La Cogne di sua maestà

Con l'omicidio Scazzi riapre l'obitorio televisivo

Stefano Di Michele

Il sangue, finalmente! Che non se ne poteva più di trasmissioni sui grandi amori del Novecento, nobildonne svanite, sfilate di moda da ogni pertugio a mare della penisola. E' autunno: cadono le foglie, si accorciano le giornate e, col favore delle tenebre, riaprono gli obitori televisivi. E' tutto un fiutare l'aria, un annusare la tragedia in arrivo, un rimestare tra quelle vecchie. Lo schizzo vermiglio, ecco! Il plastico – dalle case delle bambole alle case di morti ammazzati!

Leggi La nuova frontiera dell'omicidio: le telecamere in casa dell'assassino di Annalena Benini

    “Da parte a parte la gola ho tagliato / Nella coperta poi l'ho trasportato / Giù alla latrina, là sopra la pozza / E l'ho gettato nella terra sozza” (Ballata popolare inglese dedicata al delitto di Road Hill House).

    Il sangue, finalmente! Che non se ne poteva più di trasmissioni sui grandi amori del Novecento, nobildonne svanite, sfilate di moda da ogni pertugio a mare della penisola. E' autunno: cadono le foglie, si accorciano le giornate e, col favore delle tenebre, riaprono gli obitori televisivi. E' tutto un fiutare l'aria, un annusare la tragedia in arrivo, un rimestare tra quelle vecchie. Lo schizzo vermiglio, ecco! Il plastico – dalle case delle bambole alle case di morti ammazzati! L'arma del delitto – pure un mestolo, quale simil-arma alto levato davanti alla telecamera! La cartina della zona! L'elaborazione al computer – se non c'hai l'elaborazione al computer del crimine commesso, sei un vero pezzente televisivo! E il luminol, che dice il luminol? L'accaparramento furioso del parentado tutto – padri e madri, amici e cugini, sorelle e fratelli, vicini e lontani, la folla bovina muta in attesa della diretta dietro il giornalista piazzato sul luogo del crimine. Applausi alle bare che passano – “luna nera di falde amare che passano le bare”, quando nella più felice delle occasioni il cadavere è ancora presente. E a coriandoli – ripetitivi e sospiranti – gli ospiti in salmodiante processione da uno studio all'altro: giornalisti e generali e avvocati e magistrati e criminologi e poliziotti vari e svariati carabinieri… La povera ragazza di Avetrana di fresca e feroce dipartita; ah, se giungesse qualche notizia pure da Garlasco; uh, Amanda Knox che si farà film; eh, la strage di Erba, ma non ha più niente da far dibattere, peccato; oh, il delitto di Cogne… Eccolo, il prototipo di tutto il rafficare osceno di sangue e di (quasi) sempre inutili balbettii: il povero corpo di Samuele, la mamma condannata, storia di anni e anni fa – c'era la neve, prima del sangue.

    Non ci sarebbe più nulla da dire, ma il delitto di Cogne è mutato in simulacro dei nostri tempi d'orrore televisivo. Così, poche sere fa, uno accendeva la televisione, e riecco la casa lassù in alto, la mamma e il papà, il triciclo abbandonato, altre aule di tribunale… Una sazietà oscena, ma mai ci si sente satolli o abbastanza disgustati. Del fantasma di Cogne – dell'estremo abuso che se n'è fatto – non ce ne libereremo mai. Al più la storia si ripeterà. Anzi, si è già ripetuta. Perché una Cogne c'è già stata, esattamente centocinquant'anni fa – con agghiaccianti similitudini. In Inghilterra, negli anni di Dickens e Darwin e dei primi detective. Fu la Cogne della regina Vittoria. Che andò così..
    Avvenne in una grande casa di campagna dalle parti di Trowbridge, nel Wiltshire. Avenne nella notte di venerdì 29 giugno 1860. Un bambino di tre anni, Saville, fu prelevato dal suo lettino, trascinato fuori casa, sgozzato e affondato nella latrina usata dalla servitù (ah, che meravigliosa seconda serata televisiva ne verrebbe fuori!). Casa chiusa, inaccessibile da fuori – l'assassino, dunque, è qualcuno della famiglia. Si scatena la curiosità dei media – articoli di giornali, memorie, pamphlet anonimi (firmati, ad esempio, “Avvocato qualificato”), ballate popolari, romanzi. Curiosi che fanno turismo sul luogo del delitto. Gelosie tra gli investigatori. Detective dilettanti che si mettono al lavoro per conto loro. Un tale, Thomas Saunders, avvocato e giudice, che di testa sua raduna tutti gli abitanti della zona, per raccogliere pensieri e osservazioni, “questo materiale informe, questa banca dati zeppa di pettegolezzi e dettagli insignificanti” (ah, che meravigliosa seconda serata televisiva già pronta!). Persino un giornale arriva a dare dello “scervellato” a Saunders, persino una brava donna di quelle parti a un certo punto si scoccia e se ne va: “Ossignore, cosa ci faccio qua, che c'ho la pentola sul fuoco!” – per inciso, l'ignota massaia appare quasi la possibile vendicatrice pure dei sanguinolenti abusi mediatici dei giorni nostri.

