S'avanza il partito romano

Paolo Rodari

Nel pomeriggio di mercoledì, poche ore dopo l'annuncio di Benedetto XVI del concistoro per la nomina di 24 cardinali (il prossimo 20 novembre), è stato l'Osservatore Romano a dare la linea ufficiale del nuovo riassetto del collegio cardinalizio. “L'universalità della chiesa”, ha titolato il giornale vaticano. Eppure, a scorrere l'elenco coi nomi dei 24, a colpire non è l'universalità dei nuovi cardinali, quanto l'italianità e, insieme, il loro carattere curiale: tra i 24 sono ben dieci gli italiani.

    Nel pomeriggio di mercoledì, poche ore dopo l'annuncio di Benedetto XVI del concistoro per la nomina di 24 cardinali (il prossimo 20 novembre), è stato l'Osservatore Romano a dare la linea ufficiale del nuovo riassetto del collegio cardinalizio. “L'universalità della chiesa”, ha titolato il giornale vaticano, volutamente calcando la mano sul quel concetto di universalità ribadito dal Papa durante l'udienza generale in piazza San Pietro. Un concetto che dovrebbe caratterizzare più d'ogni altra cosa il consesso – consistorium in latino significa assemblea, consiglio – dei principi della chiesa, il manipolo degli uomini eleggibili al soglio di Pietro in caso di conclave.

    Eppure, a scorrere l'elenco coi nomi dei 24, a colpire non è l'universalità dei nuovi cardinali, quanto l'italianità e, insieme, il loro carattere curiale: tra i 24 sono ben dieci gli italiani, di cui otto con meno di 80 anni e quindi potenziali elettori. Tra questi, sette ricoprono incarichi in curia e dunque sono stati creati cardinali ex officio (Angelo Amato, Mauro Piacenza, Fortunato Baldelli, Velasio De Paolis, Francesco Monterisi, Gianfranco Ravasi, Paolo Sardi), uno solo è residenziale, l'arcivescovo di Palermo Paolo Romeo. Dice il canonista ed editorialista Filippo Di Giacomo: “Bisogna dire la verità. Il concistoro è modesto. I nomi sono di secondo piano, Ratzinger ha semplicemente ammansito la curia romana senza però rafforzarla. Ci sono tanti italiani ma soprattutto tanti curiali. L'esito è una forte connotazione occidentale e romana del collegio. Da tempo non si ricordava un concistoro che esprimesse personalità così di secondo piano. Mi domando: se la chiesa, pensiamo al Vietnam o alla Cina, è piena di figure carismatiche perché non sono mai valorizzate? Che senso ha fare cardinali vescovi quasi ottantenni che altro non sono che burocrati di curia?”.

    Il carattere dell'italianità diviene preponderante se si guarda il collegio cardinalizio nel suo insieme: sono 25 oggi gli italiani che parteciperebbero a un conclave contro i 19 di prima, circa il 20 per cento dei 121 cardinali elettori: con l'annuncio di mercoledì i porporati con diritto di voto in conclave passano da 102 a 121, ma il numero dei cardinali elettori scenderà a 119 entro il prossimo febbraio quando avranno 80 anni lo spagnolo Garcia Gasco Vicente e l'italiano Camillo Ruini. La percentuale degli italiani è impressionante: soltanto gli Stati Uniti tengono il passo con 13 cardinali elettori, due in più di prima, circa il 15 per cento del totale. “Per gli Stati Uniti” dice John Thavis del Catholic News Service, “si tratta del numero di cardinali elettori più alto mai registratosi”. Poi seguono i tedeschi (sei), i francesi, gli spagnoli e i brasiliani (cinque ciascuno). Sono italianità e curialità il carattere che il Papa vuole imprimere al collegio cardinalizio? E se sì, perché? O meglio, in funzione di chi? Quale mossa ha voluto giocare Benedetto XVI?

