Voto di distruzione di massa
La fine dell'algida Nancy è l'avvertimento migliore per Obama
Voto interessante, quello di queste giornate negli Stati Uniti, perché prosegue nella rappresentazione delle declinazioni dei concetti di “progressista” e “conservatore”, tra cui gli americani non smettono di oscillare. Con delle certezze. Che coincidono con l'espressione del rifiuto, della pesante bocciatura che l'elettorato sta esprimendo verso una certa identità democratica che negli ultimi 24 mesi è stata la più autorevole.
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Voto interessante, quello di queste giornate negli Stati Uniti, perché prosegue nella rappresentazione delle declinazioni dei concetti di “progressista” e “conservatore”, tra cui gli americani non smettono di oscillare. Con delle certezze. Che coincidono con l'espressione del rifiuto, della pesante bocciatura che l'elettorato sta esprimendo verso una certa identità democratica che negli ultimi 24 mesi è stata la più autorevole: l'America dice no al radicalismo incarnato da Nancy Pelosi, a cui a lungo sono state annesse le posizioni del presidente Obama, anche se ora le distanze tra i due personaggi si vanno allargando. No all'attivismo innovativo e alla spinta dall'alto a produrre sacrifici ed esperimenti nella direzione di una supposta neo consapevolezza che includa la globalizzazione, i mutati scenari economici, l'appiattimento verso il basso delle opportunità, la condiscendenza perdonista dello stato, ridisegnato come padre-padrone, comprensivo verso coloro che cerchino rifugio sotto il suo ombrello. Resistenza, attraverso il voto, alla spinta psicologica, di cui la Pelosi è stata protagonista, che chiede di prendere atto delle diversità (sessuali, religiose, razziali) apparentemente ormai insediate nel progetto americano. Stop alla tolleranza, come prima opzione. No all'elegante laissez faire, ottimistico ed elitario, su cui la numero uno della Camera ha improntato la sua leadership, sotto le insegne dell'invocato ricambio post Bush.
Tutto si è rivelato troppo spiazzante, destabilizzante, ansiogeno, proiettato verso un ignoto non abbastanza attraente. Tutto troppo permissivo, sperimentale e arrogante, nel discorso che la Pelosi ha rivolto agli americani, dicendo loro: non potete farci niente, non potete restare arroccati sulle vostre vecchie convinzioni, dovete dar retta a questa distinta signora cattolica di 70 anni che ha ricevuto l'illuminazione del progresso e la missione di insegnarvi a essere meno provinciali, sospettosi, avvinghiati a credenze trasmesse per via ereditaria. Contrordine: l'America del 2010 (e quella che nel 2012 sceglierà un nuovo presidente) è refrattaria a questa visione, tanto più quando gli happy times sono fuori portata e il pragmatismo impone priorità precise. Una figura sottilmente aggressiva nei confronti delle certezze del cittadino, come s'è rivelata la Pelosi, pronta a provocare e destabilizzare nel nome di spericolati progetti di rinnovamento sociale, sprofonda nell'alveo di un'antipatica impraticabilità: qualcuno a cui levare il mandato ad agire, delegittimando la sua leadership di una maggioranza che non esiste più, s'è disciolta nell'equivoco tra le promesse pronunciate e il loro mantenimento.
Il grande escluso dal prossimo biennio della politica degli Stati Uniti è lo “stile Pelosi”, spazzato via dall'intransigenza isterica che lei stessa ha allevato sotto forma di Tea Party, e isolato perfino da quei compagni di Partito democratico che ora si affrettano, come uno sciame, a convergere al centro. Riacquisendo frettolosamente i toni del più guardingo e avvertito liberalismo, da far sembrare pendente a sinistra perfino l'altra signora – Hillary – che però sarà abbastanza accorta da raddrizzare subito la rotta. Del resto, nelle ultime ore, più che la Waterloo della Pelosi, cancellata dalle cronache democratiche come un errore da non ripetere, più di questa sbornia avventuristica verso un'americanità teorica, negata dagli aventi diritto, a fare il giro della nazione sono le immagini dei due Bush che sul macchinino elettrico salutano la folla dello stadio di Arlington, prima della finale di baseball. Un exploit di buona vecchia America. Una visione che non rivela nulla dei possibili scenari futuri. Ma che parla chiaro al presente: per sopravvivere qui, politicamente e pubblicamente, bisogna tornare a parlare la lingua del cuore e quella degli affari nazionali, intesi come somma di milioni di business individuali. Obama è avvisato. Che prenda ripetizioni di neoclassicismo. Altrimenti subentrerà l'afrore delle Idi di marzo.
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