    Fu un caso che nell'Inghilterra della regina Vittoria tenne banco per anni e anni – costò carriere, comportò riabilitazioni, suscitò passioni. E' tutto raccontato in un libro appassionante scritto da Kate Summerscale, pubblicato da Einaudi nel 2008 e appena ristampato: “Omicidio a Road Hill House. Ovvero, invenzione e rovina di un detective”. E' una ricostruzione fin nel più piccolo particolare dell'omicidio, dei sospetti, delle indagini. Di una paura, e di una curiosità: l'una e l'altra, di massa. E insieme un saggio storico: le condizioni di lavoro, l'organizzazione della polizia, il potere dei giornali, la struttura del processo, l'urbanistica, le scienze, le carceri, il clero. Della sacralità della casa vittoriana violata prima dal delitto, poi dalla legge. E dell'ennesimo, insolubile mistero che l'omicidio a Road Hill House si porterà dietro per sempre: quello rimasto nelle pagine incompiute dell'ultimo romanzo di Dickens, “Il mistero di Edwin Drood”, che contiene elementi ispirati all'assassinio del piccolo Saville. Dickens seguì appassionatamente il caso – anche se, clamorosamente, i suoi sospetti alla fine risultarono puntati sulle persone sbagliate. Fu l'ispettore Jonathan Whicher a intuire tutto fin quasi dall'inizio – ma quell'intuizione in parte gli costò la carriera. “Gli unici indizi sulla sua figura sono i racconti di Dickens e Wills, oltre ai verbali di polizia. Da questi deduciamo che era alto 170 centimetri, aveva capelli castani, carnagione chiara e occhi azzurri”.

    Il delitto avvenne nella casa del signor Samuel Kent, il padre di Saville, viceispettore delle fabbriche, 59 anni. Famiglia rispettabile, la sua. Solo e apparentemente rispettabile – come spesso sono le famiglie. E proprio nel groviglio di rapporti familiari, di odi e rancori, alla fine si trovò la soluzione. Nella grande casa, Kent viveva con la seconda moglie Mary, e i loro tre figli: Saville, appunto, Mary Amelia ed Eveline, tutti tra i cinque e un anno. Con loro abitavano i figli del primo matrimonio – di primo letto, come si dice – del signor Kent: Mary Ann, Elizabeth, Constance e William: la prima aveva ventinove anni, l'ultimo quattordici. Intorno, una pletora di personaggi – che non poco complicarono la soluzione dell'omicidio. La sera prima si vide anche una cometa in cielo – ma gli astri erano innocenti. E nella notte si sentì abbaiare il cane – un terranova nero e grande – ma non tanto abbaiò. “Non si trova più Saville” – cominciò così. La bambinaia dormiva in camera con il piccolo e una sorellina, ma giurava di non aver sentito nulla. E non vedendo il bambino nella culla, pensava che la madre lo avesse preso con sé. Furono un calzolaio e un contadino, che partecipavano alle ricerche, a trovare il corpo della vittima. “Oh, cosa ci tocca vedere”. C'era poco sangue intorno, appena una piccola pozza. E la coperta del lettino del bimbo, invece di quel povero sangue intrisa. Sotto la coperta, il piccolo corpo, “adagiato sull'asse di legno che chiudeva in parte lo scarico, c'era Saville, coricato di lato con un braccio e una gamba leggermente piegati”, viene resocontato. “La povera testolina era quasi staccata”, disse il calzolaio. “Aveva la gola tagliata e sangue su tutto il viso”, disse il contadino. “La mia ipotesi – sostenne un altro abitante della zona, un macellaio – è che il bimbo sia stato appeso a testa in giù e in quella posizione qualcuno gli abbia tagliato la gola”. Adesso, la Cogne della regina Vittoria sta per avere inizio.

