Parla Mussari (Abi)

Il banchiere Mussari ci spiega perché è più tremontiano di Tremonti

Michele Arnese

Quando ascolta il ministro dell'Economia che denuncia il ritorno della speculazione, non si meraviglia, anzi. Così come condivide il rinnovato appello di Giulio Tremonti a regole “etiche” nel sistema finanziario internazionale e i rimbrotti tremontiani agli alti bonus dei banchieri, specie americani, tornati ringalluzziti. Si dirà: la coincidenza di vedute tra Tremonti e il presidente dei banchieri italiani, Giuseppe Mussari, è frutto della convenienza: meglio avere rapporti non conflittuali con il ministro del Tesoro.

    Quando ascolta il ministro dell'Economia che denuncia il ritorno della speculazione, non si meraviglia, anzi. Così come condivide il rinnovato appello di Giulio Tremonti a regole “etiche” nel sistema finanziario internazionale e i rimbrotti tremontiani agli alti bonus dei banchieri, specie americani, tornati ringalluzziti. Si dirà: la coincidenza di vedute tra Tremonti e il presidente dei banchieri italiani, Giuseppe Mussari, è frutto della convenienza: meglio avere rapporti non conflittuali con il ministro del Tesoro. Non sembra però il caso di Mussari. Il presidente dell'Abi e di Mps apprezza la gestione tremontiana della crisi e il rigore nei conti statali: “Con il peso del debito pubblico che ha l'Italia, il nostro paese non poteva scialare, pena un giudizio dei mercati che avrebbe avuto come effetto immediato quello di dover pagare più interessi sui titoli di stato”. Quindi quella che è stata definita la flemma tremontiana è stata indispensabile per l'Italia, secondo Mussari. Anche se adesso vanno impostate, come ha detto lo stesso Tremonti, una serie di misure per una decisa politica pro crescita, e una vera stagione di riforme, aggiunge il presidente dell'Abi.

    Le convergenze fra Tremonti e Mussari non riguardano soltanto il passato. Il banchiere calabro-senese è anche scettico, come il titolare del Tesoro, su una sorta di Tobin tax: “Siamo contrari a nuove tasse, ‘camuffate' da misure volte a stabilizzare i mercati bancari e finanziari. Il settore bancario italiano non ha beneficiato di fondi pubblici per fronteggiare la crisi ed è soggetto a livelli di tassazione molto elevati, superiori a quelli dei propri competitor europei e internazionali. L'imposizione solo a livello Ue potrebbe generare svantaggi competitivi sui mercati internazionali”. Piuttosto, si chiede Mussari, quali regole nuove, chiare, decisive sono state introdotte per evitare una nuova crisi finanziaria? Il capo dei banchieri italiani non scorge alcuna nuova norma del genere: “E' mai possibile – si chiede, infervorandosi – che si possa ancora speculare con i cds (credit default swap, ndr) contro stati sovrani senza detenere in portafoglio nessun titolo dello stato contro il cui fallimento ci si assicura? Possibile che i mercati possano essere in balìa di intermediari finanziari – e per cortesia non chiamiamole banche, la banca fa un mestiere più nobile e più utile alla collettività – che in questo modo possono mettere a repentaglio la stabilità finanziaria di qualche stato europeo?”. Ecco: rendere meno lucrose le speculazioni, vietare di giocare con i cds per chi non ha le relative obbligazioni statali in portafoglio e punire chi lavora nel sistema finanziario ombra potrebbe essere un buon programma per nuove regole, dice Mussari: “La mano invisibile poteva andare bene per il macellaio ma non per l'hedge-fund, per questo ci vogliono regole, limiti e la prigione se sbaglia”.

