Chi governa la salute al nord

Cristina Giudici

Governare la Sanità significa governare il federalismo fiscale che verrà. E dunque assicurarsi per il futuro un governo politico stabile. Soprattutto in quelle regioni del nord dove i bilanci non sono in perfetto ordine, ma allo stesso tempo il sistema vanta standard di efficienza decorosi e non necessita delle cure da cavallo che attendono invece parecchie regioni del centrosud.

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    Governare la Sanità significa governare il federalismo fiscale che verrà. E dunque assicurarsi per il futuro un governo politico stabile. Soprattutto in quelle regioni del nord dove i bilanci non sono in perfetto ordine, ma allo stesso tempo il sistema vanta standard di efficienza decorosi e non necessita delle cure da cavallo che attendono invece parecchie regioni del centrosud. E' così per il Veneto, dove Luca Zaia è alle prese con una non semplice gestione del debito in vista dei futuri impegni federalisti. Ed è così per il Piemonte, dove l'assessorato alla Sanità è affidato a Caterina Ferrero, del Pdl, ma Roberto Cota ha nominato direttore generale della Sanità l'ex amministratore delegato dell'Iveco, Paolo Monferino, che dipenderà direttamente dal governatore, in tal modo diventando di fatto il vero uomo forte del settore. Ufficialmente il governatore leghista vorrebbe un manager che non risponda agli interessi delle diverse cricche sanitarie – uno degli slogan preferiti dal popolo padano. In realtà, l'obiettivo di Cota e della sua giunta è di aprire maggiormente, e in tempi ragionevoli, il sistema regionale al settore privato, che ora rappresenta solo una quota del 15 per cento (l'8 per cento secondo l'opposizione). Senza dimenticare che anche in Piemonte alla fine dell'anno ci saranno 21 direttori generali di Asl e Osa che dovranno essere rinnovati (due di loro sono già stati commissariati da Cota) sui quali il cardiochirurgo Claudio Zanon, direttore (leghista) dell'Ares, l'Agenzia sanitaria regionale del Piemonte, ha le idee chiare: “Non faremo prigionieri”, ha detto chiaro e tondo al Foglio.

    Anche Zanon, come Luca Zaia in Veneto, parla di un deficit regionale molto grande, 350 milioni di euro, che si potranno ripianare soltanto in parte, provocati dalle note storture: “Doppioni di reparti superflui, 130 piccoli presidi sanitari dove nessuno va a farsi curare, un eccesso di figure amministrative e molti, troppi, primari scelti per l'appartenenza politica e non per la qualità del curriculum”. Le nuove linee guida piemontesi studiate da Zanon guardano molto a ciò che è stato fatto di buono in Lombardia: riduzione dei piccoli presidi sanitari e delle Asl, centralizzazione delle gare di appalto per gli acquisti in modo da ridurre i costi impropri e illeciti amministrativi (sempre dietro l'angolo, ovviamente: ma soprattutto sempre pronti ad essere agitati come una minaccia sia all'interno del sistema che da parte dell'opposizione). Inoltre Zanon vuole puntare sulla razionalizzazione della rete ospedaliera e sulla eliminazione dei reparti doppioni. Inoltre, si punterà a costituire un organismo autonomo, che controlli il numero delle prestazioni che fanno lievitare i costi. Infine, e ovviamente, il tentativo di mettere sotto controllo i costi passerà da una maggiore commistione fra pubblico e privato. “Noi però ci vorremmo ispirare al modello inglese di Tony Blair”, aggiunge Zanon, dove gli ospedali appaltano servizi all'esterno in merito ai fabbisogni dei cittadini. Anche se in realtà la Sanità pubblica del Regno Unito lasciata in eredità dai governi laburisti è giusto uno dei settori disastrati del bilancio nazionale: per quanto David Cameron abbia deciso di non togliere al servizio nemmeno una sterlina. In realtà, il modello più vicino al quale Zanon si riferisce è quello lombardo. “Lei lo sa che in Piemonte c'è un reparto con sei posti letto e cinque chirurghi?”, insiste Zanon, esagerando un po', per sottolineare la volontà leghista di dare un segnale di discontinuità e smantellare il sistema sanitario creato dalle giunte precendenti.

