Guerra santa a Medjugorje
L'ultima mossa del cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn è del 23 settembre scorso. Incurante delle richieste di prudenza più volte espresse dalla curia romana, Schönborn ha aperto le porte della monumentale Stephansdom, la cattedrale di Santo Stefano, a due dei sei veggenti di Medjugorje: Marija Pavlovic e Ivan Dragicevic. Davanti a centinaia di fedeli, i due hanno parlato delle apparizioni, dei messaggi che la Madonna affida loro da quasi trent'anni.
L'ultima mossa del cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn è del 23 settembre scorso. Incurante delle richieste di prudenza più volte espresse dalla curia romana, Schönborn ha aperto le porte della monumentale Stephansdom, la cattedrale di Santo Stefano, a due dei sei veggenti di Medjugorje: Marija Pavlovic e Ivan Dragicevic. Davanti a centinaia di fedeli, i due hanno parlato delle apparizioni, dei messaggi che la Madonna affida loro da quasi trent'anni. Poi, sull'altare antistante la tomba in marmo rosso dell'imperatore Federico III, ha preso posto lo stesso cardinale arcivescovo che si è rivolto ai due medjugorjani con queste parole: “Grazie di essere qui in mezzo a noi. Grazie per il servizio che avete reso in tutti questi anni”.
Da quasi tre decenni la battaglia su Medjugorje è aperta dentro la chiesa cattolica. Da una parte la curia romana che resiste, scettica, a volte prevenuta, sempre e comunque prudente. Dall'altra diverse personalità ecclesiastiche e il popolo che in massa si riversa da ogni parte del mondo nel paesino dell'Erzegovina dove il 24 giugno del 1981 sei giovani dichiararono di aver avuto, sulla collina Crnica, nel luogo chiamato Podbrdo, un'apparizione. Videro una figura bianca con un bambino nelle braccia. “Abbiamo visto la Madonna”, dissero. Per tanti anni le apparizioni furono quotidiane. Dal 1987 la Madonna appare ogni 25 del mese e soltanto a Marija. Gli altri hanno apparizioni più sporadiche.
Roma chiede silenzio, prudenza, passi brevi e molto ponderati. Mentre diversi sacerdoti e vescovi, tra questi Schönborn, agiscono più d'istinto. Sentono che a Medjugorje, come fu a Fatima e Lourdes, il soprannaturale parla e si manifesta. L'arcivescovo di Vienna sa bene quanto i suoi interventi pro Medjugorje infastidiscano Roma. Ma sembra non curarsene, spinto probabilmente anche dal richiamo dell'Erzegovina che un tempo fu terra dell'Impero: un richiamo importante per un nobiluomo di ascendenza asburgica. La devozione popolare è alimentata anche dal combattivo padre Livio Fanzaga e dalla sua Radio Maria. Dalla comunità Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante. E da tante parrocchie, molte italiane, che ai treni per Lourdes e ai voli per Fatima preferiscono i pullman per Medjugorje.
A Roma il partito degli anti visionari non è dell'ultima ora. Le resistenze interne è da tempo che giocano un ruolo importante. Dice il decano dei vaticanisti Benny Lai: “La curia gioca il suo ruolo di istituzione monolitica. Cerca sempre di resistere fino all'ultimo ai visionari, veri o presunti tali. Ancora oggi le guarigioni di Lourdes sono guardate con sospetto. Medjugorje, in particolare, non è mai stata presa in seria considerazione dall'apparato. Certo, Giovanni Paolo II aveva una posizione aperta su Medjugorje. Come ce l'aveva, ad esempio, su padre Pio da Pietrelcina. Ma un conto è l'idea personale di un Pontefice. Un altro è la voce ufficiale della chiesa. Una voce che non può tollerare i passi in avanti troppo affrettati di singoli vescovi o cardinali che siano”.
