Nel Foglio in edicola inserto speciale: "Come ci si perde in una guerra"

Ma gli italiani in Afghanistan preferiscono l'attacco alle azioni difensive

Fausto Biloslavo

Dalle missioni segrete della task force 45 alle operazioni per espandere il controllo sul territorio, sino all'intervento dal cielo degli elicotteri Mangusta: i soldati italiani in Afghanistan non stanno soltanto sulla difensiva. Il primo ottobre, i corpi speciali della task force Bravo, assieme alle unità d'élite afghane del 207esimo corpo d'armata di Herat, sono andate a caccia di un capo talebano nella lista degli obiettivi della Nato. L'obiettivo è spezzare la catena di comando degli insorti. Un incursore di marina e un ranger degli alpini paracadutisti di Bolzano sono stati feriti.

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    Dalle missioni segrete della task force 45 alle operazioni per espandere il controllo sul territorio, sino all'intervento dal cielo degli elicotteri Mangusta: i soldati italiani in Afghanistan non stanno soltanto sulla difensiva. Il primo ottobre, i corpi speciali della task force Bravo, assieme alle unità d'élite afghane del 207esimo corpo d'armata di Herat, sono andate a caccia di un capo talebano nella lista degli obiettivi della Nato. L'obiettivo è spezzare la catena di comando degli insorti. Un incursore di marina e un ranger degli alpini paracadutisti di Bolzano sono stati feriti. Lo scontro a fuoco nel distretto di Jawand, sul fronte nord dello schieramento italiano in Afghanistan occidentale, è stato intenso e ha anche ricevuto l'appoggio di elicotteri d'attacco americani. Sul terreno sono rimasti almeno una decina di talebani. “Cinque insorti sono stati catturati”, ha detto in un comunicato il maggiore Mario Renna del comando di Herat.

    Il 17 settembre, alla vigilia delle elezioni parlamentari, il tenente Alessandro Romani, 36 anni, veterano del Nono Reggimento d'assalto Col Moschin, è morto in combattimento. Un velivolo senza pilota Predator del 28esimo stormo Streghe ha individuato dall'alto un gruppo di talebani che stavano piazzando una trappola esplosiva sulla strada di un convoglio diretto a Bakwa, nella provincia di Farah. Il Predator ha seguito i talebani e ha scoperto la loro base. Gli incursori della Task force 45 si sono alzati in volo con gli elicotteri e sono piombati sull'obiettivo. Gli insorti erano ben piazzati e hanno investono di fuoco gli italiani. Il tenente Romani è stato colpito al polmone dai proiettili di kalashnikov.

    Si tratta di missioni segrete, non proprio difensive, che vengono alla luce soltanto se qualcosa va storto. Le anime belle si sono scandalizzate a giugno del 2009, quando il quartier generale della Nato a Kabul ha rivelato che i nostri corpi speciali danno la caccia ai capibastione talebani. Gli italiani, a differenza di americani e inglesi, hanno l'ordine di sparare soltanto se scoppia un conflitto a fuoco. L'obiettivo ucciso a Farah aveva un nome, si chiamava Rahmatullah ed era noto per aver pianificato una campagna di attacchi con le trappole esplosive (Ied). Nel Gulistan, dove sono caduti i quattro alpini, la task force 45 ha cominciato a operare nella primavera del 2007 con la famosa operazione Tallone d'Achille. Allora, i talebani avevano occupato il capoluogo distrettuale e da Kabul arrivò l'ordine di riconquistarlo.