    A fronte degli allarmi razionalizzatori della Lega, c'è però uno come Roberto Placido del Pd, vicepresidente di opposizione del Consiglio regionale che durante il mandato di Mercedes Bresso ha proposto una maggiore razionalizzazione del sistema sanitario, che si dice convinto che il deficit piemontese sia molto più grande: perché nessuno fino a ora ha controllato davvero i conti. Così Placido continua a chiedersi come farà il governatore piemontese a diminuire i disavanzi di ben 50 milioni di euro ogni anno, per potersi preparare al D day pre-federalista del 2013, senza tagliare i livelli minimi di assistenza. Roberto Placido è assai critico anche sull'altra grande partita politica ed economica che Roberto Cota vuole vincere: quella della nuova Città della salute. Si tratta di un progetto che Mercedes Bresso non è mai riuscita a realizzare, e che la nuova giunta leghista vorrebbe vincere con un finanziamento piuttosto limitato, ottenuto dallo stato: 370 milioni di euro per costruire due nuovi poli sanitari in sinergia con le università. Di questi, uno sorgerà a Novara, cassaforte elettorale della Lega e gioiellino amministrativo piemontese, nonché città natale di Roberto Cota e del suo assessore più competente, Massimo Giordano, ex sindaco di Novara, che ora ha la delega alle Attività produttive.

    Ma anche qui, andrebbero notate le analogie tra il progetto piemontese e quello del megaprogetto formigoniano della costruenda “Città della salute, della ricerca e della didattica” che entro il 2015 dovrebbe vedere riuniti in un solo polo tre strutture d'eccellenza milanesi, l'ospedale Sacco, l'Istituto neurologico Besta e l'Istituto dei tumori. Un'impresa enorme, dal punto di vista dell'investimento pubblico nel settore dalla Sanità. Il costo complessivo del progetto è stimato in 520 milioni e sarà realizzato in project financing: metà del capitale sarà messa a disposizione subito dalla regione (228 milioni), una parte dallo stato (40 milioni) mentre gli altri 250 milioni saranno resi disponibili dai privati che recupereranno l'investimento con la gestione dei servizi e con un canone di disponibilità a carico della regione. La realizzazione del progetto farà capo a un consorzio fra i tre ospedali interessati, guidato dall'ex presidente della Fondazione Fiera Luigi Roth, storico formigoniano. Un'operazione complessa, su cui Roberto Formigoni ha scommesso molto e che, nella sua visione, dovrebbe essere, assieme al nuovo grattacielo della regione, il vero lascito alla Lombardia della sua lunga gestione politica.
    Progetti futuribili e faraonici a parte, è comunque proprio alla Lombardia (il cui sistema sanitario vale 16 miliardi di euro) che bisogna guardare per capire che cosa aspira a diventare la sanità padano-leghista, se saprà reggere e gestire l'impatto del federalismo fiscale. Al Pirellone, l'assessore alla Sanità è Luciano Bresciani. E' conosciuto soprattutto per essere il medico che ha salvato Umberto Bossi dalla carrozzella dopo l'ictus (e involontariamente ha pure innescato la guerra di successione nel partito, perché ha ricordato al Senatur che presto dovrà rallentare definitivamente i ritmi di lavoro). Ma Bresciani è innanzitutto un cardiochirurgo competente, che ha studiato in Inghilterra, ha lavorato in America e in Olanda, ha studiato il modello israeliano e sta cercando di far evolvere – questo è quello che dice lui – il modello sanitario di Formigoni verso una struttura che, con un certo sprezzo tutto leghista del pericolo, definisce “polipo”.
    L'idea in pratica è di creare una maggior sinergia con le strutture territoriali e sociali, dividere gli ospedali per funzioni, creare un sistema sanitario meno “ospedalocentrico” e più territoriale. E' Bresciani, in ogni caso, che sta dettando la linea della (nascente) Sanità di modello leghista, con il benestare di Bossi. E infatti non è un caso che Bresciani abbia già firmato alcuni protocolli con il Veneto, il Piemonte, il Friuli-Venezia-Giulia. L'assessore Bresciani, attento studioso dei sistemi sanitari, cerca insomma di realizzare quella che definisce la sua “rivoluzione copernicana”. Ma nel frattempo svolge soprattutto il ruolo del revisore dei conti della spesa lombarda, per limitare gli acquisti “impropri” dei direttori generali che rispondono a Formigoni, cercando di creare una rete che sia in grado di controllare l'efficienza delle strutture sanitarie pubbliche. Alcune delle quali (come Pavia, Brescia, Bergamo, Policlinico, Niguarda) sono oggetto di inchieste giudiziarie e ministeriali proprio per via di presunti appalti edilizi poco trasparenti.

