E' lui o non è lui? La doppia menzogna di Shakespeare
L'amore contrastato, due donne bellissime, la contesa romantica tra il maschio di umili origini ma di cuore puro e nobili intenti, e quello di alto lignaggio ma non purosangue, di modi però poco più che villani, un matrimonio interrotto e una scena di stupro fanno ben sperare per la sequela di repliche che già si annunciano nei teatri di tutto il mondo.
Nella provincia andalusa, il nobile rubacuori Angelo Henriquez corteggia Violante, splendida contadina che lo respinge. Quando Angelo ne ha abbastanza della determinazione di lei, tenta di violentarla. Il senso di colpa lo perseguita, ma non ostacolano né ormoni né arroganza. Nonostante il rimorso, il nostro tenta infatti la conquista di Leonora, promessa sposa del suo migliore amico, Julio, temporaneamente assente. E Leonora dovrà accettare la nuova proposta di matrimonio, poiché suo padre, Don Bernardo, non vede l'ora di legarsi a doppio filo a una famiglia di nobilastri quale quella di Henriquez. La ragazza, leale e tormentata, scrive allora una lettera a Julio, che torna e interrompe le nozze. Leonora sviene. Ed è allora che suo padre scopre il pugnale e la lettera con cui Leonora annuncia il suo suicidio, piuttosto che rifiutare l'uomo che ama per accettare un matrimonio di convenienza.
E' questa, a grandi linee, la trama di “Doppia menzogna ovvero gli amanti afflitti”, la pièce shakespeariana di recentissima attribuzione – consacrata nel marzo scorso dalla pubblicazione nella collana Arden Shakespeare – arrivata il primo ottobre in libreria anche in Italia, pubblicata da Fazi. L'amore contrastato, due donne bellissime, la contesa romantica tra il maschio di umili origini ma di cuore puro e nobili intenti, e quello di alto lignaggio ma non purosangue, di modi però poco più che villani, un matrimonio interrotto e una scena di stupro fanno ben sperare per la sequela di repliche che già si annunciano nei teatri di tutto il mondo a seguito della paternità ritrovata dopo tre secoli di tira e molla tra studiosi di ogni ordine e grado. Compreso il poeta Alexander Pope, che contribuì parecchio ad affossare le teorie di Lewis Theobald, studioso di Shakespeare che il 13 dicembre 1727 fu il primo impresario a mettere in scena, al Drury Lane Theatre di Londra, quella commedia che ancora si chiamava “La storia di Cardenio” caldeggiandone appunto l'attribuzione shakespeariana.
Ma da dove veniva quel Cardenio ritrovato? Era un dramma rappresentato – pare insieme a “La tempesta” – dalla Shakespeare's Company nel 1613 e ispirato proprio da un personaggio del Don Chisciotte di Cervantes, Cardenio appunto, tradotto in inglese solo un anno prima. Eppure, quel dramma non solo non apparve mai nel First Folio shakespeariano, ma, tranne per alcune menzioni nei libri di storia, sparì. Ad attribuirlo con certezza al Bardo di Stratford è stato, dopo dieci anni di ricerche, il professor Brean Hammond dell'Università di Nottingham, che ha appunto persuaso la Arden ad aggiungerlo, in edizione completamente annotata, al canone ufficiale. A nulla sono valsi i dubbi espressi, tra gli altri, da Stanley Wells, curatore di collana dell'editore concorrente, la Oxford Shakespeare, che vede nell'opera più tracce dello stile di John Fletcher, prolifico drammaturgo contemporaneo del nostro, con il quale collaborò all'"Enrico VIII”.
Hammond, fermamente convinto che primo, secondo e parte del terzo atto siano di pugno e creatività di “Will”, non retrocede di un verso: “Neologismi e versificazione sono i suoi”, ha detto alla Bbc. Mentre il direttore editoriale della Arden, il professor Richard Proudfoot, è più cauto: “Questa terza riedizione di tutte le opere comprende anche drammi scritti a quattro mani e, tra questi, 'Doppia menzogna' è stato il nostro inserimento più controverso”, ha commentato. D'altra parte, il carnet del Bardo vanta oltre cinquanta tentate attribuzioni, almeno sette apocrifi e soltanto sei striminzite firme certe, tra cui quella del testamento, con cui ci si confronta di norma. E più il tempo passa e gli studiosi aumentano, più il mistero si infittisce. E il copione si arricchisce, alla moda elisabettiana.
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