela” o “Ho votato Chávez. Sarebbe stato meglio se mi fossi tagliato la mano”. Anche il presidente è attivo su Twitter: si chiama “chavezcandanga” e ha 798 mila seguaci.