Effetto Nobel

La legge 40 torna alla Consulta perché vieta l'eterologa

Nicoletta Tiliacos

Il nuovo rinvio alla Consulta della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita da parte del tribunale di Firenze, nella parte in cui vieta la fecondazione eterologa, “induce a temere che alcuni settori ideologizzati della magistratura cerchino una sorta di rivalsa rispetto alla volontà parlamentare e popolare”. Non ha usato mezze misure, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, chiamato a commentare ieri l'iniziativa della magistratura fiorentina.

    Il nuovo rinvio alla Consulta della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita da parte del tribunale di Firenze, nella parte in cui vieta la fecondazione eterologa, “induce a temere che alcuni settori ideologizzati della magistratura cerchino una sorta di rivalsa rispetto alla volontà parlamentare e popolare”. Non ha usato mezze misure, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, chiamato a commentare ieri l'iniziativa della magistratura fiorentina, che arriva – con sorprendente tempismo – ad appena due giorni dal conferimento del Nobel per la Medicina all'inventore della Fiv, Robert G. Edwards.

    Di “accanimento invadente da parte della magistratura” parla anche il sottosegretario al ministero della Salute, Eugenia Roccella. Al Foglio, dice di considerare del tutto vaghi “i motivi con cui il tribunale rinvia la legge 40 alla Corte Costituzionale. Il divieto di eterologa, sarebbe ‘irragionevole' e ‘discriminatorio'. Ma che significa? Qualsiasi regola, in questa ottica, diventa discriminatoria, anche quella che fissa un limite di età per accedere alle pratiche di fecondazione”. Gli avvocati che hanno gestito il ricorso fanno esplicito riferimento a una condanna comminata di recente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo all'Austria, dove era stata negata la fecondazione in vitro eterologa a due coppie: “Quel provvedimento non ci tocca in alcun modo – risponde Roccella – perché in Austria il quadro normativo è completamente diverso dal nostro. Ammette l'eterologa per inseminazione diretta, mentre la vieta ‘in vitro', e un conto è l'incoerenza che Strasburgo ritiene di individuare in una normativa nazionale che già prevede l'eterologa in alcuni casi, un conto è la nostra legge, per la quale il divieto di eterologa vale in assoluto.

    Il legislatore italiano ha deciso
    – dopo un dibattito approfondito e un voto trasversale a grande maggioranza in Parlamento, confermato dall'esito del referendum – di salvaguardare la tutela del diritto del nascituro alla conoscenza delle proprie origini. Anche per motivi legati alla salute: basti pensare alle predisposizioni alle malattie di natura ereditaria, impossibili da valutare con l'anonimato del donatore. E sappiamo che dove l'anonimato cade, l'eterologa sparisce”. Su questo punto l'ordinaza del tribunale di Firenze ha le idee chiare: “Il diritto del bambino a conoscere la sua discendenza biologica non è un diritto assoluto, dovendo essere contemperato con altri interessi pubblici e privati coinvolti (diritto alla procreazione, diritto all'anonimato del donatore etc)”.  Senza contare,  conclude Roccella “che la ‘donazione' di ovociti nasconde la compravendita da donne povere, soprattutto dell'est europeo. Di storie di sfruttamento e di danni irreversibili alla salute di queste donne sono piene le cronache”. Dello stesso tenore la posizione dell'associazione Scienza e Vita: “Il ricorso alla fecondazione artificiale eterologa – dice il copresidente Lucio Romano – significa immediata separazione tra identità biologica, identità sociale e naturale di un figlio”. L'ex presidente dell'associazione, Paola Binetti, oggi deputata dell'Udc, sottolinea che “al quesito del tribunale di Firenze ha già risposto il referendum popolare del 2005 con una sonora bocciatura da parte degli italiani”.

    Quello annunciato ieri è il secondo attacco portato in poco tempo alla costituzionalità della legge 40. Con il precedente (sempre partito dal tribunale di Firenze) la Consulta era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'articolo 6 – quando stabilisce che la coppia può ritirare il proprio consenso alla Pma solo fino alla fecondazione e non una volta che l'embrione sia già creato – e dell'articolo 14, dove vieta congelamento e soppressione degli embrioni. La richiesta veniva da coppie portatrici di malattie genetiche che chiedevano la diagnosi preimpianto. La Consulta, in quell'occasione, ha rigettato i ricorsi: sugli stessi argomenti si era espressa con una sentenza precedente, che aveva modificato alcuni aspetti della legge ma non aveva intaccato né il divieto di soppressione degli embrioni né il divieto di diagnosi preimpianto.
    Ieri i pd Marina Sereni e Ignazio Marino, tra gli altri, si auguravano una iniziativa di modifica della legge. Ma a Bersani, che ha definito “ideologica” la legge 40, i colleghi ex popolari Grassi, Farinone e Bosone replicano che “riaprire la discussione sulla legge 40 rischia di essere un esercizio inutile, e di alimentare confusione nell'elettorato moderato del Pd”.