Cresce il partito del teorema Summers/ 3

Così i fondi sovrani investiranno nella sonnolenta Europa

Giuseppe Pennisi

Gli investimenti in infrastrutture sono l'elemento essenziale perché l'Europa e il Nord America escano dalla crisi iniziata nel 2007 senza alimentare inflazione, non vedano scivolare la ripresina in un rallentamento e pongano le basi per una più solida competitività. Gli investimenti in infrastrutture attivano capacità di produzione non utilizzata nella fase “di cantiere”; in quella “a regime”, ossia dopo il loro completamento, aumentano la dotazione in capitale fisso sociale con effetti positivi sulla produttività di capitale e lavoro.

    Gli investimenti in infrastrutture sono l'elemento essenziale perché l'Europa e il Nord America escano dalla crisi iniziata nel 2007 senza alimentare inflazione, non vedano scivolare la ripresina in un rallentamento e pongano le basi per una più solida competitività. Gli investimenti in infrastrutture attivano capacità di produzione non utilizzata nella fase “di cantiere”; in quella “a regime”, ossia dopo il loro completamento, aumentano la dotazione in capitale fisso sociale con effetti positivi sulla produttività di capitale e lavoro.

    Nell'area atlantica, il tasso di disoccupazione sfiora il 10 per cento della forza lavoro; ciò vuol dire che gli impianti operano al 70-80 per cento della loro capacità. Tranne poche eccezioni, i prezzi al consumo avanzano a saggi annui attorno all'1,5 per cento. C'è spazio per migliorare, con i “cantieri” per le infrastrutture, l'utilizzazione della capacità di produzione in modo non inflazionistico. E di averne, in seguito, benefici in termini di produttività. Sempre che i progetti siano ben selezionati con calcoli accurati dei loro costi e dei benefici nonché dei loro effetti sulle strutture di produzione e sull'occupazione. Ci sono vincoli severi ad aumenti della spesa pubblica in conto capitale in tutta l'area; in Italia qualcosa di aggiuntivo si può trarre scavando nelle “contabilità speciali” di vari dicasteri dove si annidano residui effettivi di cassa.

    Cosa si può fare perché all'intrapresa partecipino anche i “fondi sovrani” sviluppatisi in questi ultimi anni? Secondo il Sovereign Wealth Fund Institute (SWFI), la crisi finanziaria non ha inciso negativamente sulle loro attività: gli asset della cinquantina censita dall'istituto sono passati da 3.100 miliardi di dollari nel 2007 a 4.000 nel settembre 2010. Ci sono varie analisi sulle transazioni che i fondi effettuano con le loro risorse.  Lo studio finora più completo è un lavoro congiunto del Fondo monetario e della Università di Miami su circa 30.000 operazioni azionarie (le analisi del SWFI ne riguardano solo 1.700). Se ne ricavano due conclusioni: da un lato, i fondi tendono a investire in aree che considerano “culturalmente compatibili”; da un altro lato, nonostante il conclamato obiettivo di essere strumenti per la diversificazione, i loro impieghi vanno preferibilmente verso l'energia, le risorse naturali, l'edilizia e l'industria e il terziario ad alta tecnologia, nonché i servizi finanziari. Un lavoro dell'Università di Friburgo e della Università cinese di Hong Kong mette in rilievo come i fondi stiano guardando con grande attenzione all'Unione europea, il cui quadro regolatorio (con direttive comunitarie che si sommano alle normative nazionali), però, non viene giudicato dei “più attraenti”.

    Al fine d'incoraggiare i fondi sovrani a indirizzarsi verso l'Unione europea, e verso le infrastrutture europee, un veicolo importante è il Long Term Investors Club (www.ltic.org) creato nel 2009 dalla Cassa depositi e prestiti italiana, dalla Caisse des Dépôt et Consignations francese, dalla Banca europea per gli investimenti e dal tedesco KfW Bankengruppe; vi hanno aderito alcuni fondi sovrani di rilievo. Dal 27 al 29 ottobre, parte di questi temi verranno affrontati in una conferenza internazionale che si terrà a Venezia. La realizzazione congiunta d'infrastrutture può essere il grimaldello per migliorare indirettamente la regolazione.