Cresce il partito del teorema Summers/ 4

Per decidere quali opere avviare, lasciamo scegliere il mercato

Carlo Stagnaro

Il momento migliore era vent'anni fa. Altrimenti, è adesso. Si potrebbe parafrasare il proverbio africano, per illustrare il “teorema” del consigliere economico uscente di Barack Obama, Lawrence Summers. Il ragionamento è semplice: oggi ci sono le condizioni perfette per investire in infrastrutture. Dunque, facciamolo.  E' fuori discussione che l'economia italiana abbia bisogno di grandi opere: era vero prima della crisi, lo è a maggior ragione adesso.

    Il momento migliore era vent'anni fa. Altrimenti, è adesso. Si potrebbe parafrasare il proverbio africano, per illustrare il “teorema” del consigliere economico uscente di Barack Obama, Lawrence Summers. Il ragionamento è semplice: oggi ci sono le condizioni perfette per investire in infrastrutture. Dunque, facciamolo.  E' fuori discussione che l'economia italiana abbia bisogno di grandi opere: era vero prima della crisi, lo è a maggior ragione adesso. Secondo il Global Competitiveness Report 2010, l'Italia è settantatreesima su 139 stati per la qualità delle sue infrastrutture. Scrivono Xavier Sala-i-Martin e altri economisti nell'introduzione del rapporto: “Infrastrutture ben sviluppate riducono gli effetti delle distanze tra le regioni, integrando il mercato nazionale e collegandolo a basso costo con altri mercati... la qualità e l'estensione delle reti infrastrutturali hanno un impatto significativo sulla crescita economica”.

    Tuttavia, non tutte le infrastrutture servono allo stesso modo, e non tutte servono “a ogni costo”. Anzi, è essenziale trovare un meccanismo che, senza gravare sulle finanze pubbliche, sappia discriminare tra le opere indispensabili, quelle utili, e quelle inutili o dannose (le “cattedrali nel deserto” non stimolano la crescita, distruggono risorse). E', in altri termini, importante capire che non esiste un'astratta “domanda di infrastrutture”: esiste una concreta domanda di infrastrutture specifiche, necessarie a decongestionare alcune tratte o a creare collegamenti diretti tra aree che hanno bisogno di comunicare. L'unico modo per allineare domanda e offerta di infrastrutture, allora, è lasciare l'iniziativa ai privati che, in quanto orientati al profitto, per definizione non investono in opere (a priori) inutili. Solo depoliticizzando le infrastrutture è possibile individuare quelle che realmente servono, perché solo queste possono ripagarsi – e se si ripagano possono trovare sul mercato i capitali necessari, senza bussare alla porta del governo. Ciò non significa che la politica non abbia alcun ruolo: come Istituto Bruno Leoni, in un recente rapporto sulle infrastrutture autostradali – ma il ragionamento vale anche per altre grandi opere – abbiamo dimostrato che, senza un quadro legale certo, i privati non alzano un dito.

    Dunque, alla politica non bisogna chiedere soldi, bisogna chiedere di astenersi da iniziative estemporanee e capricciose, di qualunque natura esse siano: dalla riscrittura delle concessioni di Antonio Di Pietro alla fiscalità oscillante di Giulio Tremonti.  In alcuni casi, poi, è necessario correggere la regolazione in modo da eliminare i conflitti di interesse. Nel trasporto ferroviario, per esempio, finché la rete ferroviaria, Rfi, e la società erogatrice dei servizi, Trenitalia, faranno capo alla stessa holding e resteranno in mani pubbliche, resterà sempre il sospetto di una gestione nell'interesse del monopolista, anziché in quello del paese. Analogamente, porti e aeroporti dovrebbero aprirsi ai capitali privati, ed essere sottratti dalla logica perversa che, sovente, ne lega la sopravvivenza alla disponibilità di sussidi più o meno mascherati e che, per altri versi, ne castra le potenzialità di sviluppo. In sostanza, le infrastrutture possono costituire un volano per la ripresa – sia in virtù delle opportunità occupazionali che creano nell'immediato, sia perché rendono il paese più competitivo nel lungo termine – ma solo se emergono da una dinamica “bottom up” e se intercettano una domanda reale. Le grandi opere servono se servono: altrimenti – sarà tautologico ma non è scontato – non servono.