Così Hezbollah e l'Iran spingono il Libano al fallimento di stato

Amy Rosenthal

In Libano, Hezbollah è più pericoloso di una guerra civile. Lo dice Michael Young, editorialista del Daily Star di Beirut e redattore del magazine americano Reason, durante un colloquio con il Foglio. “Il Partito di Dio è un'estensione del regime iraniano – spiega – Non si tratta di un movimento autenticamente libanese e non possiede priorità libanesi”.

    In Libano, Hezbollah è più pericoloso di una guerra civile. Lo dice Michael Young, editorialista del Daily Star di Beirut e redattore del magazine americano Reason, durante un colloquio con il Foglio. “Il Partito di Dio è un'estensione del regime iraniano – spiega – Non si tratta di un movimento autenticamente libanese e non possiede priorità libanesi”.

    Young è un brillante esperto di medio oriente. Il suo ultimo libro, intitolato “The Ghosts of Martyrs Square” (i fantasmi della piazza dei Martiri) è il racconto degli eventi tumultuosi accaduti tra il 2005 e il 2009, degli omicidi eccellenti, delle guerre e delle rivolte che hanno contribuito a far crescere il potere del Partito di Dio e la sua influenza sulla politica libanese. L'analista ha vissuto in prima persona buona parte della guerra civile libanese e sostiene che, dal 1975 al '90, “nella mente di molti libanesi c'era la sensazione che la fine della guerra avrebbe segnato il ritorno dello stato libanese. Con il passare del tempo, tuttavia, il Libano è rimasto lo stato giacobino che era prima del conflitto”. Young ripercorre gli eventi accaduti dal 2005 al 2009, dall'assassinio dell'ex premier, Rafiq Hariri, alla guerra tra Hezbollah e Israele, e ricorda “gli sforzi sistematici della Siria per tornare effettivamente nel paese, imponendo di nuovo la propria egemonia. Con Hezbollah è arrivato l'antistato, un partito la cui esistenza come organizzazione politica e militare è più potente del governo libanese. Hezbollah è supportata da una comunità sciita molto unita e ha una forza militare maggiore rispetto a quella dell'esercito grazie all'aiuto di Siria e Iran. Ogni sforzo di riportare questo movimento in linea con la logica dello stato è virtualmente impossibile”.

    Per Young, la questione del Partito di Dio è la questione dell'intera comunità sciita del Libano. “Tutti hanno capito che una mossa contro Hezbollah sarebbe percepita dagli sciiti come una mossa contro l'intera comunità – spiega al Foglio – Sinché non risolveremo il problema, continueremo ad avere lo stato di Hezbollah da una parte e lo stato libanese dall'altra. Trovare un modus vivendi che permetta a Hezbollah di esistere in pace con le altre comunità è impossibile. Esiste il pericolo di una guerra tra sciiti e sunniti: sarebbe qualcosa di infinitamente peggiore di ciò che abbiamo visto finora”. Al contrario di molti politici e studiosi della sinistra europea, Young dice che “una forza politica legittima riconosce il sistema in cui opera, ma Hezbollah non ha mai riconosciuto o rispettato la legittimità del governo di Beirut: vede lo stato libanese come uno strumento per preservare la propria autonomia militare. Una forza legittima non può minare costantemente le basi del sistema politico”.

    Dopo la Rivoluzione dei cedri,
    molti analisti hanno visto nella fine della presenza militare siriana – così come l'istituzione di un tribunale internazionale per investigare sull'omicidio di Rafiq Hariri – i segni di una nazione pronta a disfarsi dell'influenza di Damasco. Cinque anni dopo, niente di quello che ci si aspettava è accaduto. “Credo che le aspettative fossero troppo alte e che la gente abbia pensato che ciò che stava succedendo nel 2005 fosse qualcosa di nuovo – sostiene Young – Ma ciò che è successo dopo il 2005 è il frutto della natura intimamente settaria della società libanese. I siriani stanno cercando di ritornare in Libano, vorrebbero riprendersi il frutto dei loro sforzi facendo in modo che Beirut torni a essere una pedina. Questo ha creato una certa tensione nei confronti di Hezbollah, che vorrebbe il paese più vicino all'Iran, ma sbaglieremmo a dire che, per questo, Siria e Iran o Siria e Hezbollah stiano per entrare in conflitto”. Il figlio di Rafiq Hariri, Saad, è diventato premier nel novembre 2009 e da allora ha incontrato il presidente siriano, Bashar el Assad, in numerose occasioni. Nel 2007 disse ai reporter di Time Magazine di ritenerlo responsabile per l'omicidio del padre; oggi è pronto alla riappacificazione.

