Guida alla rottamazione

Claudio Cerasa

Abbiamo passato un giorno intero con Matteo Renzi, abbiamo passeggiato con lui per le strade di Firenze, lo abbiamo spiato durante le riunioni mattutine, lo abbiamo studiato durante le sue incazzature pomeridiane, lo abbiamo seguito durante la giunta comunale, lo abbiamo pedinato durante gli incontri con i giornalisti, lo abbiamo ascoltato durante le sue conversazioni serali e alla fine abbiamo cercato di stuzzicarlo su tutti i temi che in un modo o in un altro riguardano la storia più recente di uno dei sindaci più famosi d'Italia.

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    Abbiamo passato un giorno intero con Matteo Renzi, abbiamo passeggiato con lui per le strade di Firenze, lo abbiamo spiato durante le riunioni mattutine, lo abbiamo studiato durante le sue incazzature pomeridiane, lo abbiamo seguito durante la giunta comunale, lo abbiamo pedinato durante gli incontri con i giornalisti, lo abbiamo ascoltato durante le sue conversazioni serali e alla fine abbiamo cercato di stuzzicarlo su tutti i temi che in un modo o in un altro riguardano la storia più recente di uno dei sindaci più famosi d'Italia. Tutto. Il senso della rottamazione, il destino del Partito democratico, l'eredità di Romano Prodi, le idee di Pier Luigi Bersani, la rupture di Sergio Marchionne, la sfida di Gianfranco Fini e, ovviamente, lo stesso futuro del sindaco di Firenze. Renzi ha accettato di parlare a lungo di alcuni aspetti significativi del suo carattere e del suo pensiero politico; ma tra le tante domande poste durante la nostra giornata fiorentina la più scomoda è arrivata senza dubbio alle dieci di mattina al numero venti di via Goito, a due passi da via Boccaccio, e la domanda gliel'ha fatta un simpatica fiorentina con gli occhi azzurri, le trecce bionde, lo sguardo sveglio, la “c” aspirata e lo stesso grazioso grembiulino blu indossato dai suoi compagni della scuola elementare Carlo Collodi. Dice Ginevra: “Ma sindaho Renzi, te tu lo vuo' fare veramente il presidente del honsiglio?”. Renzi la guarda, ci pensa un attimo e poi risponde con un sorriso: “Bene ragazzi, ci sono altre domande?”.

    Un'ora dopo il sindaco di Firenze – con un vestito blu a tre bottoni, una cravatta gialla, un paio di scarpe di pelle nera, una sottile canottiera sotto la camicia celeste e la mano destra sempre infilata nel taschino del pantalone – ringrazia i docenti, abbraccia i ragazzi, saluta i genitori, esce dalla scuola (Renzi ogni martedì mattina visita un'elementare fiorentina), attraversa la strada, monta in macchina, si toglie la giacca, attiva il navigatore, dà indicazioni all'autista e inizia a parlare. Si va in comune: Renzi oggi ha una giornata movimentata. “Ma tu l'hai capito perché sto così sulle scatole a tutti quanti, lì a Roma?”. Il sindaco di Firenze negli ultimi mesi ha in effetti avuto diverse vivaci discussioni con i massimi dirigenti del Partito democratico e a quanto pare i vari Pier Luigi Bersani, Walter Veltroni, Massimo D'Alema, Dario Franceschini, Rosy Bindi, Anna Finocchiaro non sembrano aver gradito quel verbo all'infinito utilizzato un mese fa dal sindaco fiorentino per fotografare la condizione di una buona parte della classe dirigente democratica: rottamare, tutti da rottamare. Attorno a quel verbo, Renzi ha visto crescere un notevole dibattito sulla necessità di rinnovare con urgenza i protagonisti della vita quotidiana del maggior partito dell'opposizione e l'impressionante numero di messaggi ricevuti dopo l'intervista rilasciata un mese fa a Repubblica hanno convinto il sindaco – e con lui anche un gruppo di giovani quarantenni del Pd capitanati dal consigliere regionale lombardo Giuseppe Civati – a convocare per la prossima settimana (5, 6 e 7 novembre a Firenze) una grande assemblea in cui si cercherà di dare dei volti e delle idee a quell'espressione incriminata. “Rottamare significa rendere esplicita la necessità di liberare quei posti nel Parlamento occupati da dirigenti che per tanti anni hanno avuto la loro occasione e che sinceramente non so se sono riusciti a sfruttarla fino in fondo. Spiace che persone intelligenti come D'Alema, Finocchiaro o Veltroni possano prendere come un attacco personale la richiesta di farsi da parte, di andare a guidare le loro fondazioni e di dare spazio alle tante persone valide che ci sono in giro e che per colpa delle nostre cariatidi hanno difficoltà a mettere la testa fuori dall'acqua. Venerdì di questo parleremo. Del cambiamento che vogliamo. Delle idee che proponiamo. Del fisco da abbassare. Della giustizia da riformare. Dei cinquanta giovani con cui cercheremo di costruire un percorso alternativo. Noi non siamo maleducati, noi non ci mettiamo le dita nel naso, noi non siamo nemici, non siamo compagni che sbagliano. Abbiamo delle idee e vogliamo farle pesare. E chi ha paura, e chi cerca di sabotare le nostre iniziative, credetemi, tanto lontano non va”.

