Fuori dalla palude
Ecco l'operazione che ha in mente il Cav. per legare Tremonti al Pdl
Scherzando la chiamano “operazione Tremonti”. Ieri, nel corso delle due riunioni con il premier a Palazzo Grazioli, coordinatori e capigruppo del Pdl – complice Silvio Berlusconi – hanno messo in moto una manovra avvolgente nei confronti del superministro dell'Economia, fino a ieri schierato come e più di Umberto Bossi nel chiedere elezioni subito. Senza la sua collaborazione, la maggioranza difficilmente riuscirà a tirarsi fuori dalla palude.
Scherzando la chiamano “operazione Tremonti”. Ieri, nel corso delle due riunioni con il premier a Palazzo Grazioli, coordinatori e capigruppo del Pdl – complice Silvio Berlusconi – hanno messo in moto una manovra avvolgente nei confronti del superministro dell'Economia, fino a ieri schierato come e più di Umberto Bossi nel chiedere elezioni subito. Senza la sua collaborazione, la maggioranza difficilmente riuscirà a tirarsi fuori dalla palude. L'obiettivo è riavvicinarlo al Pdl, perché, come dice Maurizio Gasparri, “da questo momento di difficoltà ci si tira fuori con il lavoro di squadra e con il tandem tra Berlusconi e Tremonti”. Dove l'uno mette il carisma, l'altro i denari per governare e riconquistare Confindustria, piccole e medie imprese, i sindacati riformisti Cisl e Uil. Il titolare del Tesoro ieri ha più ascoltato che parlato, ma pare abbia dato la propria disponibilità: circa sei miliardi di euro per finanziare l'agenda di governo che il Cavaliere esporrà oggi alla direzione nazionale del Pdl. D'altra parte è questo il senso delle parole pronunciate dal premier ai suoi: “Possiamo governare contro i magistrati, contro i giornaloni, contro tutta la sinistra, ma non contro il ceto produttivo”. Così al ministro dell'Economia si vorrebbe offrire l'incarico di vicepresidente del Pdl, ruolo che non gli dispiace, che già ricopriva in FI, e che gli permetterebbe di aggiungere un profilo politico alla sua affermata e internazionalmente riconosciuta supremazia tecnica.
“A Tremonti serve un partito per coltivare le proprie ambizioni. E deve tener presente che non tutta la Lega lo ama”, dicono nel Pdl. Sarà sufficiente? C'è chi ne dubita. Molti esegeti tremontiani sostengono che non ci sia contropartita che il Pdl possa offrire al ministro, il quale punta sulla Lega vittoriosa alle prossime elezioni. Le riunioni degli ultimi giorni hanno sancito un cessate il fuoco nel gruppo dirigente, guai ad alimentare le chiacchiere sul 25 luglio del Cavaliere. Pace fatta all'interno della ex FI e con gli ex di An. Ma tutti sanno che senza Tremonti il gioco non dura, e lui è il più difficile da agganciare. D'altra parte dicono che le sue operazioni di bilancio, indebolendo il “sistema Gianni Letta”, hanno contribuito a mettere in difficoltà il premier.
La direzione nazionale del Pdl oggi renderà l'immagine di un partito la cui classe dirigente ha siglato un cessate il fuoco mettendo la sordina a tutte le tensioni che, tuttavia, ancora la attraversano. L'unico esponente di rango che mai ha preso parte ai tanti pranzi e cene, nel corso dei quali i generali del berlusconismo hanno siglato questa tregua “per il bene supremo della stabilità di governo”, è Giulio Tremonti. Non è un caso se è a lui che ora tutti guardano e per la prima volta non soltanto con sospetto, ma coltivando l'intenzione di coinvolgerlo di più. Gli si vuole offrire – o sventolargli sotto il naso – quel ruolo di primus inter pares che forse, per inclinazione personale, è il più congeniale a un uomo che non ama la parola “collegialità”. In tempi recenti, nonostante i tagli alla spesa e i rapporti non precisamente distesi del passato, Tremonti ha recuperato un rapporto con Raffaele Fitto, con Fabrizio Cicchitto, con Gaetano Quagliariello e molti altri. Tremonti vicepresidente del Pdl? E' un'idea. Anche se è passato molto tempo da quando fu il ministro a chiedere l'incarico. Di sicuro il gruppo dirigente adesso vuole recuperare a sé il superministro.
“Tremonti è un pidiellino della Valtellina. Ma è uno del Pdl”, dice Maurizio Gasparri. L'operazione non ha minore importanza strategica delle contromisure, benché episodiche e incostanti, messe in campo per arginare Gianfranco Fini. Accentrando su di sé il bilancio, in due anni di legislatura Tremonti ha indebolito la struttura più squisitamente politica del berlusconismo: ha colpito indirettamente il grande stabilizzatore, Gianni Letta. L'effetto negativo sulla capacità di manovra di Palazzo Chigi, sommato alla fronda finiana e ad alcune sviste del Cavaliere, ha contribuito a determinare la difficile situazione in cui è precipitata la maggioranza. Adesso, accanto al gioco di nervi ingaggiato con l'ex leader di An, è necessario anche affrontare la questione Tremonti e – novità – senza fargli la guerra.
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