Il piano riformista c'è

Michele Arnese

E' pronto il tanto atteso “Pnr”, il Programma nazionale di riforma che il governo presenterà entro la metà di novembre a Bruxelles. Il Pnr è il piano invocato nell'editoriale di domenica sul Corriere della Sera da Mario Monti, per testare il tasso riformatore dell'esecutivo, giudicato flebile dall'ex commissario Ue. Stabilità e riforme sono i due pilastri delle politiche economiche nazionali previste dalla strategia “Europa 2020”. A queste due direttrici corrispondono due documenti chiave: il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma.

    E' pronto il tanto atteso “Pnr”, il Programma nazionale di riforma che il governo presenterà entro la metà di novembre a Bruxelles. Il Pnr è il piano invocato nell'editoriale di domenica sul Corriere della Sera da Mario Monti, per testare il tasso riformatore dell'esecutivo, giudicato flebile dall'ex commissario Ue. Stabilità e riforme sono i due pilastri delle politiche economiche nazionali previste dalla strategia “Europa 2020”. A queste due direttrici corrispondono due documenti chiave: il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma. Il Pnr è stato discusso nell'ultimo Consiglio dei ministri ma non è stato ancora approvato. Si compone di 45 pagine che il Foglio ha letto (ulteriori dettagli da oggi su “2+2”, il blog di economia e finanza del Foglio). Gli slanci riformatori e pro crescita ci sono, ma in numero pari ai richiami all'indispensabile rigore per il nostro elevato debito pubblico. “Il primo passo è garantire la stabilità delle finanze pubbliche”, è la premessa del documento messo a punto dal dipartimento Politiche europee della presidenza del Consiglio.

    Il Pnr passa in rassegna “i colli di bottiglia
    (bottleneck)” che l'Europa ci invita a superare e le “misure di frontloading” che il governo sta progettando per eliminarli. Il primo collo di bottiglia è il debito pubblico. Per ridurlo non è necessario riformare le pensioni, si legge nella bozza del Pnr: “L'Italia non si pone comunque tra i paesi in cui l'invecchiamento della popolazione produrrebbe un impatto rilevante sulla tenuta dei conti pubblici. Sono state efficaci le azioni di riforma sul sistema pensionistico”. Per incidere si punterà soprattutto su federalismo e rivoluzione della tassazione. Tutto scontato? No, le novità non mancano. Il federalismo, in primis quello demaniale, servirà anche a “valorizzare il patrimonio pubblico”, ovvero a venderlo: “Le amministrazioni locali potranno gestire direttamente tali beni o conferirli a determinati fondi immobiliari, alternativamente tali immobili potranno essere venduti”. Riducendo così il debito pubblico.

    Resterà però deluso chi cercherà nel documento un accenno alla riduzione della pressione fiscale per contribuire alla crescita: “La strategia di riforma non potrà che essere tendenzialmente neutrale sul piano finanziario”. Infatti si ripropongono le parole d'ordine tremontiane: la tassazione si sposterà dal centro alla periferia e dal complesso al semplice. Ma c'è un riferimento indiretto alla possibilità di incrementare le imposte sulla proprietà: tra gli elementi chiave della strategia ci sarà lo spostamento “dalla tassazione sui redditi personali alla tassazione sulla proprietà e sui consumi”.

    Il secondo collo di bottiglia, quello della “competitività”, sarà allargato con “sistemi di contrattazione salariale capaci di promuovere la produttività” e con misure che saranno indicate nell'imminente legge annuale per il mercato e la concorrenza. Palazzo Chigi in una nota a pie' di pagina sembra voler rassicurare il commentatore del Corriere della Sera: “Le finalità contenute nella Legge annuale risultano in linea con il rapporto del prof. Monti al presidente della Commissione europea”. Per “incoraggiare la crescita a breve periodo” occorre “liberalizzare ulteriormente il settore dei servizi e delle industrie a rete”. Ulteriori dettagli non ci sono, ma si rimanda appunto alla Legge annuale in fieri. Il governo piuttosto si dilunga in altri provvedimenti non secondari che hanno l'obiettivo di favorire gli investimenti anche esteri. Come? Con “la possibilità di istituire nelle regioni del mezzogiorno le zone a burocrazia zero” e “l'applicazione del regime fiscale estero, se più favorevole, per le imprese dell'Ue che intraprendono in Italia nuove attività nell'arco di tre anni”.
    Il capitolo più corposo non solo per pagine (nove) ma per enfasi, strategia e dettagli è intitolato “Sorveglianza tematica”. “Il nucleare per la crescita italiana”, è scritto in bella evidenza. Il ritorno all'atomo “migliora la competitività del comparto industriale ed economico riducendo la spesa energetica” e “fornisce opportunità di crescita per industria e terziario”. Infatti la “filiera nucleare consentirebbe di dare impulso – anche da subito – a diverse attività di supporto della costruzione delle nuove centrali”. Non mancano riferimenti all'università e alla ricerca, con qualche impegno preciso: “L'apporto pubblico alla spesa in ricerca è pari allo 0,56 per cento del pil, il miglioramento sia quantitativo che qualitativo di questo apporto concorrerà al perseguimento dell'obiettivo minimo di spesa complessiva, pubblica e privata, dell'1,53 per cento del pil al 2020”.

    C'è infine un ampio capitolo sul mezzogiorno, con riferimenti alle idee di Tremonti (infrastrutture e scuola, come da documento svelato sabato sul Foglio), all'azione del ministro per i Rapporti con le regioni, Raffaele Fitto, per la rimodulazione dei fondi Fas e a prossime iniziative del dicastero del Welfare di Maurizio Sacconi per incrementare il tasso di occupazione delle donne: si punterà su “incentivi mirati all'assunzione nel mezzogiorno”. “I contratti di inserimento potrebbero essere una misura chiave ma sono inibiti dal nuovo regolamento comunitario. La questione è stata già sollevata dall'Italia a Bruxelles”.