    Chi conosce bene Renzi racconta che lo scarso feeling con molti dei dirigenti del Pd risale a un preciso periodo storico collocabile all'incirca nei mesi in cui l'allora presidente della provincia scelse, alla fine del 2008, di candidarsi a sorpresa alle primarie comunali. In quei giorni Renzi – che aveva trentatré anni, oggi ne ha trentacinque – vide crescere attorno a sé un “ostruzionismo mai visto prima in vita mia” e, come si dice in questi casi, la goccia che fece traboccare il vaso cadde quando Veltroni propose per Firenze una regola quasi unica per le primarie democratiche: il candidato sindaco sarebbe stato eletto solo con una percentuale di voti superiore al 40 per cento e in caso contrario il primo dei votati avrebbe dovuto contendersi la candidatura con il secondo arrivato. “Mi cambiarono le regole in corsa, fu una cosa scandalosa e se non avessi preso il 40,5 per cento non so se sarei mai diventato il sindaco della mia città”.

    La macchina di Renzi si blocca alla fine di via del Corno, a pochi passi da piazza della Signoria: Renzi si infila la giacca, si avvolge nella sciarpa, apre la portiera, scende dalla vettura, imbocca una stradina, saluta un vigile, dà il cinque a uno spazzino, scambia due battute con un edicolante, risponde a una domanda del caldarrostaro, raccoglie un po' di cartacce per terra, stacca alcuni manifesti abusivi, rincorre due auto entrate nella zona pedonale (“maledetti!, maledetti!”), poi entra in un bar, ordina una crostatina alla marmellata di ciliegie, si beve un caffé, risponde al telefono, firma un autografo, saluta il barista, esce dal bar, arriva in piazza della Signoria, entra a Palazzo Vecchio, attraversa il cortile, sale una rampa, apre una porta, arriva in ufficio e inizia a sfogliare i giornali. “La verità è che nella mia vita io avevo due strade. La prima era quella di farmi i cavolacci miei fino al termine del mandato e aspettare l'esplosione del sistema dalla mia comoda seggiolina di sindaco. La seconda era quella di alzarmi in piedi, di mettermi in gioco, di raccogliere il dissenso, di farmi portavoce di tutti quegli elettori incazzati che ci sono in giro per l'Italia. So che è una scelta rischiosa, so che a Roma tutti aspettano che io cada sulla prima buccia di banana, so che al primo errore qui mi fanno nero, che mi termovalorizzano, ma a me non me ne frega nulla: ho scelto una strada e quella strada col cacchio che la mollo”.
    L'ufficio del sindaco di Firenze è un'immensa sala che si affaccia sui magnifici marmi di piazza della Signoria. Renzi siede su una poltrona rossa poggiata sotto uno dei quattro pannelli rettangolari decorati dall'architetto fiorentino Giorgio Vasari e dedicati a metà del Cinquecento a Papa Clemente VII. Dietro le spalle del sindaco, su una console di legno d'olivo, accanto a un piccolo crocefisso, è poggiata una cornice dorata con il volto di una delle persone che Renzi considera più importanti per la sua storia politica: l'ex sindaco di Firenze Giorgio La Pira, a cui Renzi nel 1999 ha dedicato la sua tesi di laurea. “Sapete – dice Renzi ragionando ad alta voce – mi chiedo che cosa ne penserebbe La Pira se vedesse la chiesa di oggi. Credo che Papa Benedetto sia un personaggio di grande spessore e credo sia difficile non restare colpiti dalla formidabile teologia del professor Ratzinger. Confesso però che delle volte ho la sensazione di vedere la chiesa troppo proiettata su se stessa. Mi piacerebbe – e lo dico da cattolico – che le sue gerarchie recuperassero un po' di slancio, che ci fosse un po' più di coraggio. A volte mi chiedo come sia possibile che i bambini a scuola conoscano più Harry Potter che Gesù Cristo, e mi rispondo pensando che tu non puoi credere di avvicinarti ai ragazzi solo producendo raffinatissimi documenti pontifici. Le encicliche sono interessanti, sì, e le ultime di Papa Benedetto sono davvero belle, ma io credo che per entrare nel cuore delle persone bisogna parlare un po' più di Gesu Cristo e, chessò, un po' meno di globalizzazione. Per questo mi piace da matti il Papa quando dice che serve una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. Chiunque faccia il mio mestiere lo sa: si tratterebbe di una rivoluzione. Perché oggi sono troppe le parrocchie che respingono chi sogna di fare politica e sono davvero tanti i preti che ti dicono che la politica fa schifo. Credetemi ragazzi, non è così, non è tutto marcio, qualcosa di buono si può ancora fare”.

