Il sistema costituzionale prevede un capo di governo l'anno, questo è il problema

Giuliano Ferrara

Fatta la riforma elettorale maggioritaria, in pieno golpe giudiziario, nel 1993, si ebbe la sorpresa di Berlusconi. Una leadership pop, carismatica, postpartitica, con il senso dell'individuo al posto del senso dello stato. Berlusconi vinse in condizioni folli, nel marzo del 1994, e durò meno di dieci mesi. Poi per due anni con Dini fu restaurato il governo oligarchico dei partiti e delle consorterie nello stile della Prima Repubblica, naturalmente senza più il discrimine regolativo cruciale che era stato per decenni la Guerra fredda.

    Fatta la riforma elettorale maggioritaria, in pieno golpe giudiziario, nel 1993, si ebbe la sorpresa di Berlusconi. Una leadership pop, carismatica, postpartitica, con il senso dell'individuo al posto del senso dello stato. Berlusconi vinse in condizioni folli, nel marzo del 1994, e durò meno di dieci mesi. Poi per due anni con Dini fu restaurato il governo oligarchico dei partiti e delle consorterie nello stile della Prima Repubblica, naturalmente senza più il discrimine regolativo cruciale che era stato per decenni la Guerra fredda, con la centralità democristiana, il ruolo stabilizzatore del Partito comunista sempre escluso da una alternativa impossibile, presidio contro le avventure. Dopo il governo del presidente, e la cospirazione di Scalfaro, venne l'Ulivo, con la vittoria di Prodi nel 1996, e fu la guerra perenne dei capi: tre presidenti in cinque anni, e alla fine un candidato premier diverso dai tre.

    Perfetto stile Prima Repubblica anche qui, ma Berlusconi la spuntò alle elezioni del 2001. Era unfit to lead Italy, secondo l'Economist, e in fondo era vero: ma non perché fosse gravato dal conflitto di interessi potenziale, che non è mai scattato, piuttosto per via delle regole costituzionali che non prevedevano la stabilità politica e un governo di mandato incentrato sulla funzione demiurgica di una personalità e del suo staff, a margine della egemonia “democratica” dei partiti. Berlusconi governò per cinque anni, ma fu costretto a passare di crisi in crisi, la presa nella maggioranza di Casini e Fini, politici professionali e capipartito, e delle loro triangolazioni parlamentari con le opposizioni, fu atroce, paralizzante: la riforma costituzionale nacque fragile e, dopo la sconfitta di misura alle elezioni del 2006, fu abrogata via referendum. Due anni di Prodi, con l'Unione che fu un trionfo della logica di interdizione e di blocco dei partiti vecchio stile, e via con altri due anni di Berlusconi, ora alla prova forse finale: maggioranza persa dopo la guerra con Fini, capopartito spodestato ma non domo, giochi di instabilità pericolosi sull'orlo del voto, nuova giovinezza di trame e tramisti in mezzo al gran bordello del pubblico e del privato del premier.

    Come si può non pensare che tutto dipenda dal fatto che le regole non sono cambiate, mentre è cambiato il contenuto della politica? Eleggiamo sostanzialmente un premier, e crediamo in un mandato elettorale sovrano, ma in Italia la Costituzione non prevede alcun premier, solo un presidente del Consiglio dei ministri, e il Parlamento è sulla carta eletto senza vincoli di mandato. La fisiologia del sistema è compensativa: siamo usciti dal fascismo con l'idea che l'oligarchia e la consociazione sono il solo antidoto al dispotismo di un uomo solo al comando, e anche a una stabilità politica finalizzata a progetti e grandi riforme. Alla Costituzione non piace l'uomo forte, e il risultato è un potere debole, insidiato dalle manovre di Palazzo e di procura tanto più in quanto è detenuto da un ospite inatteso, da uno statista strafottente e privatissimo, non previsto, che telefona in questura a notte alta preoccupato della sorte di Ruby. Per il sistema il suo durare è scandaloso.

    A partire dalle 11 di oggi, ogni due ore, il Foglio.it pubblicherà un intervento di un opinionista. Leggete cosa hanno risposto alla domanda "E' arrivato il 25 luglio del Cav.?" Ritanna Armeni, Umberto Silva, Annalena Benini, Camillo Langone, Pietrangelo Buttafuoco, Luigi Amicone, Stefano Ceccanti, Sergio Soave, Margherita Boniver, Marina Valensise e tanti altri.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.