    La polizia locale, ovviamente, non viene a capo di niente. C'è una camicia da notte scomparsa, di mezzo. Pareva determinante per la soluzione del caso – ma quanto si appurerà anni dopo. Un “detective tra i più esperti”, cominciarono ad invocare i giornali. Ma molte cose, il delitto del piccolo Saville, metteva in gioco. Perquisire la casa, per esempio. Quasi un sacrilegio. I giornali (mancando la televisione: si era più arretrati tecnologicamente, non meno forsennati) insorsero. “Ogni Inglese prova orgoglio, non mero compiacimento, quando pensa alla cosiddetta ‘sacralità' del suo domicilio – scandì il Morning Post – Soldati, poliziotti, spioni del Governo: nessuno osa entrare in una casa inglese”. E in quel groviglio di mezze convinzioni e di mezze convenienze che sta per cacciarsi l'ispettore Whicher – figlio di un ortolano, investigatore con i fiocchi. C'è da dire qualcosa, sulla polizia e sui detective di allora. Il primo vero corpo di polizia nella storia inglese, quella metropolitana di Londra, aveva ancora pochi anni. Il poliziotto andava in giro così combinato (nel racconto di uno di loro): “Dovevo mettere la marsina, con le code lunghe, un cilindro di pelle di coniglio e cuoio, che pesava più di mezzo chilo, un paio di stivali alti, che dovevano avere uno spessore di almeno un millimetro e mezzo, un cinturone alto dieci centimetri, con una gran fibbia di ottone larga quindici centimetri (…) Non mi ero mai sentito tanto a disagio in vita mia”. Ronda di otto ore, in due turni, dodici chilometri a piedi, “non poteva sedersi e nemmeno appoggiarsi a un muro, non doveva usare un linguaggio volgare o intrattenersi con la servitù di sesso femminile”. Alla cultura inglese ripugnava l'idea di poliziotti in borghese. Così, nel 1843, il Chamber's Edinburgh Journal lanciava l'allarme: “Di recente la polizia ha selezionato un gruppo di uomini abili, chiamato ‘squadra investigativa', che a volte agiscono vestiti in abiti civili”. Seguì la scomunica, autorevolissima già allora, del Times: “Ci sarà sempre un che di moralmente ripugnante nell'idea stessa di spionaggio”. Whicher era stato un agente, ora era un investigatore senza divisa. E se da un lato il buon borghese inglese provava repulsione per lo sbirro in abiti civili, dall'altro lo stesso buon borghese ne era attratto – così che comincia l'infinita epica letteraria (non sempre di gran qualità) della figura dell'investigatore, e persino la celebrazione ad opera di grandi scrittori come Dickens, e l'ispettore Bucket di “Casa desolata” pare abbia qualcosa dello stesso Whicher.

    Quando giunge a Trowbridge, capisce che deve praticamente ricominciare tutto da capo, “sicuro che il colpevole fosse uno degli abitanti della casa, e che quindi tutti i sospettati si aggirassero ancora sul luogo del delitto”. Per centinaia di pagine, “Omicidio a Road Hill House” racconta il procedere dell'inchiesta dell'investigatore, gli intoppi, le gelosie e i sospetti che si creano intorno a lui – la certezza raggiunta, ma certezza senza la prova definitiva. Così, che solo quando il colpevole parlerà l'enigma verrà sciolto. E' ciò che succederà, ma devono ancora passare degli anni. Ma qui – a confronto con la gestione mediatica odierna dei crimini – quello che incuriosisce è l'esatto replicarsi, un secolo e mezzo prima, delle stesse dinamiche. Dunque: bambino assassinato, delitto in casa, il colpevole da cercare in famiglia, curiosità morbosa dei giornali. La folla che preme (e che urla alla famiglia, mentre va in chiesa: “Chi ha ucciso il bambino? Chi è stato?”). La principale sospettata – che pure si rivelerà alla fine l'assassina – che inizia a ricevere richieste di matrimonio, una demenza che si ripete ancora oggi con ogni assassino di un certo peso messo dietro le sbarre. Siccome il miracolo non avveniva, la stampa cominciò a prendersela con gli investigatori all'inizio lodati, “individui molto banali, che al di fuori della loro routine non valgono nulla” (Saturday Review), “ogni indagine inutile è una vittoria per l'assassino” (Times). E come oggi ci si lamenta del dilagare del crimine, su giornali e televisioni, facendo intanto di tutto per far dilagare la passione per il crimine, così lo stesso allora avveniva: “Perché in questo periodo i quotidiani sono pieni zeppi di storie orribili? Si è data la colpa al perdurare del cattivo tempo, all'eterno grigiore, alle piogge perenni degli ultimi dodici mesi; tutto ciò ha instillato nei nostri compatrioti una buona misura di tetraggine e acrimonia”. Whicher è di gran lunga lo sbirro più intelligente sulla scena del crimine. Un crimine che diventa un'ombra quasi inafferrabile grazie alle paturnie dell'epoca vittoriana: la sacralità della casa, la virginale innocenza delle fanciulle, l'intimità da preservare sempre. C'è una camicia da notte che appare e scompare – come sempre, inutilmente, viene ricordato il pigiamino dell'innocente Samuele – macchiata di sangue, il locale sovrintendente che nientemeno non ne parla agli investigatori per vergogna: “Non l'ho tenuta con me neppure per un minuto. Non volevo proprio toccarla… Mi sembrava che mostrare una cosa simile in pubblico fosse indecente e maleducato”. La folla curiosa, pur non ancora televisiva, spinge per posare l'occhio sull'orrore, lo sbirro di guardia “assediato da torme di fanciulle che chiedevano il permesso di vedere la latrina, dove per terra erano ancora visibili le macchie di sangue” (ah, che capolavoro di seconda serata televisiva sarebbe questo!).