    Renzi accende il suo sottile MacBook grigio della Apple e poi inizia a sfogliare i giornali. Si comincia con Repubblica (“Dio che noia 'sto lodo Alfano”) poi il Foglio (“Ma di chi è questa rubrica di calcio inglese? Beppe Di Corrado?), il Corriere della Sera (“E chissenefrega di Berlusconi al Colle, la gente non lo capisce, che senso ha?”), quindi il Monde, il Sole 24 Ore, la Stampa e la Nazione. Sui giornali di oggi si parla molto di Gianfranco Fini, di Nichi Vendola, di nuovo Ulivo, di Sergio Marchionne, di Giulio Tremonti, di elezioni anticipate e su questi argomenti il sindaco qualcosa da dire ce l'ha. “Se si vota? Bah, secondo me no. Ditemi chi vuole votare? Fini? Non mi pare. Casini? Non mi pare. Berlusconi? Non mi pare. Bersani? Non mi pare. Si andrà avanti così. E' un suicidio ma si andrà avanti così”. Pausa. “Che cosa ne penso di Fini? Credo che Fini sia uno dei massimi campioni italiani del trasformismo politico. Io non capisco come facciano a coesistere nella stessa persona il Fini che fa il repubblicano e il Fini che si allea con Bossi. Il Fini che dice che un maestro gay non può insegnare a scuola e quello che vuole fare i registri per le coppie civili. Il Fini che vuole entrare nel Ppe e quello con gli occhialoni seduto accanto a Saddam Hussein e Jean-Marie Le Pen. Non lo capisco. E quando qualcuno nel mio partito dice che dovremmo allearci con lui io penso solo una cosa; che quel qualcuno abbia bevuto un po' troppo”. E Marchionne? “Marchionne è una persona interessante. Mi piace il suo atteggiamento riformista, ma non mi piace quando fa il furbo. La Fiat non può far finta di essere così per caso in Italia. La Fiat è quella grande azienda che per anni ha diviso gli utili con i propri azionisti e che ha allegramente condiviso le perdite con noi italiani. E rimuovere il passato è inaccettabile”. E Tremonti? “Non si può dire non sia un uomo di spessore. E' uno che, come dice Vendola, riesce a esser davvero di sinistra nella critica alla globalizzazione e molto di destra quando si occupa di evasori. E' una persona di cui è molto piacevole leggere i libri e anche se non sono così addentro alle vicende romane credo sia uno degli uomini forti per il futuro del centrodestra”.

