Tremonti, il dovere della fantasia

Giuliano Ferrara

Chi ha parlato con Giulio Tremonti ha appreso con sollievo che la frase rozza sulla non commestibilità della cultura il ministro non l'ha mai pronunciata. Il titolare dell'Economia non crede che la Scala chiuderà il sipario per il definanziamento pubblico né che morrà l'Università se non si trovasse la copertura finanziaria per un paio di emendamenti decisivi al varo della riforma Gelmini. Anche passaggi parlamentari cruciali sono iscritti nel registro delle retoriche e degli allarmismi di maniera.

    Chi ha parlato con Giulio Tremonti ha appreso con sollievo che la frase rozza sulla non commestibilità della cultura il ministro non l'ha mai pronunciata. Il titolare dell'Economia non crede che la Scala chiuderà il sipario per il definanziamento pubblico né che morrà l'Università se non si trovasse la copertura finanziaria per un paio di emendamenti decisivi al varo della riforma Gelmini. Anche passaggi parlamentari cruciali, come quello saltato e rinviato ieri sotto la ferula dell'occhiuta amministrazione del Tesoro, sono iscritti nel registro delle retoriche e degli allarmismi di maniera. Se Tremonti non stesse attento, salterebbe l'economia debitoria italiana, altro che storie, e se invece farà il taccagno, non morirà nessuno.

    Il ministro è chiuso a riccio, fa il guardiano della finanza pubblica e lo rivendica come dovere repubblicano in un momento di crisi del debito sovrano, e il nostro è certamente il più sovrano dei debiti pubblici, con l'aggravante che scarseggiano anche le entrate. Ma qui è il punto. C'è una via di uscita dal circolo vizioso del rigorismo? Come si fa, senza un ragionevole sostegno dei capitali privati, garantiti in qualche caso da impegni di finanza pubblica, a stimolare la crescita, a sollecitare i consumi, a determinare una netta inversione di tendenza nella crisi? Tremonti ha molte ragioni dalla sua parte, ma deve fare uno sforzo di fantasia e deve cercare di limitare il suo peraltro interessante cinismo, la sua alterigia militante. Una volta questo intellettuale e giurista della migliore scuola socialista, che ha saputo mediare la propria esperienza e competenza con le concretissime ambizioni di Berlusconi e della Lega, era accusato di “finanza creativa” perché inventava, dalle cartolarizzazioni in avanti, una soluzione brillante al giorno per il governo attivo del bilancio.

    Ora si limita a ricordare che la finanziaria tradizionale (per fortuna!) non c'è più, che non c'è più l'assalto alla diligenza degli  odiati capi di gabinetto ministeriali: saranno solo tabelle, dicono all'Economia, e si vedrà se nel decreto milleproroghe, a tempo debito, potrà essere ribadita la defiscalizzazione di un certo volume di investimenti privati in attività e beni culturali. Non è un po' poco, signor ministro? Non sarebbe meglio studiare soluzioni e innovazioni per garantire, al posto del rigor mortis, la mobilitazione del capitale privato? Lo ha fatto con successo per il lavoro, perché non per il sapere? E' in Italia il ministro tedesco della Cultura, Bernd Neumann. Perché non fa due chiacchiere con chi ha aumentato il bilancio federale di spesa culturale per la quinta volta consecutiva?

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.