Gioia intensa e sguaiata, un grigio ritorno al passato. Scene di ucronia per il dopo Cav.
Lanciamoci in un'ucronia. Ammettiamo per assurdo che il Cav. decida di fare violenza su se stesso e sul suo smisurato ego. Che si lasci andare a questo clima da finis regni dove tutto sembra fermo o in via di decomposizione. Che rinunci persino a quella ultima reazione vitale che sarebbe andare ad elezioni anticipate. Dica agli italiani che questa sarà pure la terra del padre e delle sue radici, che Dio gli è testimone che ha provato e riprovato a cambiarla in tutti i modi possibili.
Guarda il video La strategia di Fini - Il punto di Lanfranco Pace
Lanciamoci in un'ucronia. Ammettiamo per assurdo che il Cav. decida di fare violenza su se stesso e sul suo smisurato ego. Che si lasci andare a questo clima da finis regni dove tutto sembra fermo o in via di decomposizione. Che rinunci persino a quella ultima reazione vitale che sarebbe andare ad elezioni anticipate. Dica agli italiani che questa sarà pure la terra del padre e delle sue radici, che Dio gli è testimone che ha provato e riprovato a cambiarla in tutti i modi possibili, ma che non ce l'ha fatta, e forse aveva davvero ragione un altro Cavaliere d'Italia che con cinismo disse che governare gli italiani non è difficile ma completamente inutile. Ecco ammettiamo per assurdo che Berlusconi si presenti al Tg delle 20 e dica che vuole godersi in spirito e in carne l'ultima stagione della sua esistenza e “de guerre lasse” si ritira a vita privata: torna a casa.
Avremo reazioni di perplessità e di scoramento, nemmeno troppe a dire il vero: anche nell'inner circle ci sarà chi non riuscirà a nascondere il proprio sollievo. In partibus infidelium ci sarà giubilo. Una folla ubriaca ballerà per strada e proporrà che anche l'Italia abbia il suo giorno del ringraziamento. Cominceranno con il contendersi il merito di aver mandato a casa il re. Le donne da un lato, in fondo il premier sarebbe formalmente caduto sull'ennesimo festino dal profumo dolciastro: menti raffinate potranno scrivere che non si può fare storia né politica né cultura contro il loro corpo troppo a lungo vilipeso. Ne conosco personalmente due o tre già pronte all'impresa. Nemmeno Fini potrà fare a meno di rivendicare il suo ruolo: ha incontestabilmente assestato un colpo terribile alla maggioranza di ferro e incrinato una leadership che sembrava inossidabile. Un buon compromesso tra i contendenti sarebbe scegliere una donna finiana come mascotte del fronte dei refrattari, come Egeria della nuova res publica incipiente.
Passata l'ebbrezza, un po' di gossip e di ciarle, sarà il fondatore di Repubblica a porre la domanda, ontologica, definitiva: “Ora che fare?”. Ce la gireremo e rigireremo, da soli o in compagnia, al bar, a cena, a casa, al ristorante, in ufficio. Ma scopriremo poco a poco che la politica italiana non è più la stessa, che ha cambiato forma, senso e segno. Finite le goliardate in libera uscita, il kapò, le corna in una foto dei grandi della terra, il cucù alla Merkel e l'Obama pallido, che hanno danneggiato l'immagine dell'Italia meno di quanto si sia detto ma di certo non le hanno apportato gran giovamento, anche se la gaffe più clamorosa resta quella di Sandro Pertini che di fronte al re Juan Carlos brindò alla grande e gloriosa Repubblica di Spagna. Non sentiremo più barzellette che ammiccano alla potenza virile e per lo più non fanno ridere, tranne forse quella davvero surreale che fece sganasciare Clinton in una pausa del G8 a Napoli e fu ripresa dal Corriere della Sera, due amici che si incontrano e uno dice “sai mi sono fatto tatuare un neo sull'uccello così quando ho un'erezione compare una mosca, e l'altro, io mi sono fatto tatuare tsdsbdt così quando ho un'erezione appare la scritta “tanti saluti da San Benedetto del Tronto”, finita dunque la pubblica esibizione dell'ossessione personale per la proboscide dell'elefante. Anche i fan del Cav. si sentiranno come liberati dall'ansia dell'annuncio a sensazione, della sortita fuori controllo, della dichiarazione inopportuna e dell'affannosa rincorsa alla smentita.
Ma con questo scompare anche un modo unico di intendere la politica, quel metterci ogni volta la faccia, personalizzarla che piaccia o meno e che ha allineato l'Italia sulle altre democrazie avanzate e dato al popolo la possibilità di esprimersi come volontà e non come mera sommatoria di iscritti ai partiti.
Nel dopo Berlusconi parleranno solo i professionisti e il loro linguaggio lo conosciamo già: grave mai leggero, spesso incomprensibile, volentieri barocco, a volte esoterico. Sentiremo trombe suonare al nuovo risorgimento, al necessario riscatto della nazione dal fondo fangoso in cui l'ha fatta precipitare il populismo di chi ha fatto prevalere il consenso sulle regole. Proveranno a fare un po' di union sacrée, i professionisti: giusto il tempo che ognuno veda le carte in mano ai suoi avversari e si registrino i rapporti di forza. Di Pietro capirà che l'uscita di scena del Cav. ha reso zoppo anche lui: della giustizia non si parlerà più, i magistrati si difenderanno da soli perché nessuno li tiene più sotto attacco e quando si passa alle cose da fare l'utilità marginale dell'ex pm di Milano tende a zero. Anche Fini si accorgerà presto di stare in una scomoda postura. Ha consensi troppo freschi e troppo avvelenati per contare a destra e troppo marcati per attirare elettori di sinistra, difficilmente ritroverà la forza che era di An: una volta esaurita la sua funzione sarebbe il primo a essere spinto al margine. Se si farà risucchiare dal centro piccolo o grande dovrà dire addio all'ubbia presidenzialista e si ritroverà a camminare a fianco di Casini e Bersani verso il modello tedesco: verso cioè il ritorno alla preminenza del Parlamento come luogo dove si fanno e disfano le maggioranze e i governi e con una soglia di sbarramento bassa, perché la rappresentanza sia la più larga possibile. Vendola rincorrerà i suoi sogni di nuova sinistra, legittimato a sentirsi più Checco Zalone che governatore di regione.
Bersani dirà che il suo consiglio al Cav. è stato decisivo tant'è che l'ha seguito, D'Alema lascerà il Copasir per riproporsi come artista che ha tela da tessere mettendo una definitiva mordacchia al Veltroni rimasto solo o quasi a volere un Partito democratico a vocazione maggioritaria. Dopo un giro di orizzonte si vedrà che nessun accordo è possibile su una nuova legge elettorale. Si tornerà a votare con questa che c'è, al più con una piccola correzione del premio di maggioranza per il collegio del Senato.
La Lega sarà vedova molto consolabile e vedrà con piacere spuntare i germogli di questo cosiddetto nuovo: non si impiccherà all'alternanza, tutto quello che indebolisce il governo centrale rafforza la sua idea di potere periferico. Quanto al Pdl, i successori potenziali del Cav. non sembrano in grado di salvarne l'eredità: la logica vorrebbe che un'impresa non sopravviva al suo fondatore. Avremmo dunque un paese totalmente volto all'indietro, che cerca il conforto del passato remoto, dell'unica forma repubblicana che conosce e che è compiutamente descritta in quella che qualcuno ha definito come la più bella Costituzione che si possa avere. Niente paura, è un'ucronia.
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