    Renzi si ferma, finisce di sbirciare i giornali, risponde al telefono, dà un'occhiata alla rassegna stampa, consulta il suo profilo su Facebook, scrive un post sull'incontro con i ragazzi della scuola Collodi, riordina le idee per organizzare la giornata, poi riprende fiato e ricomincia a parlare. Dicevamo: Bersani. “Sì, lo so, Bersani ha detto che per vincere le elezioni occorre dare vita a una grande alleanza democratica capace di mettere insieme tutte le forze necessarie per battere i nostri avversari. Beh, io credo che bisognerebbe stare attenti a non rifare l'Unione, perché l'Ulivo è stato un momento di grande coinvolgimento del centrosinistra italiano, mentre l'Unione altro non è stata che una grande accozzaglia che ha dimostrato il proprio fallimento, la propria vocazione minoritaria, e io non ne sento affatto la mancanza. Ma per non fare accozzaglie servono grandi idee che suscitino entusiasmi, nuove passioni. E il grande Ulivo di Bersani – eddai: almeno il nome potevano cambiarglielo! – non mi sembra che abbia incoraggiato questo tipo di percorso. E poi mi devono spiegare una cosa: come fa un leader a essere accattivante dicendo di sognare per il paese un governo di transizione?”.
    Il sindaco Renzi confessa di essere soddisfatto per come vanno le cose nella sua città (“Anche se Minzolini fa finta di non accorgersene!”) e per il consenso che nei suoi confronti sembrano nutrire i cittadini di Firenze. I sondaggi privati commissionati dal sindaco sono buoni (a Firenze, la fiducia per Renzi è intorno al 76 per cento), il numero di persone che hanno reagito positivamente all'idea di rottamare la classe dirigente del Pd sono state molte e i segnali della popolarità di cui gode sono ben sintetizzati dall'agenda personale del sindaco in cui sono annotati i principali appuntamenti presi con i giornalisti nelle prossime settimane. Renzi è davvero richiestissimo. Martedì il Foglio, mercoledì Radio 24, giovedì “Viktor Victoria”, venerdì “Invasioni Barbariche”, sabato mattina “Mattino Cinque”, sabato sera “In Onda” su La 7, domenica pomeriggio il Corriere della Sera, lunedì mattina in radio con la “Zanzara”, martedì pomeriggio il Wall Street Journal, mercoledì sera Toscana tv, venerdì pomeriggio Repubblica e il giorno dopo, forse, il Sunday Times. “Mi chiedevi di Vendola? Ma, sai, lui mi piace un sacco. Ha la capacità di appassionare, di entusiasmare, di creare emozioni. Al contrario di Veltroni, che aveva una bella narrazione ma non era credibile nel ruolo di narratore, Nichi ha una bella storia da raccontare e mi sembra credibile. E poi, diciamo la verità, non è facile sentire usare da qualcuno a sinistra delle parole sensate su Israele. Per il resto, sui contenuti, non sono d'accordo quasi su nulla. Schiacciare il centrosinistra sul versante della Cgil, sul suo versante più sinistro, significa costringere il nostro mondo a una vocazione minoritaria permanente: roba che qui rischiamo di non vincere nemmeno alla lotteria”.

