Lezioni di spettacolo

Mariarosa Mancuso

E' la sua quarta volta all'Università Cattolica di Milano. Va a finire che gli daranno una laurea, anche se Fiorello non ricorda più da quanto tempo non legge un libro, e al cinema va soltanto per accompagnare la figlia (film preferito: “Alieni in soffitta”). Viene accolto da un boato, nell'aula Gemelli scattano i flash dei fotografi e i telefonini degli studenti. Lo accompagna il professor Aldo Grasso, subito si scambiano i posti dietro i cartellini con il nome.

    E' la sua quarta volta all'Università Cattolica di Milano. Va a finire che gli daranno una laurea, anche se Fiorello non ricorda più da quanto tempo non legge un libro, e al cinema va soltanto per accompagnare la figlia (film preferito: “Alieni in soffitta”). Viene accolto da un boato, nell'aula Gemelli scattano i flash dei fotografi e i telefonini degli studenti. Lo accompagna il professor Aldo Grasso, subito si scambiano i posti dietro i cartellini con il nome. La laurea, a Fiorello, bisognerebbe darla nell'arte della conversazione, tanto è garbato a raccontare gli acciacchi dell'età (“una volta pensavo che a 50 anni bisognasse tenere la bara pronta nel tinello”), il passato non specchiatissimo (“la Milano da bere me la sono bevuta tutta, meno male che non c'erano i telefonini a darne testimonianza”), la chirurgia plastica (“Emilio Fede si è rifatto, ma non è in asse”).

    Aggiunge le scuse solitamente fornite per i ritocchini, imitando la voce di chi proclama compunto: “L'ho fatto per stare bene con me stesso”. E pazienza se gli altri a guardare certe facce tanto bene non si sentono. Fiorello mette in guardia i giornalisti che prendono appunti: l'ironia non si sente, se uno trascrive le battute. E mi raccomando, non date l'impressione che mi sveglio la mattina e faccio proclami. Si fa aiutare da una studentessa di Magenta a tenere il filo del discorso. Impresa impossibile, per le troppe divagazioni da X Factor al titolo per un prossimo libro di un comico che non crede nell'originalità: “Anche le formiche nel loro piccolo scopiazzano”.

    A differenza dei registi che non vanno mai al cinema e quasi se ne vantano, o degli scrittori che non leggono i romanzi altrui (come sopra, l'altra scusa buona è quella dei classici, sembra passino i pomeriggi a rimirare con gli occhi lucidi “Un mercoledì da leoni” o a rileggere Proust), Fiorello la televisione la guarda. A differenza dei comici che nella vita sono lamentosi, e mai ammetterebbero di ridere per una battuta altrui, Fiorello infila nella conversazione un siparietto di Enrico Ruggeri. Quando con il suo vocione spiegò a due cantanti gay che durante l'esibizione si erano guardati un po' troppo negli occhi: “Dovete guardare il pubblico, al vostro confronto Albano e Romina sembrano i Clash”. Fiorello spiega i guai della tv senza chiamarsi fuori. Primo punto: un programma che funziona viene ripetuto finché gli ascolti non calano (“Maria De Filippi hai suoi sei milioni e mezzo di spettatori, inchiodati al divano da dieci anni, e voi studenti il sabato sera non siete davanti alla tv”).

    Secondo punto: “La sindrome da vigliacchetti” diffusa dopo un grande successo: meglio lasciare un buon ricordo che rischiare. E comunque non c'è una lira, il varietà alla “Stasera pago io” richiede autori, prove, anche un po' di sperimentazione staccata dalla curva dell'auditel. Infatti ancora ricordiamo, dopo dieci anni, la versione in musica di San Martino, paroliere Giosuè Carducci: “La nebbia agli irti colli piovigginando sale / e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar”. L'unico altro uomo di spettacolo italiano capace di giocare così con la letteratura si chiama Paolo Poli.