Murdoch ha invaso l'Iran
Immaginate una serata qualsiasi davanti alla televisione in Iran. Il primo canale segue da dieci giorni la visita dell'Ayatollah Khamenei nella città santa di Qom; il secondo snocciola dati sul progresso economico e nucleare della nazione a dispetto delle perfide trame sioniste e americane; il terzo, fra una lezione di cucina azera e un reportage sulla storica partita di calcio tra Mahmoud Ahmadinejad e il caro alleato Evo Morales, offre finalmente un film d'azione americano.
Immaginate una serata qualsiasi davanti alla televisione in Iran. Il primo canale segue da dieci giorni la visita dell'Ayatollah Khamenei nella città santa di Qom; il secondo snocciola dati sul progresso economico e nucleare della nazione a dispetto delle perfide trame sioniste e americane; il terzo, fra una lezione di cucina azera e un reportage sulla storica partita di calcio tra Mahmoud Ahmadinejad e il caro alleato Evo Morales, offre finalmente un film d'azione americano (anche se non si può dire) e, in effetti, come nell'originale, ci sono inseguimenti, sparatorie, gangster, tycoon e poliziotti corrotti, il sangue scorre a fiumi e ogni tanto appare persino qualche donna – moglie, madre o sorella che sia, nessuna che possa comunque turbare il sonno. Gli iraniani lo sanno: la violenza virile non fa male, ma l'“indecenza lasciva” sì, e il censore dell'Ershad (il ministero della Cultura) si è palesato a dovere con stacchi improvvisi e una traduzione surreale che regala anche alle pellicole di Arnold Schwarzenegger un tocco visionario alla David Lynch. Ma non tutti apprezzano la fantasia del censore e molti preferiscono comprare dvd pirata o trasmigrare sul satellite.
Il satellite è un'ossessione nazionale. “Più essenziale di una lavatrice”, dicono le signore, “importante quanto o più di un computer”, spiegano i ragazzi. Un tempo era il segno lampante di insubordinazione al sistema, ma ormai le parabole bianche sono ubique, le autorità le abbattono una, due, trenta volte, eppure rispuntano sempre come funghi nei quartieri bene di Teheran, nei sobborghi popolari e anche nelle campagne, tanto che i delatori si sono stancati di denunciarle. In Iran non ci sono certezze e ciclicamente la repressione torna a sfogarsi sui tetti, ma nessuno alza più di un sopracciglio di questi tempi. L'Ershad non lo ammetterà mai, ma quella contro il satellite è una battaglia persa. Persino l'ineffabile Hamid Baghaei, vicepresidente di Ahmadinejad e capo di un'organizzazione per la promozione della cultura, ha ammesso come fosse la cosa più normale del mondo di pubblicizzare le attività del proprio ente soltanto su reti straniere. “Chi guarda la televisione iraniana?” ha detto Baghaei, alto ufficiale di un paese che definisce i media internazionali “onde che, sospinte dall'impero mediatico occidentale, mirano al dominio e alla conversione culturale delle nazioni indipendenti e soprattutto della Repubblica islamica” (così dice il sito internet della tv di stato, Irib). Impermeabili alle litanie del regime, sempre più iraniani (il 40 per cento delle famiglie secondo le stime ufficiali, addirittura il 70-80 secondo quelle indipendenti) corrono a sintonizzarsi sulle “onde” pericolose.
