Recensire Rep. e scoprire che Zucconi avrebbe potuto catturare Bin Laden

Stefano Di Michele

“What a darling, how cute” – che tesorino!, mormora la tardona. il complimento non a Zucconi è rivolto, ma alla nuova 500 Fiat, che temerariamente il giornalista ha portato in giro da Harlem a Brooklyn, per mostrarla agli indigeni locali e tirandone fuori ben tre pagine tre di reportage su Repubblica – roba che una volta, per riempirle, ci volevano almeno un compleanno a Casoria, una sospetta maialata in Costa Smeralda, una vispa attruppata a Palazzo Grazioli.

    Il rischio più grosso, Vittorio Zucconi – scampato di suo a ben due presidenze Bush (tre col babbo, che Zucconi già c'era) – l'ha corso quando ha incontrato Ginetta Vendetta, “suono benissimo la tromba” finita “risucchiata dalla mia Pollicina” – che impressione, però. La trombettista non in erba, con quel nome da remake di un film sui mafiosi con Ciccio e Franco, in groppa a una Buick del 1957, “deve avere più o meno l'età della prima 500 lanciata proprio nel 1957, ma si batte eroicamente, tra minigonna e trucco da campagna elettorale, per ingannare il Dio Chronos” – annota l'inviato di Repubblica, di suo non di primissimo pelo. “What a darling, how cute” – che tesorino!, mormora la tardona. Attempata, magari, ma non del tutto andata: e infatti il complimento non a Zucconi è rivolto (ma poi, nel seguito della conversazione, un “darling!” tocca pure al cronista lui: sciascianamente, a ciascuno il suo), ma alla nuova 500 Fiat, che temerariamente il giornalista ha portato in giro da Harlem a Brooklyn, per mostrarla agli indigeni locali e tirandone fuori ben tre pagine tre di reportage su Repubblica – roba che una volta, per riempirle, ci volevano almeno un compleanno a Casoria, una sospetta maialata in Costa Smeralda, una vispa attruppata a Palazzo Grazioli.

    Invece, Zucconi ingrana la marcia e va, col suo gioiellino bianco piccino picciò per le strade della Grande Mela, e quasi un groppo in gola gli sale, “bianca e rotondetta sull'asfalto di Park Avenue”, “come una pallina di gelato di crema caduta dalle mani di un bambino di cemento enorme e sbadato” (ma senti te che roba), la “mia pagnottella metalizzata”, ancora “la mia pallina di gelato” (e dai!). Vivida testimonianza fotografica del temerario slalom viene fornita dal quotidiano di Largo Fochetti: la piccola 500 vicino a uno di quegli orrendi macchinoni americani lunghi come un caseggiato (e s'intende, a veder Zucconi schiacchiato lì dentro, come l'altro mezzo di trasporto sarebbe risultato più adatto alla bisogna), sotto il ponte di Brooklyn, che pare un pacchetto di gomme americane, a Chinatown, dove potrebbero aver scambiato il manufatto marchionnesco per un involtino primavera, davanti al Waldorf Astoria – dove il portiere, un cristone “in alamari, mostrine e berretto” che pare il Cav. quando va in visita da Putin, lo guarda male, “soltanto un biglietto verde da venti dollari, che poi al Waldorf è come 50 centesimi a un lavavetri a Roma, lo intenerisce” – e all'estero sempre 'sta figura da pezzenti dobbiamo fare?

    Mentre col suo barattolino bianco Zucconi s'avanza sprezzante del rischio, in cor suo lo stesso qualche timore, insieme alle marce, s'innesta: “Finalmente ho capito come doveva sentirsi Pollicino nel bosco dei giganti”. Visioni apocalittiche lo perseguitano, “ho paura che mi si squagli sotto il sedere (oh Signore, e che gradazione raggiunge, il lato B di Zucconi?, ndr) o che uno dei grattacieli intorno a me si curvi come in un cartoon disneyano per raccogliere dal pavimento la prima Fiat 500 mai vista a New York per buttarla via”. Ma procede impavido a mostrar tanta meraviglia in cotanta selva oscura. Attorniato, di volta in volta, da femmine rapaci, “con gridolini di desiderio”, sia chiaro “per l'auto non per il guidatore”. “ ‘Ne voglio una subito, me la regali?', mi implora un paio di tacchi a spillo, ‘a stiletto' si dice qui” – a riprova di come, anche da quelle parti, scarseggino scale da lavare o qualche più degno modo di passare la giornata. Birignao di ristoratori francesi al passaggio, “elle est mignonne cette petite” – mai se la comprerebbe, meglio la baguette, però la immortala: “Appenderò subito una foto al muro”. La fa rimirare davanti alle vetrine di VanCleef&Arpels, “dove il più umile dei gingilli costa due volte in mio gelatino”.

    La folla assedia macchinetta e guidatore, s'avanzano minacciosi “deretani XXXL”, culoni americani che come ce li metti, lì dentro?, “ti senti come un gatto con la coda lunga in una discoteca” – come se i gatti, coda lunga o coda corta, fossero così scemi da infilarsi in una discoteca. Ristoranti sciccosi, autisti indiani (dell'India, non Sioux) dispettosi, “what the fuck is it?” – ma checazzè 'sta cosa? Infine, stremato, Zucconi la lascia parcheggiata “sfacciatamente”, ammette, davanti a un ristorante, “minuscola Gulliver stanca, ma vittoriosa dopo un sabato di guerra a Manhattan” – poi dicono che è difficile venir fuori dall'Iraq: se ce l'ha fatta a Manhattan persino la pallina di crema di Zucconi. “Ho paura che me la mangino…”, sospira il giornalista. Ma figurati se gli americani si sono fatti quei culoni XXXL con il lunotto della sua “pagnottella metallizzata”. Però: se Bush mandava Zucconi a Bagdad con la sua 500 gelatino gelatino, alla fine, non fosse altro che per la curiosità, magari veniva fuori pure Bin Laden per dare un'occhiata.