    In Vaticano giurano che Ratzinger non pensa al suo successore. Che non è nelle sue corde immaginare il prossimo conclave e in qualche modo cercare di indirizzarlo. Eppure, due giorni fa, all'interno delle sacre mura si parlava parecchio del nuovo riassetto del collegio e, dunque, del futuro conclave, di quel che sarà la chiesa di domani. C'è chi fa notare che se un conclave si svolgesse dopo il 20 novembre prossimo il peso degli italiani verrebbe fuori naturalmente. Tanto che si potrebbero creare due fazioni in grado di trascinare con sé gli stranieri. Lo scontro sarebbe tra due ambrosiani di diversa formazione: Angelo Scola, patriarca di Venezia di formazione balthasariana e dunque considerato ratzingeriano, e Gianfranco Ravasi, milanese che, come ha scritto ieri il Corriere, vanta nel suo curriculum competenze sempre nuove, “teologo, ebraista, archeologo, oratore formidabile” che se fosse vissuto in epoca bizantina “avrebbe di diritto potuto aggiungere al suo nome l'epiteto di Crisostomo”. Il vaticanista di lungo corso Sandro Magister invita alla calma: “Se nel collegio cardinalizio è vero che ci sono tanti italiani, è altrettanto vero che il concistoro appena annunciato porta al cardinalato tanti italiani per una semplice coincidenza: c'erano molti italiani nella curia romana in incarichi cardinalizi e bisognava farli. Nei precedenti concistori non fu così”.

    Benny Lai, decano dei vaticanisti, ha vissuto in prima fila i conclavi per l'elezione dei seguenti Pontefici: Giovanni XXIII (28 ottobre 1958), Paolo VI (21 giugno 1963), Giovanni Paolo I (26 agosto 1978), Giovanni Paolo II (16 ottobre 1978), Benedetto XVI (19 aprile 2005). Dice: “Non credo che il Papa stia indicando un italiano per la sua successione. Certo, adesso nel collegio cardinalizio ci sono i nomi di Scola e di Ravasi che spiccano, ma non credo che sia sua intenzione indicare la nazionalità del suo successore. E poi, siamo così sicuri che Scola e Ravasi avrebbero le caratteristiche giuste per accedere al soglio di Pietro? Io guardo al passato: nessuno avrebbe mai immaginato che la chiesa avrebbe avuto in successione un Papa polacco e uno tedesco. Eppure Wojtyla e Ratzinger sono stati eletti. Il conclave è un'assise unica. Dentro può capitare di tutto. Si dice che chi entra in conclave Papa esce cardinale. E' un detto molto saggio e molto vero. Per me il nuovo Pontefice, quando tra tanti anni Ratzinger ci lascerà, sarà dell'America Latina. Sarà un Papa di passaggio che aprirà le porte al primo Papa africano”.
    Anche tra gli stranieri ci sono dei curiali: lo svizzero Kurt Koch, l'americano Raymond Leo Burke e l'africano Robert Sarah. Gli altri sono residenziali: Antonio Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto), Reinhard Marx di Monaco (Germania), Kazimierz Nycz di Varsavia (Polonia), Donald William Wuerl di Washington (Usa), Laurent Monsengwo Pasinya di Kinshasa (Congo), Medardo Joseph Mazombwe emerito di Lusaka (Zambia), Albert Malcom Ranjith di Colombo (Sri Lanka), Raúl Eduardo Vela Chiriboga emerito di Quito (Ecuador), Raymundo Damasceno Assis di Aparecida (Brasile).