L'estate appena trascorsa è stata la più amara nella storia dell'Irib e la più gloriosa a memoria d'antennista. C'era un tempo – raccontano i taumaturghi dell'etere – in cui i clienti erano di tre tipi: intellettuali e stranieri, nostalgici dell'ancien régime e ragazzine viziate di Shemiran, un quartiere ricco nel nord della capitale. Da un anno a questa parte tutto è cambiato. Prima è arrivata Bbc farsi, la principale fonte di informazione non governativa nella turbolenta stagione postelettorale, poi Farsi 1. Altro che deprimenti vicende di dissidenti, estenuanti dibattiti da teherangeles (così gli iraniani chiamano la nutrita comunità della diaspora losangelina) e ripetitivi video pop in finglisi (un misto di farsi e inglese). Ora gli iraniani hanno a disposizione, in farsi e senza l'ingombro di fastidiosi sottotitoli, alcune fra le serie internazionali di maggior successo: “Beautiful”, “24”, “Dharma and Greg” (su Farsi 1 inspiegabilmente trasformata in “Dharma and Grey”), la rivelazione turca “Bez Bebek”, “How I met your Mother”, “Prison Break”, oltre a numerose e seguitissime telenovelas sudamericane e coreane. Mai tanto invocato e blandito, l'artefice materiale della rivoluzione televisiva iraniana è divenuto l'uomo della provvidenza della borghesia iraniana. Installa decine di parabole ogni giorno e corre in soccorso di clienti sull'orlo di una crisi di nervi perché il segnale è interrotto o disturbato. Molti assicurano che il nume tutelare della tv “a giugno girava su una Paykan e ora sfreccia su una Lexus”. Quel che è certo è che non vi è antennista che non benedica sopra ogni cosa Farsi 1 e gli occhi scuri di Salvador. Fisico possente che si tuffa e riemerge (scarnamente coperto) dalle onde, capelli al vento e barba da cattivo ragazzo, Salvador è l'uomo del momento, il protagonista della telenovela colombiana cult “Il corpo del desiderio”, ribattezzata più modestamente per il pubblico iraniano “Seconda possibilità”. Signore e signorine pendono dalle sue labbra e si arricciano i capelli, alla Isabela, la pettinatura tutta boccoli e onde della protagonista femminile della serie. Salvador e Isabela sono motivo di discussione dall'estetista, ma anche nelle cene che si vogliono chic. E non importa che l'intreccio sia inverosimile quanto basta da garantire innumerevoli colpi di scena da dispensare nel maggior numero di stagioni. Salvador e Isabela hanno un'aria abbastanza selvaggia, libera e pop da far sognare in tempi in cui l'unico antidoto all'angoscia collettiva pare essere la fuga, anche quella virtuale. Ovviamente, “Seconda possibilità” attira critiche feroci. “ Io non la guardo, accendo di rado la televisione – dice al Foglio la cardiologa Marjaneh – In Iran ci sono modi migliori di morire della noia. Del resto, l'idiozia è un lusso che non tutti si possono permettere”.
L'economista Keyvan è meno severo. “Di base non sono un fan di Farsi 1, non apprezzo i programmi turchi né le versioni coreane di “Beautiful”, doppiati come sono poi”, dice Keyvan. Sul doppiaggio di Farsi 1 i commenti delle fonti del Foglio variano da un cauto “credo che i traduttori non siano affatto iraniani”, a un più esemplificativo “il traduttore doveva essere stravolto dal crack. “Nella mia famiglia mamma è una spettatrice assidua e mio padre intanto diventa matto – riprende l'economista – Per quel che ne so, la stessa dinamica si ripete in molte case iraniane”.
Per l'élite culturalmente più attrezzata, rappresentata dalle Marjaneh e dai Keyvan, i temi dominanti della telenovela passione, reincarnazione,vendetta, alcol e sesso tra adolescenti sono trattati in modo superficiale, ma per chi non ha studiato né viaggiato, per chi ha letto poco e non mastica l'inglese, per chi sino a poco tempo fa “intrattenimento in tv” significava prevedibili scene di matrimoni combinati o al massimo amori, sempre platonici, tra uno sposo povero e una sposa ricca o viceversa, “Seconda possibilità” è una rivelazione. E il gusto della leggerezza ha un sapore dolce per molti. Su un campione di cinquanta persone interpellate dal Foglio a proposito di Farsi 1, tra gli uomini a prevalere è un tono tra lo sprezzante e il canzonatorio: “Roba da donnette, programmi da parrucchiere”. Fra le signore si parla di un interesse svagato (“ogni tanto butto uno sguardo, ma nulla di più”), però tutti conoscono la programmazione del canale, i personaggi delle serie più seguite e gli intrecci della soap. “Io rivendico il rischio di rimbambirmi di sciocche romanticherie – confessa Nazli, maestra quarantenne – La tv di stato vuole educarci costantemente, ma io voglio decidere da sola. La competizione alla fine farà bene anche all'Irib”.