    Uno degli incursori che partecipò alla missione racconta così lo scontro con gli insorti: “Non ho fatto in tempo a dire una parola che arrivavano i colpi. Michele era davanti a me e l'ho visto cadere. Un proiettile gli ha oltrepassato il braccio sinistro e poi ha portato via un lembo di carne dal petto. Quando è andato giù ha gridato “mi hanno beccato, mi hanno beccato”. I talebani erano appostati su una cresta e lanciavano anche  razzi a spalla Rpg. “Il primo è esploso a una trentina di metri, ma il secondo l'ho sentito fischiare al nostro fianco”, ricorda il testimone. Per alcuni minuti, una pioggia di fuoco ha investito i talebani. L'incursore ferito si è trascinato fino al blindato. Il testimone racconta che il compagno “perdeva sangue dal braccio, ma è riuscito a prendere posizione mettendo il colpo in canna alla mitragliatrice pesante. Poi è crollato”. Nella guerra di pace degli italiani, parlare di azioni offensive forse è improprio, ma i nostri contingenti non si sono dati da fare soltanto nell'Afghanistan occidentale. A Pasqua del 2008, a Surobi, settanta chilometri a sudest di Kabul, gli alpini paracadutisti della task force Tora, assieme agli afghani, hanno ingaggiato battaglia contro i ribelli che cercavano di portarsi via la preziosa tecnologia di un velivolo senza pilota americano precipitato.

    Nell'estate dello stesso anno, la compagnia Aquile del 66esimo Reggimento aeromobile Trieste si è aperta un varco fra le montagne di sabbia della provincia di Badghis. Dopo trappole esplosive, imboscate e combattimenti, hanno preso posizione in un ex cotonificio a Bala Murghab, trasformato in base avanzata. L'anno seguente, i paracadutisti del 183esimo Nembo, con i soldati afghani, hanno cominciato a conquistare le prime posizioni talebane nella vallata di Bala Murghab. “Ci hanno accolto con una valanga di fuoco. Eduardo rispondeva sparando con la mitragliatrice sopra il blindato. A un certo punto l'ho visto sbattere indietro la testa. Un proiettile di kalashnikov aveva centrato gli occhialoni anti sabbia ed era entrato nell'elmetto uscendo da dietro” racconta il caporal maggiore scelto dei paracadutisti Domenico Buonaurio, 30 anni di Napoli. Eduardo Donnantuono, il suo compagno di squadra, è un miracolato. Quando è uscito dal blindato, il suo volto era una maschera di sangue, ma il proiettile gli ha fatto solo un graffio sulla testa. Pochi millimetri e sarebbe morto.

    Sul fronte sud di Farah, i bersaglieri e i paracadutisti della Folgore sono andati a cercare gli arsenali dei talebani nella roccaforte di Shewan, si è scatenata una furiosa battaglia con un carro Dardo dei fanti piumati colpito da un razzo e combattimenti fra le case del villaggio, trasformato in fortezza e reticolo di cunicoli. Fra Natale e Capodanno del 2009 i dimonios della brigata Sassari hanno combattuto per 72 ore a Bala Murghab “per il controllo di alcuni avamposti strategici” al fianco dell'esercito afghano. “Buongiorno” è il nome in codice dell'operazione appoggiata dai caccia bombardieri della Nato.

    Quest'anno, gli alpini della brigata Taurinense, grazie alle spallate dei parà americani della task force Fury, hanno allargato il controllo su Bala Murghab, con una bolla di sicurezza di 20 chilometri garantita da caposaldi fra i monti. Sono tutte operazioni attive per scalzare i talebani. Anche dal cielo si interviene per appoggiare le truppe di terra. Una volta lo ha fatto anche un caccia italiano con il cannoncino in dotazione, perchè non gli aerei possono usare le bombe. La parte del leone spetta agli elicotteri d'attacco Mangusta, che hanno all'attivo almeno una cinquantina di interventi armati contro gli insorti. “I ragazzi spagnoli, nostri alleati, assieme ai soldati afghani erano circondati. Sembrava una scena tipo indiani e cowboy”, ricorda il maggiore pilota Marco Cardillo del Quinto Reggimento Rigel . “Siamo piombati addosso ai talebani volando a trenta metri da terra. Si vedevano bene. Con un missile aria-terra abbiamo distrutto un mezzo afghano che avevano catturato”. Il cannone a canna rotante da 20 millimetri dell'elicottero ha fatto il resto.

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