    John Allen, corrispondente del National Catholic Reporter, è un osservatore attento degli equilibri vaticani. Dopo l'annuncio del concistoro sostiene che a impressionare non è tanto il numero degli italiani quanto il numero dei cardinali di curia presenti nel collegio. Dice: “La metà dei nuovi cardinali oggi sono ‘funzionari del Vaticano'. Non solo: un terzo dei cardinali elettori del prossimo Papa sono uomini di curia”. In effetti il dato impressiona. Lo ha scritto ieri anche Giancarlo Zizola su Repubblica: “Non si ricordava dagli ultimi decenni del Novecento una affermazione così impetuosa del partito romano”. Un'affermazione che potrebbe favorire il crearsi di un blocco, una fazione trasversale, di cardinali curiali, non legati alla nazionalità, che si potrebbe contrapporre a una corrente anti romana. Dice ancora John Allen: “Solo sette dei venti nuovi cardinali elettori vengono da fuori Europa. In questo modo la composizione del collegio cardinalizio continuerà in qualche modo a non riflettere la distribuzione della popolazione mondiale cattolica. Due terzi dei cattolici nel mondo oggi vivono nel sud del mondo, ma solo un terzo dei nuovi cardinali di Benedetto XVI vengono dall'emisfero meridionale”. Anche Gerard O'Connell, irlandese, vaticanista per il mondo anglofono, sostiene che non c'è proporzione tra il numero dei cardinali europei e di quelli extra europei. Dice: “Sebbene la maggior parte dei cattolici del mondo ora viva nell'emisfero sud, il collegio dei cardinali elettori non riflette questa realtà in termini proporzionali e nemmeno c'è un'indicazone che la rifletterà in futuro o che dovrebbe rifletterla. Con i tre concistori precedenti Benedetto XVI ha creato 50 elettori dei quali 27 sono europei (14 italiani) e 23 del resto del mondo. Con le sue nuove nomine, ha fatto pendere l'equilibrio in favore dell'Europa, e in particolare in favore dell'Italia, rispetto al collegio che lo ha eletto nell'aprile del 2005. Questo piccolo ma non poco significativo spostamento ha portato alcuni analisti a concludere che Benedetto ha aumentato la probabilità che il suo successore sia un altro europeo e molto probabilmente un italiano. D'altra parte, dato che ci sono già ‘papabili' extra europei nel collegio dei cardinali, e dato che Papa Benedetto XVI ne ha aggiunti di più con le sue ultime nomination, i cardinali elettori potrebbero ancora votare per un non-europeo al prossimo conclave, ma per eleggerlo molti europei dovrebbero votare per lui”.

    Non è facile analizzare il collegio cardinalizio. Ogni lato offre una visuale diversa e suggerisce prospettive e scenari non univoci. C'è il blocco italiano. C'è il blocco curiale e il c'è il blocco europeo. Ci sono gli statunitensi. E ci sono i porporati provenienti dal sud del mondo. Quale collegio cardinalizio ha in mente il Papa? Quale strategia sta adottando per plasmare il consesso che andrà a eleggere il suo successore? Secondo molti analisti di cose vaticane con il nuovo concistoro il Papa non ha fatto altro che attenersi alle regole. Ovvero, non ha adottato una particolare politica, semplicemente ha fatto quanto era in suo potere di fare. Ha rispettato rigidamente la regola di un solo elettore per ogni sede cardinalizia. Di qui l'esclusione di diocesi importanti come Firenze, Torino, New York, Toledo, Bruxelles e Westminster. Di qui la scelta di creare cardinali due arcivescovi emeriti semplicemente perché ancora non hanno compiuto ottant'anni. Secondo Andrea Tornielli, vaticanista del Giornale, è questa una novità significativa. Dice: “Due emeriti sono stati preferiti agli attuali titolari. E' un'inedita valorizzazione dei vescovi in pensione”. Tanto, tra non molto, Benedetto XVI sarà costretto a indire un nuovo concistoro, il quarto del suo pontificato, e dunque a ridisegnare il collegio: gli elettori, infatti, scenderanno ancora di sei unità entro la fine del 2011 (compiranno 80 anni gli americani Keeler e Law, l'italiano Sebastiani, l'olandese Simonis, il coreano Cheong e il neo cardinale Mazombwe) mentre saranno 111 alla fine di gennaio 2012, quando 80 anni li compirà il salesiano cinese Zen Ze Kiun. E nel 2012 il numero scenderà fino a 100.