Discernere fra il bene e il male non è un esercizio che, secondo la Repubblica islamica, compete al pubblico televisivo, ed è facilmente intuibile che Salvador non abbia suscitato reazioni altrettanto riverenti nelle autorità iraniane. Maryam Ardabili, consigliere per le Politiche femminili della provincia di Ardabil, si è schierata a nome “delle donne offese” dal canale satellitare più popolare d'Iran: “Non c'è alcun dubbio che Farsi 1 sia un'arma nella guerra culturale” mossa contro la Repubblica islamica. “Il suo obiettivo – rincara un gruppo di deputati conservatori – è distruggere la castità e la moralità delle famiglie incoraggiando gli iraniani ad avere rapporti sessuali e bere alcol”, una strategia tipica dei Servizi stranieri intenzionati a preparare il terreno a una Enghelab rivoluzione di velluto. L'aspetto più interessante delle filippiche contro Farsi 1 è che i dirigenti iraniani sono, da un lato, costretti ad ammettere la larghissima diffusione dei satelliti illegali, e dall'altro obbligati ad accettare che certi messaggi “peccaminosi, ambigui e lascivi” esercitano un'attrazione potentissima su quello che dovrebbe essere, ma non è ormai più da tempo, il granitico partito dei martiri.
Proprio Ardabili ha ammesso che Farsi 1 è un pericolo per le classi umili e che il fenomeno non interessa soltanto i cittadini sofisticati di Teheran. “I programmi di Farsi 1 corrompono chi li guarda – ha dichiarato Ezatollah Zarghami, ex capo pasdaran e attuale presidente dell'Irib – Perché la gente guardi questo canale è un'altra faccenda”. Lo scorso luglio, mentre gli appelli al boicottaggio di Salvador e Isabela cadevano nel vuoto, il regime ha deciso di passare ai fatti inquinando le frequenze di Farsi 1. Nelle stesse ore, la polizia è tornata a confiscare le parabole. Orfane dei propri beniamini, distinte signore e ragazze con vistosi colpi di sole si sono alleate per non perdersi, nella casa dell'una o dell'altra, le puntate registrate di “Seconda possibilità”. Il panico è comunque durato poco. Farsi 1 ha tamponato l'assalto spostandosi su un altro provider: in tutto il paese, le parabole sono state riorientate da un esercito di antennisti stakanovisti già in grado di offrire alle fan di Salvador un prezioso e futuristico marchingegno capace di cambiare l'inclinazione del satellite con l'unico ausilio del telecomando.
All'origine dell'arrendevolezza del governo iraniano c'è la consapevolezza di rischiare molto. L'Iran ha cinque canali indirizzati al pubblico regionale e internazionale: Al Alam e Press tv offrono news 24 ore su 24, rispettivamente in arabo e in inglese, Jam-e-Jam racchiude la programmazione destinata agli iraniani all'estero, al Kawtar è dedicato all'intrattenimento islamicamente corretto (sceneggiati castigati e talk show religiosi) e Sahar tv è investita dell'ambiziosa missione di diffondere e tradurre i principi della rivoluzione in russo, inglese, francese, urdu, curdo e bosniaco. Il problema è che, come ha ammesso lo stesso direttore della tv di stato Zarghami, “Se noi blocchiamo loro, loro bloccano noi”.