    Un rimedio che riecheggia in parte tesi tremontiane e combacia con l'analisi del titolare del Tesoro di quanto è successo: “Nel decennio che ha preceduto la crisi, molti sistemi bancari, e quelli anglosassoni in particolare, hanno subìto una profonda trasformazione: il modello di business ‘tradizionale', basato sulla relazione con la clientela, è stato sostituito da un modello di mercato”. Ovvero un “modello più ‘standardizzato' basato su relazioni impersonali. Questo cambiamento ha generato un'elevata finanziarizzazione dell'economia, con l'attività bancaria sempre più dipendente dai mercati finanziari”. Presidente, comunque la finanziarizzazione ha consentito alle economie anglosassoni di essere più dinamiche, più libere e più efficaci nella crescita: “A breve termine vi è stata un'apparente maggiore efficienza, ma la crescita reale era fortemente condizionata dall'aumento esponenziale del debito privato, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti”. Insomma, Mussari è convinto che il sistema classico delle banche italiane e il ruolo svolto dall'autorità di vigilanza, prima e durante la crisi, hanno consentito al nostro paese di evitare il tracollo: “Attenzione, anche le banche italiane hanno sofferto, ma relativamente meno delle altre. Le ragioni di un tale esito stanno nel modello di intermediazione praticato che, contrariamente a quanto accaduto altrove, è rimasto tradizionale”.

    Mussari, e con lui il Comitato esecutivo dell'Abi, il Parlamento europeo con una recente risoluzione, l'associazione delle banche europee e Confindustria, hanno manifestato preoccupazione sulle regole in arrivo per i requisiti patrimoniali delle banche, ovvero la cosiddetta Basilea III. Ma prima di arrivare al 3, parla del 2 con toni non proprio americani: “E' opportuno ricordare che in occasione dell'approvazione di Basilea II gli Stati Uniti hanno trasposto le regole in modo tale che ancora oggi nessuna banca statunitense ha effettivamente implementato Basilea II”. Quindi è sufficiente Basilea II? “No, l'industria bancaria riconosce che il complesso dei provvedimenti consegnerà benefici di lungo periodo in termini di minori probabilità di crisi. Tuttavia, il circuito capitale-liquidità-credito-economia è complesso e delicato: riteniamo che nel medio periodo esso possa condurre a inevitabili costi macroeconomici”. Presidente, traduciamo costi macroeconomici: vuole dire che a causa di Basilea III darete meno credito alle imprese? “Un incremento dei requisiti patrimoniali minimi aumenta il costo del capitale per unità di attivo e quindi il costo delle passività complessive; ne deriva una pressione sul ‘prezzo' degli impieghi con una conseguente potenziale riduzione del credito in circolazione e di una possibile spirale recessiva”.

    Anche per questo al governo, con Confindustria e sindacati, l'Abi ha chiesto di prorogare la cassa integrazione in deroga che è in scadenza e la decontribuzione del salario variabile: “Tenendo conto dei limiti non valicabili della nostra finanza pubblica, occorre mettere in campo un'azione corale, di Parlamento, governo, imprese, sindacati e forze sociali tutte, per evitare la marginalità e per recuperare produttività in un contesto competitivo che diviene sempre più sfidante”. Tra il 2008 e il 2009, ricorda Mussari, la produttività totale dei fattori si è ridotta in Italia del 5,2 per cento, dopo un andamento già molto lento mostrato negli anni precedenti: “Occorre fare di più nel breve periodo con i fattori produttivi di oggi, e migliorare in qualità e quantità i nostri investimenti in formazione e ricerca. La partita, però, si gioca nei prossimi due o tre anni, in questo lasso di tempo ognuno deve dare qualcosa in più e fare qualcosa di più per crescere tanto quanto i nostri concorrenti europei”. L'alleanza per la competitività con Confindustria è la premessa per un'unica confederazione delle imprese? “No, no. Noi restiamo Abi e loro Confindustria, mi sembra un modello vincente. Possiamo e dobbiamo trovare interesse su singoli temi sistemici, con Confindustria, ma anche con Rete imprese Italia, che rappresenta insieme al sistema cooperativo un interlocutore centrale”. E la federazione Abi-Ania con le assicurazioni? “Andiamo avanti con decisione e speriamo in nuovi ingressi”.