Fu lo scorso gennaio che Schönborn si recò in visita a Medjugorje, una televisione al proprio seguito. Da qui lanciò un messaggio a tutta la chiesa: “Bisogna chiudere gli occhi per dubitare che a Medjugorje scorrano fiumi di grazia”. Immediata fu la reazione del vescovo di Mostar (la diocesi in cui ricade Medjugorje), monsignor Ratko Peric. In una nota ufficiale si lamentò di non essere stato preventivamente informato da Schönborn del suo arrivo. Da Mostar i malumori arrivarono fino a Roma. Tanto che, lo scorso giugno, quando Benedetto XVI ricevette Schönborn dopo le accuse rivolte all'ex segretario di stato vaticano Angelo Sodano di aver insabbiato a suo tempo l'inchiesta sugli atti di pedofilia che avrebbe compiuto l'ex arcivescovo di Vienna Hans Hermann Groër, si dice che parlò con Schönborn anche di Medjugorje e dell'inopportunità della sua visita.
L'anti medjugorjanesimo romano ha radici profonde nella Congregazione per la dottrina della fede. Sul dossier Medjugorje ci sono, fin da quando lavoravano all'ex Sant'Uffizio, Tarcisio Bertone, oggi segretario di stato vaticano, e Angelo Amato, oggi prefetto dei Santi. Bertone è sempre stato un watchdog tignoso quanto ad apparizioni mariane. Su Fatima sostiene che nulla c'è da rivelare di quanto già non si sappia. E su Medjugorje? Nel 2005, quando era arcivescovo di Genova, andò a Porta a Porta e lì disse la sua. Scoppiò un pandemonio tra preti e fedeli. “Radio Maria, rivolta contro il cardinale”, titolò il Corriere della Sera. Cosa accadde? Bertone non negò il diritto a pregare la Vergine in quei luoghi, ma deplorò “gli eccessi di fanatismo, come i manifestini distribuiti in diverse chiese, nei quali si assicura anche la possibilità di assistere a un'apparizione della Madonna, a ora stabilita”. E ancora: “Dal 1981 a oggi Maria sarebbe apparsa decine di migliaia di volte a Medjugorje. Questo è un fenomeno non assimilabile ad altre apparizioni mariane”. Radio Maria reagì furente. In diretta padre Livio proruppe contro lo “scetticismo” del cardinale. Che rispose: “Sono reazioni scomposte e offensive di fedeli e sacerdoti che si definiscono ‘medjugorjani'”. E ancora: “Sono attacchi inaccettabili non certo compatibili con i fautori di un'autentica devozione mariana”. Quindi l'ordine rivolto dall'alto all'Opera romana pellegrinaggi di depennare dal catalogo le visite al più famoso santuario della ex Jugoslavia.
Benedetto XVI ha sempre ascoltato il giudizio del suo braccio destro fin dai tempi dell'ex Sant'Uffizio. Ratzinger scoprì Bertone nel 1988 e da allora in poi lo mise all'opera sulle questioni più intricate e scottanti: lo scisma di Marcel Lefebvre, la teologia della liberazione, i padri di famiglia ordinati preti nella Cecoslovacchia comunista, il terzo segreto di Fatima, lo scandalo dei preti pedofili negli Stati Uniti, il matrimonio dell'arcivescovo Emmanuel Milingo con una seguace della setta di Moon e, appunto, il dossier Medjugorje. Bertone e la Dottrina della fede hanno lavorato in simbiosi con la diocesi di Mostar. Qui il vescovo Pavao Zanic prima, e poi il suo successore Ratko Peric, hanno sempre avuto una posizione scettica. Fu l'11 ottobre 1984 che Zanic disse: “Dichiaro che è tutta una grande truffa, un inganno… non ci sono apparizioni della Madonna… Io credo che c'è il Demonio!”