Ben svegliato Ben! Ma alla liquidità dovevi pensarci prima

Francesco Forte

Il Foglio ha avviato un dibattito in vista delle decisioni che il governatore della Fed, Ben Bernanke, annuncerà domani. Con interventi di Francesco Forte, Angelo De Mattia, Alberto Bisin e Antonio Martino.

 

    Il Foglio ha avviato un dibattito in vista delle decisioni del governatore della Fed, Ben Bernanke, sul "Quantitative easing 2". Con interventi di Francesco Forte, Angelo De Mattia, Alberto Bisin e Antonio Martino.

    Ben Bernanke, dopo avere azzerato i tassi, spara l'ultimo colpo, quello di comprare titoli privati e pubblici per portare il tasso di inflazione dall'1 al 2 per cento, sperando che ciò possa servire a sostenere l'economia americana, dopo che la politica fiscale di deficit spending non ha funzionato, al punto che ora aumentano i sequestri bancari di immobili per insolvenza.
    La Fed avrebbe fatto meglio a surrogare la politica fiscale prima che essa creasse un enorme deficit con la vana speranza di far crescere il pil. Se la Fed fosse intervenuta all'inizio della crisi, comprando titoli di società immobiliari che avessero ritirato gli edifici gravati da mutui inesigibili, i valori patrimoniali non sarebbero crollati. Negli anni Trenta, nel nostro paese, la Banca d'Italia diede soldi all'Imi che comprò dalle banche i titoli delle imprese in difficoltà e finanziò le industrie. A Benito Mussolini piaceva che nascessero l'Imi e l'Iri come enti pubblici. Ma lo schema poteva essere attuato tutto con l'economia di mercato. La deflazione fa cadere i valori reali, tramite le insolvenze che disgregano le imprese, distruggono gli immobili vuoti, generano incertezza sulla solvibilità di banche e imprese. Ora che le insolvenze hanno generato perdite nei valori patrimoniali reali, l'unico modo per rimediare è l'inflazione, che fa salire i valori nominali.

    Bernanke ha la sindrome giapponese. Teme che si crei una tendenza alla stagnazione come quella che ha subito il Giappone dopo la crisi del 1997 dovuta – anche in quel caso – allo scoppio di una bolla immobiliare e al dissesto di grandi banche. Si sostiene che all'inizio della crisi non ci fu una politica monetaria abbastanza espansiva, così da evitare la spirale successiva di prezzi calanti. E' opinabile, ma Bernanke soffre anche di una sindrome cinese. Poiché la Cina non rivaluta la sua moneta per correggere gli squilibri del cambio, gli Stati Uniti, gravati dal deficit commerciale, possono alleviarlo e generare crescita con il commercio estero, tramite un'inflazione aggiuntiva dell'1 per cento che genera un deprezzamento del dollaro molto superiore perché l'afflusso di capitali negli Stati Uniti perde convenienza. E se la Cina non accetta di far salire lo yuan, gli americani hanno comunque un vantaggio competitivo con le altre valute. E i cinesi, proprietari di un'enorme massa di dollari, subirebbero su essi la tassa occulta dell'inflazione. Bernanke compra titoli pubblici: cosa che non appartiene all'ortodossia monetaria, ma – paradossalmente – fa parte, solo come ultima ratio, dell'ortodossia costituzionale della scuola della Virginia.

    I keynesiani sostengono che in periodo di depressione il debito pubblico non è un onere per l'economia reale, perché non drena risorse, ma ne crea. Nella limitata misura in cui ciò è vero, lo stato non ha motivo di emettere debito sul mercato, lo dovrebbe dare gratis alla Banca centrale. Ma questa è una soluzione estrema. La Banca, in cambio di moneta, dovrebbe prendere non titoli pubblici, ma privati a tasso zero o negativo. E all'obiezione dei keynesiani che il “cavallo del mercato non beve”, la scuola della Virginia risponde che con un tasso basso ai privati conviene investire in infrastrutture, che lo stato potrebbe poi prendere in affitto, se si tratta di strade senza pedaggio o caserme. Tutto l'investimento pubblico – volendo – può essere privatizzato.