    Un lavoro, questo,
    che ovviamente tende al bilico tra il piano del puro controllo amministrativo e le implicazioni politiche che insorgono ogni volta che ci si avvicina al pianetà Sanità. E non solo in Lombardia, dove come è noto la mano formigoniana è da parecchi anni molto presente e riconoscibile. E infatti Bresciani si prepara anche alla lotta per il rinnovo dei direttori generali delle strutture sanitarie, poltrone eccellenti che i leghisti lombardi vorrebbero raddoppiare (ora ne hanno 10 su 45, gli altri rispondono al presidente Formigoni). “Senza dimenticare però”, precisa l'assessore Bresciani, “che se in Lombardia possiamo permetterci di migliorare il sistema sanitario e siamo più preparati ad accogliere la riforma federalista è solo grazie alla Sanità creata da Formigoni, un sistema che da 8 anni ha i conti in pareggio”, ammette. Bresciani è considerato da molti, più che un uomo di partito, un tecnico che ha fatto un accordo politico di compromesso con Formigoni. Ma all'assessore-cardiologo va anche riconosciuto il merito di aver fermato quello che la Lega e le opposizioni hanno chiamato il “blitz” della Fondazione Policlinico, che qualche mese fa voleva cedere l'intero patrimonio immobiliare del Policlinico –  un miliardo e mezzo di euro il valore – alla società Infrastrutture lombarde: la holding regionale che si occupa di sviluppo territoriale per conto del Pirellone e che guida, tra l'altro, i sette cantieri della costruzione e ristrutturazione degli ospedali lombardi, tra cui quello di Niguarda, finito sotto inchiesta per presunti appalti irregolari e incarichi d'oro, nell'ambito di uno scontro con il ministero del Tesoro di cui i formigoniani hanno apertamente indicato il contenuto politico.

    Eppure secondo Alessandro Ce', ex assessore leghista predecessore di Bresciani, che si era dimesso nel 2007 proprio perché contrario all'eccessiva privatizzazione del sistema sanitario, la Lega ha finito per avallare un sistema che, secondo lui, funziona così: “Per ottenere gli appalti, si formano grandi cordate di società private, che riescono a vincere le gare imponendo le loro condizioni”. E cioè il controllo su un intero pacchetto di servizi a prezzi superiori a quelli del mercato. “Prima di dimettermi da assessore alla Sanità, mi sono opposto all'entrata della fondazione Cariplo nel servizio urgenza-emergenza del 118 per impedire che un ente privato potesse condizionare gli appalti per servizi esterni”. Così come non si deve dimenticare che se la Sanità lombarda ha conti in ordine è anche perché i cittadini si rivolgono molto ai privati, generando un flusso extra di investimenti che si aggira sui 9 miliardi di euro, e vanno aggiunti a quelli trasferiti dallo stato. “Ho sempre chiesto a Formigoni dati aggregati per poterli comparare e capire quali strutture gonfiavano i fabbisogni e le prestazioni, ma non li ho mai ottenuti”, insiste Ce'. “Perché se in una provincia con un numero di cittadini simile a quella confinante vengono eseguiti il doppio degli interventi chirurgici, allora è chiaro che il fabbisogno standard dei cittadini è gonfiato per aumentare gli introiti. Ed è chiaro che la battaglia della Lega per ottenere il raddoppio dei direttori generali delle aziende ospedaliere è solo la reiterazione della lottizzazione politica”.

    Una tesi smentita da Bresciani, che su Formigoni chiude con una battuta: “Lui gioca a calcio, io a rugby”. E considera di essere invece un tecnico che cerca di migliorare il sistema (è sua la delibera che sanziona le strutture che non rispettano le liste di attesa di 30 giorni sulle patologie a rischio, così come è sua l'idea di creare una struttura centralizzata per le gare d'acquisto delle Asl per ridurre sprechi e illeciti). E a chi lo accusa di voler reiterare la lottizzazione politica negli ospedali, risponde così: “I direttori generali delle strutture sanitarie pubbliche devono seguire gli indirizzi politici della Sanità, che in Lombardia spetta alla Lega. Perciò mi sembra giusto che ci sia un contrappeso politico nel sistema sanitario, che corrisponda a quello che abbiamo nel Consiglio regionale”. Sia come sia, una cosa appare chiara: chi vincerà la battaglia per il controllo del budget della Sanità, virtuosismi e storture comprese, guiderà il nord. Una considerazione che al pragmatismo politico della Lega certamente non sfugge, tanto più ora che l'idea di concentrarsi maggiormente sul governo locale, se dovessero saltare governo e federalismo, è tornata a farsi sentire.

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