Cresce il partito del teorema Summers/ 2

Altro che Keynes, c'è un teorema Forte per le opere senza debiti

Francesco Forte

La politica delle infrastrutture è, secondo gli studiosi non keynesiani degli anni 30, il rimedio sovrano per moderare le crisi con politiche conformi al mercato. La spesa in deficit si giustifica, nel loro pensiero, con la regola aurea per cui il debito pubblico va emesso per investimenti utili, in quanto il risparmio sottratto agli impieghi privati è investito e l'onere per i contribuenti che perdura nel tempo è compensato dal beneficio dell'investimento.

    La politica delle infrastrutture è, secondo gli studiosi non keynesiani degli anni 30, il rimedio sovrano per moderare le crisi con politiche conformi al mercato. La spesa in deficit si giustifica, nel loro pensiero, con la regola aurea per cui il debito pubblico va emesso per investimenti utili, in quanto il risparmio sottratto agli impieghi privati è investito e l'onere per i contribuenti che perdura nel tempo è compensato dal beneficio dell'investimento. Se il debito pubblico serve solo per investimenti, i paesi che adottano questi rimedi hanno rapporti debito/pil moderati e dosano gli investimenti pubblici riducendoli nei periodi di espansione.

    Anche per Keynes la politica delle infrastrutture è un buon rimedio alle crisi, ma per ragioni diverse: l'investimento crea ex post il risparmio e non viceversa. La spesa in deficit per opere pubbliche serve al rilancio della domanda di consumi, tramite la spesa che scaturisce dai salari dei nuovi occupati. La spesa in deficit genera un moltiplicatore e la domanda di consumi aumenta di un multiplo tanto più elevato quanto più bassa è la propensione al risparmio e quella ad importare. A ciò si aggiunge l'acceleratore della domanda di investimenti, innescato dal moltiplicatore con cui interagisce. Questo effetto è ciò che conta. Perciò queste opere pubbliche possono anche essere improduttive, come le piramidi dell'Egitto.

    A questa magia neokeynesiana, che si sviluppa nel tempo, non molti credono più. E a maggior ragione un governo con un grosso debito pubblico come l'Italia non può attuare questa soluzione, in misura ampia, senza correre il rischio di finire come la Grecia. Comunque ciò è precluso dalle nuove regole dell'euro zona. Ma alla soluzione keynesiana si può contrapporre un modello che potrei chiamare FCP, ossia Forte-Cirino Pomicino, perché escogitato e applicato da me, allora senatore e relatore di leggi finanziarie annuali con severo vincolo di bilancio, e da Paolo Cirino Pomicino, ministro del Bilancio, che gestiva una limitata quantità di fondi, devoluti al finanziamento pubblico delle infrastrutture come ad esempio ferrovie metropolitane, per le quali occorreva un cofinanziamento accanto al finanziamento privato, per assicurare a quest'ultimo il profitto. Nel modello FCP il contributo pubblico non è in conto capitale, ma in conto esercizio. Ossia consiste di quote di partecipazione al servizio del debito a lungo termine acceso dai privati, che ha la garanzia statale.

    Un contributo pubblico del 30 per cento comporta una riduzione del 30 per cento dell'onere di interessi e ammortamenti del debito privato. Supposto che questo onere sia il 10 per cento dell'investimento, lo stato con un contributo al servizio del debito del 30 per cento spende 3 nel bilancio annuale per finanziare 100. Il moltiplicatore del metodo FCP è molto maggiore di ogni moltiplicatore keynesiano. E certo non è basato su fantasiosi calcoli a tavolino. Né c'è bisogno di effettuare una spesa pubblica in deficit per creare un grosso incremento nella domanda globale. Ad esempio un miliardo di euro annuo nel bilancio pubblico, con questo schema, genera 33 miliardi annui di investimenti privati in infrastrutture, pari a due punti di pil.