. Una posizione forte, alla quale seguì una nota del 1991 della Conferenza episcopale Jugoslava: “Sulla base delle ricerche finora compiute non è possibile dichiarare che si tratti di apparizioni e fenomeni soprannaturali”. Parole che per il partito degli anti medjugorjani sono la conferma che è tutto un bluff. Mentre per i medjugorjani no. Dicono: “La Conferenza episcopale jugoslava non dice che non vi sono apparizioni, ma solo che non sono ancora state confermate”. E' stato Papa Ratzinger, la scorsa primavera, a riaprire tutto. Con un'azione a sorpresa ha istituito una Commissione internazionale d'inchiesta guidata dal cardinale Camillo Ruini. Da tempo c'è chi sostiene che Ruini sia scettico su Medjugorje e che dunque l'esito dell'inchiesta sia in qualche modo scontato. Ma è davvero così? Davvero Ruini affosserà Medjugorje, trent'anni di apparizioni e migliaia di conversioni comprese? In Vaticano si dicono due cose. Anzitutto che è stato Ruini a lasciare fuori dalla Commissione, composta da circa venti persone, l'attuale vescovo di Mostar, Ratko Peric. E ciò significa che per volere di Ruini ai lavori non partecipa la personalità ecclesiastica che più di altre è contraria al riconoscimento dell'autenticità delle apparizioni. In secondo luogo, si ritiene che oggi sia del tutto prematuro fare previsioni. I tempi dell'inchiesta sono lunghi, si parla addirittura di anni. Anche perché è difficile esprimersi in maniera definitiva mentre le apparizioni ancora hanno luogo. Una prima volta la Commissione si è riunita il 26 marzo scorso ma non ha fatto altro che dividere il da farsi secondo argomenti diversi. Tra questi, il capitolo “traduzioni”. Già, perché è dalle traduzioni dei messaggi della Madonna che dipende principalmente l'esito dei lavori guidati da Ruini. I veggenti hanno lasciato in questi anni migliaia di messaggi che, dicono, ha comunicato loro la Madonna. E oggi il problema principale è tornare indietro nel tempo e recuperare soltanto quelli autentici. Infatti, i messaggi, veicolati dai veggenti in lingua croata, hanno avuto centinaia di traduzioni in tutte le lingue del mondo. Le traduzioni si sono sovrapposte ai testi originali ed è difficile, soprattutto coi messaggi dei primi anni, distinguere tra gli originali e gli apocrifi. Nei primi anni Ottanta, ad esempio, vi fu uno scontro durissimo tra il vescovo di Mostar e i francescani che risiedono vicino alla parrocchia di Medjugorje. La curia voleva meno protagonismo da parte dei francescani che invece rivendicavano un ruolo importante rispetto alla parrocchia e ai veggenti. Secondo alcuni messaggi riportati dagli stessi veggenti la Madonna prese posizioni in questa disputa a favore dei francescani. “Non ubbidite a nessuno!”, disse il 15 aprile 1982 la Madonna secondo quanto ha riportato la veggente Vicka. E' anche su queste dichiarazioni che Ruini deve lavorare.
Oltre ai messaggi c'è il problema dei segreti. Come a Fatima, anche Medjugorje ha nel suo bagaglio diversi segreti. Dieci, per l'esattezza. Oggi ancora non sono stati rivelati. Sono un macigno misterioso che pesa e fa paura alla chiesa, alla curia di Roma, alla Dottrina della fede. Anche perché si dice descrivano gli eventi che si verificheranno se l'umanità non riuscirà a ravvedersi. Sostengono i veggenti che con la realizzazione dei segreti la vita nel mondo cambierà: dopo la loro manifestazione, gli uomini crederanno come nei tempi antichi. Una veggente, Mirjana, ha dichiarato che dieci giorni prima della realizzazione di ogni segreto avviserà un sacerdote, il padre francescano Petar Ljubicié, incaricandolo di rivelarli. Egli dovrà digiunare per sette giorni e avrà il compito di rivelarli tre giorni prima della loro realizzazione. Poiché è arbitro della sua missione, potrebbe tenerli per sé, come fece Giovanni XXIII per il segreto di Fatima, la cui rivelazione era autorizzata per il 1960. Tuttavia, padre Petar è fermamente intenzionato a rivelarli: è stato interrogato in proposito anche da Antonio Socci nel 2004 e ha confermato che lo farà “senz'altro”. E se si tiene conto che padre Petar ha già sessant'anni, i tempi delle rivelazione non possono essere lontani.
