Chi non firmerebbe il manifesto di ottobre? Nessuno, dov'è la rupture?
Convergono. Dicono che questa insolita decina di firme in calce al manifesto di ottobre potrebbe fare da apripista, indicare cioè una convergenza possibile tra certa destra e certa sinistra entrambe convinte che queste categorie siano ormai desuete, che in questo scorcio di nuovo secolo non si possa essere più né di destra né di sinistra, che si debba quindi lavorare a una definizione altra. Nulla a che vedere con l'incontro tormentato fra i due sparuti gruppi di intellettuali negli anni Ottanta.
Convergono. Dicono che questa insolita decina di firme in calce al manifesto di ottobre potrebbe fare da apripista, indicare cioè una convergenza possibile tra certa destra e certa sinistra entrambe convinte che queste categorie siano ormai desuete, che in questo scorcio di nuovo secolo non si possa essere più né di destra né di sinistra, che si debba quindi lavorare a una definizione altra. Nulla a che vedere con l'incontro tormentato fra i due sparuti gruppi di intellettuali negli anni Ottanta. Allora ci volle coraggio, padronanza dei propri strumenti culturali, certezza della propria identità, apertura della mente e curiosità per l'altro che era diverso fino a rappresentare l'opposto. Oggi si avverte solo smarrimento. E il comportamento che potrebbe essere virtuoso sembra più che altro dettato dal vizio altrui. Il mantello di Fini, di un leader che in tre mesi deve costruire un partito e trovare una posizione sullo scacchiere, è necessariamente ampio.
E' comprensibile che il suo percorso sia a zig zag, che ricerchi le ouverture non riuscite a Berlusconi. Ma vedere attirati nella sua orbita, i Marramao, i Giorello, le Fusini, i La Cecla, addirittura un Calvesi un Marco Müller o un Luca Ronconi, non crea rottura, fa solo disordine. Magari la convergenza si dimostrerà effimera, un semplice momento di vanità dei nostri chierici, ma questo non cancella la debolezza dell'operazione. Fini può sempre dire che non si scelgono i compagni di strada e in politica ogni soldato è utile. Ma l'impressione di grande debolezza dell'operazione resta, proprio perché il manifesto è scritto apposta per essere firmato da chiunque.
Chi non è d'accordo che si debba finalmente uscire da una transizione infinita, che occorra siglare un patto per la rinascita della res publica, darsi regole chiare e semplici, che si debba curare il bene comune e i beni comuni, difendere il paesaggio e il patrimonio nazionale, materiale e immateriale? Il problema, banale, è come. Dopo il proliferare delle fondazioni, dopo tanti convegni e dibattiti, siamo in diritto di aspettarci dal think tank di area qualcosa di più di una rovesciata che manda il pallone in tribuna. Prendiamo la cosiddetta crisi della politica: per gli estensori del manifesto la soluzione sarebbe “accrescere l'attiva partecipazione dei cittadini alla vita pubblica” e questo in un paese in cui gli elettori votano in media all'80 per cento e fra parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, comunali, di circoscrizione senza contare comitati di quartiere e comunità montane, alcune centinaia di migliaia di eletti possono dire la loro sul governo della cosa pubblica.
Non sarà invece che più che di crisi della rappresentanza si debba parlare di crescente impotenza di fronte a problemi troppo grandi per un paese solo? Vale per l'America, figuriamoci per gli altri. Allora non sarebbe meglio e più in linea con l'interesse comune dire che si vuole davvero semplificare la politica e, visto che tutti sono d'accordo ma nessuno ha intenzione di cominciare, dire che il partito del futuro non ha paura di passare per coglione e si batterà per ridurre, che so, di un terzo i seggi nelle assemblee elettive? Questa sì che sarebbe una “rottura”, n'est-ce-pas, Italo Bocchino. Poi non è rievocando gli “invisibili” di balestriniana memoria o i “senza parte” dell'Asor Rosa di trenta anni fa che si può aprire agli esclusi di oggi. Non c'è tensione nel manifesto di ottobre. E senza tensione si rischia di finire in operetta. Come “Frou Frou del Tabarin” che nel “palagio auster” sospira insonne compagne allegre e bei viveurs.
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