Fini l'indecisionista

Salvatore Merlo

Gianfranco Fini si prepara a intervenire domani a Perugia in un clima da rissa interno al suo gruppo dirigente. Strattonato da quanti lo consigliano di ritirare la delegazione al governo e da quanti gli dicono di afferrare la mano tesa di Silvio Berlusconi, il presidente della Camera non ha deciso cosa fare. Domani a Perugia potrebbe anche scegliere di non scegliere; alternando musi duri a caute aperture nei confronti del centrodestra, ma non del Cavaliere.

    Gianfranco Fini si prepara a intervenire a Perugia in un clima da rissa interno al suo gruppo dirigente. Strattonato da quanti lo consigliano di ritirare la delegazione al governo e da quanti gli dicono di afferrare la mano tesa di Silvio Berlusconi, il presidente della Camera non ha deciso cosa fare. A Perugia potrebbe anche scegliere di non scegliere; alternando musi duri a caute aperture nei confronti del centrodestra, ma non del Cavaliere. Una funambolica strategia dell'abbandono. Lasciare il leader Berlusconi ma non il suo governo: accettare il patto di legislatura, ponendo tuttavia condizioni vincolanti e legate al rilancio delle riforme istituzionali e alle politiche (antitremontiane) di spesa. “Un colpo d'ala”, dicono.

    “Vi siete fatti comprare da Berlusconi”.
    “Voi invece siete dipendenti di Caltagirone”. Sono di questo tenore le accuse che i dirigenti di Fli si sono scagliati in questi giorni e che ieri mattina, nel corso di un teso ufficio politico, echeggiavano ancora nella testa di molti. Fini ha ascoltato i propri uomini esprimere posizioni opposte e difficilmente conciliabili. A un certo punto ha quasi alzato le braccia: “Mi sembra che trovare una mediazione qui sia molto difficile. Ci proverò domenica a Perugia”. L'ex leader di An non sa se ascoltare il suo amico Italo Bocchino o invece Andrea Ronchi, Giuseppe Consolo, Silvano Moffa il cui mantra è: dobbiamo restare al governo e  indirizzarlo da dentro. Berlusconi, che teme la mutazione di Fini in una “marionetta nelle mani dei poteri forti”, è stato esplicito: “O nel governo o alle urne”. L'appoggio esterno, secondo il Cav., è l'anticamera dell'esecutivo tecnico, una manovra per commissariare la politica economica con la costruzione di maggioranze variabili capaci, in Parlamento, di riaprire i capitoli di spesa (come è già accaduto sui fondi Fas). Un attacco all'asse Tremonti-Bossi e dunque al cuore del Palazzo.

    Riuniti i propri uomini, falchi e colombe, ieri nella sede di FareFuturo l'ex leader di An ha vagliato tutte le ipotesi possibili. L'unico punto certo cui si è arrivati è che il governo tecnico non si può fare adesso: il Pdl, nonostante le tensioni interne (Piergiorgio Massidda ha già firmato per passare a Fli), ancora regge al Senato. Cosa che esclude la possibilità di maggioranze diverse dall'attuale, ma rafforza la convinzione dell'ala dei falchi finiani che sostengono la necessità di un “passaggio intermedio che preluda al governo tecnico”, ovvero l'appoggio esterno. D'altra parte Fini non è del tutto persuaso che Berlusconi abbia la forza di essere conseguente al proprio ultimatum: “O al governo o al voto”. Nei conciliaboli privati, Benedetto Della Vedova ha sostenuto di fronte a Fini che Napolitano riaffiderebbe l'incarico a Berlusconi: “Ottenere le elezioni non è cosa semplice”. Ma si sottovaluta l'irrequietezza di Umberto Bossi e Giulio Tremonti, che sfilerebbero la Lega dalla maggioranza. Questo scenario è stato già discusso dal Cavaliere e dal leader padano che sono arrivati a un accordo di questo genere.

    Berlusconi, Bossi e Tremonti non possono accettare che Fini si metta fuori dal governo costruendo un asse parlamentare con l'Udc e l'Mpa. Sarebbe una forza capace di giocare di sponda, alternativamente con con Pdl e Pd, nella costruzione di maggioranze variabili su singoli provvedimenti in discussione in Parlamento. Un commissariamento di fatto del governo. Secondo la versione più dietrologica – che lo stesso Berlusconi ha però avvalorato di fronte a coordinatori e capigruppo del Pdl – l'obiettivo è Tremonti, la cui Finanziaria è in discussione in questi giorni. I primi segnali di avvertimento si sono avuti giovedì scorso, in commissione Bilancio alla Camera, con Pdl e Lega battuti sul capitolo “Fas” della Finanziaria, da Udc, Fli, Mpa e Pd. L'appoggio esterno verificherebbe la nascita parlamentare del fantomatico terzo polo il cui compito principale consiste nel riaprire nel medio termine la spesa e, nel lungo termine, creare le condizioni per un governo tecnico che conduca alla riforma della legge elettorale e alle elezioni. “Fini sa bene che questa ipotesi adesso è possibile. Ma deve scegliere ora che Berlusconi è debole”, è il forte messaggio che l'ex leader di An ha ricevuto da un composito ambiente economico-parlamentare. Ma è anche per questo che Fini non sa decidersi. Ritirare la delegazione al governo, schierandosi per l'appoggio esterno, lo consegnerebbe a un preciso disegno strategico che diverge dal destino del centrodestra (non del solo Berlusconi). Domani è per lui più facile decidere di non decidere, restituire la palla al Pdl rilanciando sull'offerta del Cavaliere.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.