E Benedetto XVI? Nella battaglia tra favorevoli e contrari egli sembra stare nel mezzo. Se Giovanni Paolo II era difatti convinto della verità di queste apparizioni, Ratzinger sembra voler restare un passo indietro. Nel 2000, quando era prefetto dell'ex Sant'Uffizio, scrisse un “Commento teologico” circa le apparizioni mariane. C'è rivelazione e rivelazione, spiegò, nel solco di quanto già scrisse nel Settecento il dotto cardinale Prospero Lambertini, poi Papa col nome di Benedetto XIV. Un conto è la rivelazione che si è espressa definitivamente in Gesù, che esige dal cristiano un pieno assenso di fede cattolica. Un conto sono le rivelazioni “private”: meritevoli queste “di un assentimento di fede umana conforme alle regole della prudenza, che ce le presenta come probabili e piamente credibili”. Queste rivelazioni sono un “aiuto che è offerto per comprendere e vivere meglio il Vangelo, ma del quale non è obbligatorio fare uso”.
Non è scorretto pensare che ancora oggi il Papa si mantenga al livello di quanto espresso nel dotto commento teologico. Ma dice Antonio Socci: “Incontrai Ratzinger a Belluno poco prima dell'elezione al soglio di Pietro e gli chiesi di Medjugorje. Non si sbilanciò molto ma mi chiese cosa avessi visto io a Medjugorje. Gli raccontai del fiume di gente convertita… Mi disse: ‘Ovviamente questo aspetto è decisivo. Perché la chiesa non può chiudere la porta dove la gente ritrova la fede'”.
Ratzinger pare non sia mai andato a Medjugorje. Così Karol Wojtyla. Ma sono tantissimi i vescovi e i cardinali che, spesso in incognito, sono andati a vedere. Molti hanno aspettato di diventare “emeriti”, di non avere più incarichi importanti, per raggiungere, sempre in viaggi segreti, l'Erzegovina. Così fece, prima di morire il cardinale Corrado Ursi. Vescovo di nomina pacelliana, esponente di spicco di quel rinnovamento liturgico che nel post Concilio tanto ha fatto parlare di sé, per andare a Medjugorje affrontò un viaggio di 1.500 chilometri in macchina. Aveva 94 anni. Arrivando disse: “Quanta gioia e grazia per essere presenti qui”.
Recentemente è stata la volta del cardinale Bernardino Echeverría Ruiz, arcivescovo emerito di Guayaquil (Ecuador). A Medjugorje ha detto: “I messaggi della Madonna sono totalmente biblici”. Poco prima di morire arrivò a Medjugorje il cardinale arcivescovo di Praga Frantisek Tomasek, noto in tutto il mondo soprattutto per l'epica opposizione al comunismo nell'ex Cecoslovacchia. Disse: “Ritengo che dobbiamo anche agli eventi di Medjugorje una parte della nostra grande primavera spirituale, che Dio ci ha donato per mezzo di Maria. La preghiera e il digiuno, la fede e la conversione e l'invito alla pace possono venire solo da Dio. Per dirla semplicemente, sento parlare molto di Medjugorje, ma vorrei sentirne parlare di più”. Indimenticato, infine, è rimasto tra i medjugorjani l'affondo di uno dei più profondi teologi della nostra epoca: Hans Urs Von Balthasar. Fondatore della rivista Communio, amico e maestro di Joseph Ratzinger – morì poco prima di ricevere da Giovanni Paolo II la berretta cardinalizia per meriti “alla carriera” –, intervenne su Medjugorje dopo che il vescovo di Mostar, Zanic, risentito coi francescani residenti vicino alla parrocchia, aveva attaccato Medjugorje con queste parole: “Una vicenda in cui compaiono frati ribelli e sospesi a divinis, segreti e vite della Vergine mai rivelati, personaggi che si ritengono inviati dalla provvidenza, guarigioni mai verificate e gente che si rovina la vista guardando il sole”. Von Balthasar prese carta e penna e scrisse a Zanic queste lapidarie parole: “Monsignore! Come è possibile che lei abbia mandato un tanto triste documento in tutto il mondo! Mi sono sentito profondamente colpito vedendo la funzione episcopale tanto degradata. Invece di avere pazienza, come le era stato raccomandato da più persone, lei tuona e scaglia saette a scapito di persone note e innocenti, degne del suo rispetto e della sua tutela. Ripete delle accuse che sono state confutate cento volte”. Von Balthasar accusa Zanic di non avere auto pazienza. La stessa accusa che oggi da Roma viene fatta a vescovi e cardinali troppo frettolosi di mostrarsi medjugorjani. A Ruini il compito di arbitrare tra le due correnti contendenti. Con molta pazienza.
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