Dirigenza in rotta, conduttori ipertrofici. Il mistero del “Vietnam” Rai

Marianna Rizzini

“Disfatta”, “rotta”, “Caporetto”, “Cambogia”, “Vietnam”. In Rai non si sa più a quale cupa metafora storico-militare ricorrere per descrivere la situazione: il direttore generale sotto accusa da sinistra e da destra dopo una serie di atti che potrebbero essere definiti “autogol”, il presidente del cda tacciato di pilatismo dalla propria area di provenienza, i conduttori quantomai ipertrofici, i tg assediati dalla concorrenza di Enrico Mentana.

Leggi Ecco l'ennesima zuffa in Rai di Barbara Palombelli

    “Disfatta”, “rotta”, “Caporetto”, “Cambogia”, “Vietnam”. In Rai non si sa più a quale cupa metafora storico-militare ricorrere per descrivere la situazione: il direttore generale sotto accusa da sinistra e da destra dopo una serie di atti che potrebbero essere definiti “autogol”, il presidente del cda tacciato di pilatismo dalla propria area di provenienza, i conduttori quantomai ipertrofici, i tg assediati dalla concorrenza di Enrico Mentana (“pare di essere nel romanzo ‘La strada' di Cormac McCarthy: desolazione, apocalisse e distruzione”, dice tra il serio e il faceto un frequentatore del settimo piano). Intanto Adriano Celentano chiede le dimissioni del “dittatore generale Rai” dalle colonne del Corriere della Sera e Fabio Fazio, con Roberto Saviano, insorge contro i presunti stop di Masi al contratto (sostanzioso?) di Roberto Benigni. Risultato: l'agente Lucio Presta dice di aver accettato un'offerta Rai e aggiunge: “Roberto da Fazio ci andrebbe anche gratis” (e non per duecentocinquantamila euro, come pure fonti Rai assicuravano ieri mattina). Saviano dice che quelle di Masi sono “fesserie” (il problema secondo Saviano e Fazio è il contenuto delle puntate: le proprietà del Cav.?, l'intreccio mafia-politica?).

    Masi dice di non aver bloccato alcunché ma soltanto “approfondito” l'aspetto economico. Ex post, dirà: se Benigni viene gratis, ben venga. E però questo è l'ennesimo intervento di Masi (prima in azione su Michele Santoro, Serena Dandini e Milena Gabanelli) che ottiene l'effetto opposto a quello presumibilmente immaginato (controllare? sanzionare? mediare?). Vuoi per intempestività della parola vuoi per eterogenesi dei fini, infatti, Santoro, Gabanelli, Dandini e Fazio, adottati come martiri da spettatori e deputati di ogni colore, gridano “censura” e non si spostano di un centimetro. “Che cosa ci voleva per dire, mesi fa, a RaiTre: non avete un budget per simili imprese da prima serata?”, si chiede un veterano Rai, convinto che “un dg possa e debba imporre delle regole, ma con fermezza e a monte. Se opera a valle fa la figura del censore”. E se qualcuno vede Masi in uscita dalla Rai in tempi non lunghissimi, Santoro, dopo essere stato sospeso dal dg come a scuola per un “vaffanbicchiere”, andrà regolarmente in onda (e pazienza se Masi dice a Bruno Vespa di voler andare fino in fondo). Il critico del Corsera Aldo Grasso, interpellato in proposito, è costernato: “L'apparizione di Masi a ‘Porta a Porta' è la sua pietra tombale. Non sai se è uno capitato nel posto sbagliato o cos'altro. In Rai ci si trova tra l'incudine della demagogia sfrenata dei vari Santoro e il martello dell'impreparazione della dirigenza”.

    Un alto dirigente sbotta: “Non si capisce come si sia potuto perdere per strada anche l'unico principio sacro in azienda dai tempi dell'Eiar fascista, e cioè il principio di autorità che, mitigato nel Dopoguerra e unito al rigore nei conti della vecchia gestione liberale di area ‘Giustizia e Libertà', dava alla Rai una solidità a prescindere”. Altre soluzioni “autorevoli e non attaccabili erano a disposizione di un dg pronto ad applicarle”, fa notare un esegeta di storie Rai. Per esempio: “Se si voleva ridimensionare la totale tutela legale della Gabanelli, cosa ragionevole per equiparare ‘Report' ad altri programmi giornalistici, lo si poteva fare nel 2009, com'era stato ventilato. Non si è voluto agire, e però oggi si minaccia a cose fatte. Quanto al caso Ruffini – direttore di RaiTre rimosso dall'azienda e reintegrato per sentenza, ndr – c'erano molti modi per scongiurare l'ingresso del giudice in campo aziendale”.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.