    Whicher capì tutto, ma fu sconfitto. Capì che l'assassina era Constance, che aveva ucciso il fratellastro in odio alla matrigna. Capì il groviglio oscuro di quell'esemplare famiglia vittoriana. Parole, sguardi, mezze verità. Aveva tutto, tranne la prova. (“Nel 1825 Jeremy Bentham pubblicò il suo ‘Trattato sulla prova giudiziaria' in cui sosteneva la necessità che tutte le accuse fossero corroborate da prove materiali. Solo gli oggetti erano affidabili: il bottone, il boa di piume di struzzo, la camicia da notte, il coltello”. Era l'inizio dell'era di Darwin. “Le cose hanno un ruolo più importante delle persone”, spiegavano i romanzi di Poe). Il nostro ispettore aveva tutto – ma non la prova. Sapeva, ma doveva arretrare. “Al povero Whicher quasi si spezzò il cuore”. La morbosità dei giornali lo assediava, i libri di memorie lo mettevano alla berlina, nelle strade si cantavano le ballate sul bimbo scannato a Road Hill House. Si ritirò nell'ombra, e attese. O l'assassino parlava, o l'omicidio non avrebbe trovato soluzione.

    L'assassino parlò. Era Constance, come Whicher aveva intuito – come decenni dopo Freud avrebbe spiegato, “nessun mortale è in grado di mantenere un segreto”. Ma capì troppo presto, che a volte è come non capire affatto. Constance parlò spinta da una sorta di congregazione religiosa dove aveva trovato rifugio. Il rasoio del padre, era stato usato – disse. Tutto in famiglia: l'origine del male, l'arma del delitto. La camicia da notte, che pure aveva indirizzato i sospetti dell'ispettore, non era così importante. Whicher si mise a fare l'investigatore privato. Neanche gli investigatori privati piacevano, agli inglesi: “Il popolo inglese, fra tutti al mondo, ha il più profondo orrore dello spionaggio”, disse un giudice. Il libro racconta la fine di tutti i protagonisti: sospetti, poliziotti, padri e madri, giornalisti e magistrati. Tutti morirono nel giro di pochi anni. Solo Constance sopravvisse – quasi a se stessa, e per quasi mezzo secolo all'era vittoriana. Fu fotografata in Australia, nel 1944, “ha compiuto cent'anni, un tempo assisteva i lebbrosi”. Lì aveva raggiunto, dopo vent'anni di carcere, il suo fratello più amato, William. Sospettò qualcosa, lo stesso Whicher, sull'aiuto che lui avrebbe potuto dare a lei, la notte del delitto, la notte che il cane abbaiò – poco, però. Ma ormai tutto ciò che era stato parte del delitto di Road Hill House era svanito. Se c'era ancora un segreto, Constance che “come un topolino aveva la capacità di sparire in caso di pericolo”, se lo portò per sempre nella tomba, all'altro capo del mondo.

    Questa fu la Cogne della regina Vittoria. Attraversò un secolo, senza uscire del tutto dalle ombre: sempre difficile far calare il sipario sul sangue. Speriamo che la rinnovata abbuffata televisiva – così inutile, così stomachevole – non duri tanto a lungo.

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