    Alle diciannove e trenta, Renzi dà un'occhiata all'orologio, finisce di cliccare la galleria di immagini sul sito del Corriere con la simulazione dello juventino Milos Krasiç (“E' proprio uguale a Nedved anche per come si tuffa…”), poi poggia lo schermo del portatile sulla tastiera, spegne il computer, esce dall'ufficio, attraversa il Salone dei Cinquecento ed entra in uno stanzone in cui due volte a settimana si riunisce la giunta. Generalmente, le giunte convocate dal sindaco sono veloci ed è raro che durino più di un'ora. A volte capita che vi sia anche la così detta giunta flash in cui gli assessori (dieci in tutto, cinque uomini e cinque donne, 41 anni d'età media) rimangono in piedi in sala il tempo necessario per sentirsi recitare il filotto “presenti-votanti-approvato”. Oggi però bisogna approvare ventinove ordini del giorno (più due fuori sacco) e tra una cosa e un'altra gli assessori finiranno alle venti e trenta. Un po' più del solito, sì, ma le giunte di Renzi non si può dire che siano esattamente un noioso esempio di una rigida applicazione di ruvidi protocolli burocratici. Sotto lo sguardo attento dei suoi più stretti collaboratori (il direttore dell'ufficio del sindaco, 28 anni, il capo segreteria del sindaco, 31 anni, e il portavoce del sindaco, 37 anni), Renzi guida la giunta in modo svelto, vivace, severo e persino, goliardico. “Oh ragazzi, e basta un po' di fumare tutt'hest erba e dare tutte quelle autorizzazioni in giro…”, “Oh Rosa, ma quel troiaio di container a via de Gondi ma quando lo togliamo…”, “E maremma paraboliha, Massimo, e mettete un po' a sede, su”. Al sindaco di Firenze – che in giunta cita spesso le frasi di uno dei suoi libri preferiti, il “Napoleone di Notting Hill”, di Gilbert Chesterton – quando si parla di bilancio gli piace recitare il famoso sketch del Corrado Guzzanti nei panni di un disperato Giulio Tremonti alle prese con impossibili tagli finanziari – un euvo… un euvo… povca tvoia… povca puttana… – ma dovendo selezionare il cavallo di battaglia del Renzi non rottamatore ma sindaco di Firenze la scelta ricadrebbe su un punto in particolare: le strade. Tra i provvedimenti di cui il sindaco va più orgoglioso, è vero, ce ne è uno che riguarda una graduatoria per gli affitti grazie alla quale il comune non chiede più l'orientamento sessuale dei conviventi e dà libero accesso alle agevolazioni anche alle coppie omosessuali. Ma quello che Renzi considera il suo vero punto d'orgoglio riguarda l'investimento fatto per ristrutturare il manto stradale della città. In un anno e mezzo, la giunta ha messo a bilancio 47 milioni di euro per le strade di Firenze (tre volte di più di quanti spesi dalla passata amministrazione) e dopo aver pedonalizzato gran parte del centro storico ha promesso che entro il prossimo anno metterà una toppa a tutte le buche della città. Molti degli interventi portati a termine su questo tema, Renzi racconta di averli messi a fuoco grazie a quella che, secondo i suoi colleghi, è diventata la cifra stilistica del suo governo. Il sindaco è alla continua ricerca di pareri capaci di offrirgli un feedback immediato rispetto alle sue numerose apparizioni pubbliche e anche alla sua azione di governo. Negli ultimi mesi, Renzi ha sparpagliato in giro per la città cento gabbiotti di plastica all'interno dei quali i fiorentini hanno offerto il loro punto di vista sui principali problemi di Firenze e tutte quelle lettere imbucate sono oggi al vaglio degli assessori del comune. A questo va aggiunto quello che Renzi considera il suo più importante canale di dialogo con i fiorentini: le e-mail, ovvio. Il sindaco riceve quotidianamente circa trecento messaggi di posta elettronica e ogni giorno i messaggi vengono stampati e raccolti in un quadernone ad anelli che Renzi consulta la sera, prima di tornare a casa. Dietro ciascun foglio, il sindaco scrive le risposte a penna e il giorno successivo la segretaria le trascrive in digitale, e poi le invia.

    Alla fine della nostra giornata con il sindaco l'impressione è che Renzi sia un politico ben più solido di quanto vogliano far credere i suoi avversari di partito che a Roma solitamente tendono a liquidare il capitolo Renzi catalogando il profilo del sindaco fiorentino sotto la voce “ma tanto questo è solo un cazzone”. Verso le ventuno e quindici lo raggiungiamo nel suo studio al primo piano di Palazzo Vecchio e, tentando di prenderlo per sfinimento, gli chiediamo quello che un po' tutti si chiedono oggi quando pensano a lui. Più o meno la stessa cosa che qualche ora prima gli aveva chiesto Ginevra. Ma sindaco Renzi, lei ci pensa che un giorno potrebbe fare il presidente del Consiglio? La prima risposta è diplomatica: “Io voglio fare bene il sindaco di Firenze. Lo voglio fare oggi, e lo voglio fare anche nel prossimo mandato”. Ma dire che un giorno le piacerebbe tentare di guidare il paese è sbagliato? “Mi sembra una cosa così lontana e improbabile. Cioè: delle volte mi piacerebbe dire cosa farei se io fossi lì a Roma, e mi vengono in mente delle risposte, ovvio. Ma in fondo è come se mi dicessero: ti piacerebbe che la Fiorentina vincesse lo scudetto? Sì. La consideri una possibilità? No. La verità, se si può dire, è che io vorrei essere rottamato da una giovane trentenne democratica. Non ne vedo in giro di brave, purtroppo, ma il mio sogno è quello lì davvero. Perché io oggi mi sento bene in questo modo qui. Sì, lo so che a volte sembro un po' cazzone, è vero, ma a me piace sentirmi libero di fare quello che mi pare. Non appartengo a nessuno. Non sono stato cooptato. Non ho mire sul futuro. E in questo momento mi vedo come una delle poche persone libere che ci sono in circolazione. Perché, vedete, questa seggiola – dice Renzi sbattendo i pugni sui braccioli – non me l'ha data Bersani, non me l'ha data D'Alema, non me l'ha data Veltroni, e, se proprio dobbiamo dirla tutta, fosse stato per loro qui ci sarebbe stato qualcun altro. Quindi questa sedia io me la tengo stretta e poi ragazzi, su, poi vediamo che succede”.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.