L'Iran non possiede satelliti, quelli arabi le hanno dato il benservito e l'unica via che le resta per diffondere la sua visione del mondo è rappresentata da provider europei come Eutelsat, il cui Hotbird 8, ad esempio, ospita Press tv, la Cnn della Repubblica islamica. Ulteriori ritorsioni contro Bbc Persian o Farsi 1, anch'esso su Eutelsat, potrebbero sfociare in un doloroso esilio dall'etere per i programmi iraniani. Teheran governa la tempesta come può. Da agosto, la gioiosa macchina da guerra della propaganda iraniana ha spostato il suo bersaglio da Salvador ai suoi mandanti: il businessman australiano-afghano Saad Mohseni e soprattutto lo squalo Rupert Murdoch. “Farsi 1 è apolitica, questo è il nostro mantra”, ha dichiarato Mohseni, ma Teheran non si fida. Ostile nei confronti di Mohseni è anche il presidente afghano, Hamid Karzai, che ne ha dato una definizione poco lusinghiera: “Mohseni è un abile uomo d'affari che fa pessime cose nei media”. L'ex ministro dell'Informazione di Kabul, Abdul Karim Khurram lo ha reso persona non grata a Teheran con una sentenza: “Mohseni è anti iraniano”.
In Afghanistan, Mohseni dirige il Moby Group e ha fondato Tolo Tv e Arman Radio. Il successo lo ha trasformato in un uomo influente, il che non ha contributo a renderlo più simpatico agli altri poteri di più lungo corso. Tuttavia, per Teheran non si tratta solo di una questione epidermica. Il principale finanziatore del network afghano di Mohseni è Usaid, che sponsorizza due programmi su Tolo Tv. Circostanza che avvalora i più oscuri presagi di Teheran, visto che, in Iran Usaid è già stata tacciata di rappresentare la quinta colonna dell'imperialismo a stelle e strisce. Il quotidiano afghano Weesa ha insinuato che Farsi 1 intende raggirare gli iraniani con una vorticosa campagna antiregime che, secondo gli accusatori, dovrebbe partire a breve nientedimeno che dagli studi di Tolo Tv. “Cento ragazze e ragazzi afghani con accento persiano sono già stati reclutati a questo scopo” ha aggiunto sibillino Weesa, secondo cui Mohseni avrebbe già ragguagliato in merito anche l'ambasciatore americano, Zalmay Khalilzad.
Ma non sono le ombre afghane la fonte di maggiore inquietudine per Teheran. A turbare la pace dei potenti della Repubblica islamica è soprattutto il coinvolgimento di Murdoch nell'operazione Farsi 1. Mai tenera nei confronti del regime, la sua Fox News è tra gli organi di stampa internazionali quello che più frequentemente evoca l'opzione militare contro Teheran, dove il nome di Murdoch già evoca solo sventure. In uno degli ultimi numeri della rivista degli ultraconservatori Panjereh compare in copertina il suo volto mostrificato corredato dal titolo “Murdoch è un agente segreto ebreo che vuole il controllo dei media mondiali e ha promosso Farsi 1”. Eppure, al netto delle paranoie, potrebbe essere tutto più semplice, come dimostra il pullulare di paraboliche che hanno colonizzato l'Iran.
Dal punto di vista televisivo e commerciale, la Repubblica islamica è come una Bella addormentata che non aspetta altro che di essere svegliata. “La radice dell'attrazione nei confronti di Farsi 1 è semplicemente la debolezza della nostra offerta”, ha confessato all'incredulo giornalista di Panjereh il produttore iraniano Esmail Afifeh. E se c'è qualcuno – come ha ricordato Reza Aslan su The Daily Beast – che può riconoscere l'immenso potenziale del mercato islamico globale, un mercato che, per quanto riguarda i consumi, il World Economic Forum stima in crescita dai tremila miliardi di dollari di oggi ai trentamila miliardi del 2050, si può capire quale interesse possa rivestire per Murdoch una fetta significativa di quella torta. Forse ha ragione Aslan: tra un po' Homer Simpson sbarcherà in turbante nel bel mezzo di un intervallo tra predicatori coranici e ameni paesaggi del Caspio. Sarà il giorno in cui i mullah rivaluteranno i bei tempi andati e lo scandalo da tinello di Isabela e Salvador.
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