    Per Young, “anche i sauditi, i principali sponsor di Saad Hariri, preferiscono i siriani in libano all'Iran. Sebbene Hariri sappia molto bene chi abbia assassinato suo padre, la realtà dei fatti lo costringe ad allearsi con Damasco: una delle ragioni per cui lo sta facendo è indebolire Hezbollah in Libano”. La questione libanese ha ripercussioni anche sui colloqui di pace per il medio oriente che impegnano, proprio in queste settimane, il governo di Israele e i rappresentanti dell'Autorità nazionale palestinese, con il sostegno di Washington. “Molti sono pessimisti al riguardo – dice Young – La Siria non riprenderà a negoziare con Israele finché potrà muovere la propria pedina libanese. I siriani vogliono ottenere le alture del Golan e Beirut è una parte cruciale di qualunque trattativa. Questo spiega perché siano così entusiasti di riprendere la propria egemonia sul paese. Se possibile, vorrebbero farlo militarmente. La Siria è abbastanza contenta di vedere che il processo di pace fra Israele e Palestina permette di accelerare la resurrezione del proprio potere a Beirut, ma non vuole che i negoziati proseguano senza aver ripreso il controllo del Libano”. Oggi il paese è un campo di battaglia controllato da Hezbollah e dalla Siria, ma non può essere definito uno “stato fallito”, come sostengono molti osservatori in occidente.

    “Il Libano ha ancora un governo centrale
    e un esercito, per quanto inefficienti – spiega al Foglio Young – Effettivamente, non siamo in un paese normale. Non è normale, per esempio, che una milizia come quella di Hezbollah abbia il potere che ha oggi. Ma vorrei ricordare che questo non è normale neanche per i molti libanesi che vogliono tornare alla posizione di base, che vorrebbero trasformare il governo in una forza dominante nello stato, e le sue istituzioni, incluso l'esercito, in un organismo in grado di detenere il monopolio legittimo della forza. Non credo che potremo risolvere la questione nel prossimo futuro, ma questa ambiguità tra lo stato e la sua politica deve risolversi. Non succederà presto, e se i siriani riusciranno a imporre nuovamente la loro volontà sul Libano, cosa abbastanza possibile, continueranno a perpetuare l'anomalia tra Hezbollah e lo stato. Sebbene io non creda che il Libano diventerà una nazione normale, il paese non vuole essere visto come uno stato fallito. Il Libano ha sviluppato e preservato una forma paradossale di liberalismo basato su istituzioni illiberali. Ha problemi seri, ma resta uno spazio liberale in una regione illiberale. Perciò, quello che il Libano deve fare è trovare un nuovo contratto sociale in cui si possa avere stabilità e unità insieme alla libertà. Sfortunatamente, oggi c'è libertà senza stabilità”.

    La fragilità del Libano e le sue divisioni interne rendono difficile anche il compito dei mediatori stranieri. “Sfortunatamente, è molto complicato avere a che fare con lo stato libanese – commenta Young – Ci sono interessi troppo divergenti: hai Hezbollah nel governo, i pro-siriani nel governo, gente come Saad Hariri che è costretta ad allearsi con la Siria nonostante non sia proprio un pro-siriano. Hai quelli che sono contro la Siria e quelli che sono contro Hezbollah. E' estremamente difficile per ogni interlocutore europeo, specialmente per una nazione straniera trattare direttamente con il Libano perché c'è un range molto vasto di interlocutori, ognuno con i propri interessi. Le forze Unifil nel Libano del sud sono un chiaro esempio: con chi devono rapportarsi? Con l'esercito libanese? Bene, l'esercito libanese nel sud è pesantemente influenzato da Hezbollah. Quindi, le forze di Unifil devono avere a che fare con Hezbollah anche se Hezbollah è uno dei gruppi che dovrebbero controllare, specialmente per quanto riguarda il riarmo. In altre parole, si ritrovano spesso a dipendere da chi dovrebbero sorvegliare”.

    “Posso immaginare quanto questo sia frustrante per gli europei – prosegue l'analista – ma se c'è una cosa per la quale valga la pena di lottare, quella è proprio la vita delle istituzioni  libanesi. Non c'è niente che Hezbollah desideri di più che vedere lo stato libanese e il suo esercito delegittimati nella comunità internazionale. Ci deve essere quindi uno sforzo per sostenere il Libano anche se questo significa imporgli delle condizioni. In altre parole, non bisogna solo dare tutto ciò che i libanesi chiedono, ma è anche importante ricordare ogni volta che c'è una frattura fondamentale tra Hezbollah e lo stato libanese e tra ciò che la Siria vuole in Libano e quelli che sono gli interessi dello stato libanese. Gli europei devono provare a rafforzare le capacità dello stato libanese indipendentemente da Siria e Hezbollah. Come si possa fare questo nello specifico, ovviamente, è terribilmente complicato”.