    Grazie al nuovo concistoro il cardinale più giovane italiano diviene Mauro Piacenza (66 anni), da poco prefetto del Clero. Mentre il più giovane in assoluto diviene il tedesco Reinhard Marx, 57 anni, arcivescovo di Monaco, che scavalca l'ungherese Péter Erdo, 58 anni, arcivescovo di Budapest e primate d'Ungheria. Di Marx ed Erdo si parla da tempo. Marx è indicato come il più probabile successore di Robert Zollitsch alla guida dell'episcopato tedesco. Erdo è ritenuto da molti come la più grande speranza della chiesa mitteleuropea, in grado anche di offuscare la stella Christoph Schönborn. Anch'egli del giro dei balthasariani (come Angelo Scola e Marc Ouellet) viene considerato da molti uno dei candidati più accreditati, in caso di conclave, della compagine europea.
    Benedetto XVI non sembra un Pontefice che ama soffermarsi troppo sui diversi equilibri che le sue nomine vanno a mutare. In questo senso in molti leggono il concistoro appena indetto come la volontà di dialogare con tutti, dalla curia al mondo, senza strappi. Altrimenti non si spigherebbero le porpore concesse a Laurent Monsengwo Pasinya di Kinshasa (Congo) e a Raymundo Damasceno Assis di Aparecida (Brasile). Dice Filippo Di Giacomo: “Pasinya è il grande esponente della ‘teologia della contestualizzazione', ponte tra Roma e le teologie africane più estreme. Mentre Aparecida è sinonimo per tutti di ‘teologia della liberazione'. Portando Assis al cardinalato il Papa è come se volesse cercare ancora una volta il dialogo coi seguaci di Leonardo Boff e di monsignor Pedro Casaldáliga. E questo secondo me è positivo”.

    Tra le tante prospettive con cui guardare il nuovo assetto del collegio cardinalizio, ce n'è una che i media in questi giorni hanno percorso meno. Ed è questa: nel pontificato dove si dice i salesiani la facciano da padrone – molte nomine di questo papato hanno riguardato seguaci di don Giovanni Bosco – i religiosi meglio rappresentati all'interno del collegio dei cardinali sono i gesuiti. Lo scrive Gianni Cardinale su Avvenire: “Con l'ingresso di un salesiano e di uno scalabriniano il numero dei religiosi salirà di 34, di cui 21 elettori. Complessivamente i gesuiti (otto) rimarranno primi, seguiti dai francescani e salesiani (sei ciascuno)”. Già, ma se si guarda soltanto ai votanti? Dominano i salesiani: “Tra i votanti si conferma la leadership dei figli di don Bosco (cinque) che distanziano ancor più i seguaci del santo di Assisi (tre) e di sant'Ignazio (due)”. Insomma: i gesuiti predominano ma non tra coloro chiamati in futuro a scegliere il Papa. Ciò significa che in caso di conclave avranno la possibilità di dire la loro principalmente i salesiani, i confratelli del segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone.

    Benedetto XVI non dimentica gli amici. Non si dimenticò di Malcolm Ranjith quando, come prima nomina del suo pontificato dopo quella obbligata del suo successore alla Dottrina della fede, riportò il monsignore cingalese in curia, come segretario del Culto divino, dopo che nel pontificato wojtyliano questi era stato cacciato da Propaganda Fide ai tempi guidata dal cardinale Crescenzio Sepe. Anche in questo concistoro Ratzinger non si è dimenticato di Ranjith, oggi arcivescovo di Colombo. E non si è dimenticato di quattro suoi amici di lunga data, tutti ultraottantenni: l'ordinario militare emerito José Manuel Estepa Llaurens, lo storico tedesco Walter Brandmüller già presidente del Pontificio comitato per le scienze storiche, il maestro perpetuo della Cappella Sistina Domenico Bartolucci e il bioeticista Elio Sgreccia. Racconta Sgreccia: “Credo che Benedetto XVI mi abbia creato cardinale principalmente a motivo degli studi e dei lavori sulla bioetica. Il suo gesto credo sia un incoraggiamento al mio lavoro che continua ancora oggi. Poi, certo, c'è l'aspetto dell'amicizia. Ratzinger è attento a tutto. Io abito al palazzo dell'ex Sant'Uffizio e quando Ratzinger era prefetto qui ci si incrociava spesso. Sovente ci si fermava a parlare. Per lui queste cose hanno valore. Forse si è ricordato di me anche per questa nostra saltuaria frequentazione”.