La famiglia sagrada di B-XVI e quella retorica della nostra politica

Diana Zuncheddu

Sono giorni in cui la parola “famiglia” è tornata di moda. Prima la famiglia di fatto nel discorso di Gianfranco Fini, poi la Sagrada familia consacrata dal Papa in mezzo ai gay di Spagna, e infine quella della politica alla Conferenza nazionale della famiglia.

    Sono giorni in cui la parola “famiglia” è tornata di moda. Prima la famiglia di fatto nel discorso di Gianfranco Fini, poi la Sagrada familia consacrata dal Papa in mezzo ai gay di Spagna, e infine quella della politica alla Conferenza nazionale della famiglia, celebrata da tutti tranne che dal capo, con il solito strascico di polemiche retoriche: il ministro Maurizio Sacconi che dice di volere sostegni solo per quei nuclei “fondati sul matrimonio e orientati alla procreazione”. Ecco le critiche, fino alla precisazione di qualche ora dopo: “Non sono un nazista. Le politiche pubbliche si occupano della famiglia naturale basata sul matrimonio e della natalità più in generale, anche di quella fuori dal matrimonio”.

    Nei giorni di sempre la famiglia è l'entità semiclandestina che si incarna in una serie di accompagnamenti nel traffico all'asilo, piove, ho l'ombrello e ho dimenticato il grembiulino, la tata non viene sta male, alle cinque di notte ha male al pancino, alzati tu ti prego. Non lo dici, forse solo all'amica via skype, subito dopo pranzo, se è mamma e altrimenti no, che pare ti lagni e basta mentre lei rincorre l'ultimo fidanzato stronzo che non la sposa. Domenica trovi il tempo di accendere la televisione e vedi un vecchio con gli occhialini sul naso, gli occhi vispi, vestito di bianco fino alle scarpe rosse, spicca su un cielo grigio che non si distingue dal marciapiede. Papa Benedetto è in Catalogna, scorre come un fulmine di notte nello sfondo, in primo piano omosessuali che si baciano, un occhio chiuso a fingere amore e uno alle telecamere che li risputino sull'etere.

    Pensi: eviterà di parlarne, eviterà di commentare, due amanti veri non possono baciarsi così, davanti a tutti, a comando, dov'è il pudore, il rossore, lui volerà alto, parlerà del suo Dio, deve consacrare una chiesa, come si dice, la Sagrada familia che riesce a svettare in cielo anche se pesa quanto tutte le sue pietre. Il Papa in spagnolo non evita, vola bassissimo, butta rime in mezzo a parolacce. Mentre sei a tavola che spieghi a una di tre anni perché il pane non si butta, il Papa invoca il “deciso” sostegno dello stato “all'uomo e alla donna che si uniscono in matrimonio”, chiede che si difenda “come sacra e inviolabile la vita dei figli dal momento del loro concepimento”, che “la natalità sia stimata, valorizzata e sostenuta sul piano giuridico, sociale e legislativo”, che si adottino “adeguate misure economiche e sociali affinché la donna possa trovare la sua piena realizzazione in casa e nel lavoro”. Parole sante, viene da dire, non fosse che magari lo sono.

    Il telegiornale era già stato colonizzato dalla famiglia di Fini, appena prima. C'era la sua compagna sorridente e raggiante, la Elisabetta Tulliani seduta ad ascoltare il padre delle sue due figlie, non sposata, ma è come se lo fosse, per lui: è il suo programma politico, non si può “distinguere tra bianchi e neri, cristiani musulmani ed ebrei, tra etero e omosessuali, tra cittadini italiani e stranieri”. Un Nichi Vendola qualunque. Fini ha imparato bene alla scuola del Cav., bandiere che sventolano, musichetta, luci, megaschermi, commozione che in tivù suona ridicola, presentato dal suo secondo, Adolfo Urso, come “il leader che l'Italia aspetta”. Il leader che l'Italia ha, quel Cav. che ama le donne, si trastulla e non cambia vita, non è andato alla Conferenza nazionale della famiglia. Dicono per evitare strumentalizzazioni, non era aria, l'hanno boicottato. Se avesse avuto da annunciare lo straccio di una leggina, qualche spicciolo per le famiglie con più figli, “in dieci giorni chi ha in casa un disabile avrà una vita più leggera e in Veneto smetterà di piovere”, ci sarebbe andato di corsa, a Milano. Ruby o non Ruby.

    Il Papa è a Barcellona. “Antoni Gaudí non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre… La bellezza è la grande necessità dell'uomo… l'opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall'egoismo”. Sembra un pazzo, fuori contesto, fuori tempo, infatti è dentro una chiesa non finita da 128 anni. Prima di ripartire solo una stretta di mano in aeroporto con il potere politico, lo Zapatero che ha finalmente permesso alle sedicenni di abortire senza dirlo alla mamma.