L'uomo che sospirava ai capezzoli

Stefano Pistolini

S'ispessisce il velo di malinconia che circonda il mondo del porno, con la notizia della morte di Bob Guccione, inventore di Penthouse, che fu il ribaldo e più disinvolto concorrente del Playboy di Hugh Hefner, nel momento d'oro delle riviste osée. Penthouse era quello con meno grilli per la testa e con le pupe più nude, con meno star che mostravano spicchi d'epidermide e più ragazzotte fenomenali disposte a far vedere tutto.

    S'ispessisce il velo di malinconia che circonda il mondo del porno, con la notizia della morte di Bob Guccione, inventore di Penthouse, che fu il ribaldo e più disinvolto concorrente del Playboy di Hugh Hefner, nel momento d'oro delle riviste osée. Penthouse era quello con meno grilli per la testa e con le pupe più nude, con meno star che mostravano spicchi d'epidermide e più ragazzotte fenomenali disposte a far vedere tutto. Penthouse aveva anche meno firme sensazionali (ma Asimov, Philip Roth e Stephen King incassarono i suoi cheque) perché, senza arrivare all'esplicita volgarità di Hustler, puntava dritto agli appetiti che gli americani ancora maneggiavano con imbarazzo ma con crescente entusiasmo. Insomma era la rivista perfetta per guardare sotto alla camicetta di ragazzacce come Pamela Anderson, e per questo divenne popolarissima, facendo di Robert Guccione, nativo del New Jersey con trascorsi da seminarista e da artista, uno degli uomini più ricchi d'America.

    Il suo era il sesso delle boogie nights, gioioso, entusiastico, clandestino per definizione, sintomo di un ottimismo di massa e d'una permissività che fracassava le barriere. E Guccione incarnava l'editore di questo exploit edonistico, con le sue camicie vistose, i capelli acconciati, i foulard, occhiali da sole come fanali. Il bello è che tutto ciò che di culturalmente stimolante negava alla sua creatura di carta – dove voleva spunti scandalistici e scheletri negli armadi dei famosi – Guccione se lo consentiva nella vita privata. Fu un formidabile collezionista d'arte, capace di mettere le mani su Picasso, Modigliani e Botticelli. Fu un produttore pronto a rischiare su pellicole prodigiose come il “Chinatown” di Polanski o su avventure folli come il “Caligola” di Tinto Brass (che portava sullo schermo la sua stessa visione de-intellettualizzata del sesso) e fu perfino il pigmalione professionale di Anna Wintour che volle a Viva, la testata dove toccava ai ragazzi mostrarsi senza veli.

    Poi cominciò il declino, Bob gettò alle ortiche una fortuna, vendette pezzo dopo pezzo il suo impero, compresa la favolosa residenza di Manhattan, 2.000 metri quadri decorati da artigiani italiani. A rovinarlo furono gli investimenti ad Atlantic City, mentre l'Aids e il politicamente corretto tolsero i suoi prodotti dalla mappa dei leciti consumi americani. Visti da qua, i tempi delle imprese gaudenti come la nascita di una rivista porno con 1.000 dollari e una gran faccia tosta, sono passaggi capricciosi d'una cultura popolare ancora capace di autoprodursi. Roba da museo, nella cristalleria delle paure in cui viviamo adesso.