Federalismo e poco più
Così una Lega sempre più dubbiosa prepara il lento ritorno a casa
Il gran consiglio federale di ieri è arrivato in un momento delicato per la Lega, alle prese col destino del federalismo, quello del governatore del Piemonte e la tentazione, soprattutto della base, di rovesciare il tavolo. La riforma del federalismo fiscale piace alla Lega, ma un po' meno ai leghisti. Se infatti ministri e parlamentari verdi difendono la legge delega 42, che servirà soprattutto a riequilibrare la spesa pubblica, gli amministratori del nord hanno invece cominciato a fare i conti, e sono scettici.
Il gran consiglio federale di ieri è arrivato in un momento delicato per la Lega, alle prese col destino del federalismo, quello del governatore del Piemonte e la tentazione, soprattutto della base, di rovesciare il tavolo. La riforma del federalismo fiscale piace alla Lega, ma un po' meno ai leghisti. Se infatti ministri e parlamentari verdi difendono la legge delega 42, che servirà soprattutto a riequilibrare la spesa pubblica, gli amministratori del nord hanno invece cominciato a fare i conti, e sono scettici. I sindaci temono che il regime di maggiore autonomia finanziaria fornirà alle loro casse gli stessi fondi che hanno ora grazie ai trasferimenti dello stato; mentre i governatori hanno paura di dover aumentare in futuro le tasse per compensare i tagli, che verranno ulteriormente aggravati dal calcolo dei costi standard. Per questo motivo Umberto Bossi e i suoi colonnelli agitano in continuazione lo spettro delle urne. Per accelerare l'iter degli ultimi decreti attuativi e poi tornare al voto, senza perdere la faccia con i propri elettori.
Il senatore leghista Paolo Franco, vicepresidente della “bicameralina”, la commissione consultiva per l'Attuazione del federalismo, difende infatti con convinzione i principi di equità e di responsabilità amministrativa che deriveranno dalla riforma. E assicura al Foglio: “Il federalismo è in dirittura d'arrivo. Anche se cadesse il governo e si votasse a marzo, noi riusciremmo a concludere l'iter della riforma”. Nel frattempo però una cosa è chiara: la missione della Lega non ha dato i frutti sperati. Certo, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha fatto molto contro la criminalità organizzata ed è apprezzato per le sue capacità politiche anche dall'opposizione. Ma il Carroccio è sceso a Roma per difendere gli interessi del nord e il giudizio del movimento è (quasi) unanime: la Lega è rimasta intrappolata nelle paludi romane. “Abbiamo approvato molte leggi che non condividevamo in cambio di una riforma che non era quella che sognavamo. Allora meglio tornare a casa e puntare su un'ulteriore espansione territoriale”, dicono diversi amministratori leghisti.
Un pensiero condiviso da molti dirigenti, che stanno facendo anche i calcoli su come sopravvivere all'eventualità dell'implosione della maggioranza, confermano al Foglio fonti dirette di via Bellerio. Dove ieri pomeriggio si è tenuto il consiglio federale, al quale hanno partecipato tutti i vertici. All'ordine del giorno c'era soprattutto la complicata situazione del Piemonte, innescata dai ricorsi al Tar di Mercedes Bresso per il riconteggio delle schede attribuite a Roberto Cota, il cui futuro è appeso al giudizio del Consiglio di stato. Alla fine della riunione, come spesso capita quando le questioni sono importanti, bocche cucite e profilo basso per tutti. Il capogruppo di Montecitorio, Marco Reguzzoni, ha dichiarato che si è parlato solo delle elezioni comunali di Milano. Smentito però da Matteo Salvini, indicato come probabile candidato vicesindaco di Milano, che ha dichiarato al Foglio: “Non mi risulta. Il Capo ha rimandato qualsiasi discussione sulla situazione nazionale e ci siamo concentrati solo su questioni interne al partito”.
Eppure se il Consiglio di stato (che si riunirà oggi) dovesse annullare il risultato del voto in Piemonte, la Lega si troverebbe alle prese con un vulnus doloroso. E secondo alcuni potrebbe decidere di staccare davvero la spina al governo. Anche se il progetto della Lega pare essere solo questo: incassare prima quel pezzo di federalismo che è riuscita a costruire, e tornare a “casa”, in attesa di nuove elezioni, per rafforzare la propria rappresentanza territoriale al nord. Concentrandosi su quello che sa fare meglio: guidare gli enti locali. E creando un'area strategica politica, economica, produttiva che segnerebbe un divario ulteriore con il resto del paese. Senza mai dimenticare che il suo modello politico di riferimento è la Csu bavarese. “Andiamo avanti a lavorare, fiduciosi che tutti mantengano i patti”, ha detto Reguzzoni. Poi si vedrà.
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