Manovre elettorali
Fini ha bisogno per il momento di restare almeno simbolicamente nel perimetro del centrodestra, cioè del mandato che ha chiesto agli elettori insieme a Berlusconi e a Bossi poco più di due anni fa. Un'ala del suo piccolo esercito entusiasta gli consiglia di praticare questa scelta senza troppe eccezioni tattiche, con coerenza strategica. Per questo il neofuturista si è inventato un banale ritorno al futuro: facciamo come nella legislatura 2001-2006, una coalizione guidata da Berlusconi con Fini e Casini capipartito.
Fini ha bisogno per il momento di restare almeno simbolicamente nel perimetro del centrodestra, cioè del mandato che ha chiesto agli elettori insieme a Berlusconi e a Bossi poco più di due anni fa. Un'ala del suo piccolo esercito entusiasta gli consiglia di praticare questa scelta senza troppe eccezioni tattiche, con coerenza strategica. Per questo il neofuturista si è inventato un banale ritorno al futuro: facciamo come nella legislatura 2001-2006, una coalizione guidata da Berlusconi con Fini e Casini capipartito. Però Fini non può più proporre qualcosa duttilmente o apparecchiare di parole sole la sua politica, deve dare il senso di una decisione di discontinuità, secondo il tipico effetto leadership (non sta forse fondando un partito? non si candida a guidare lui il centrodestra del futuro?). Un'altra ala del suo pattuglione invoca legnate su legnate in una logica di onore ritrovato. Di qui nasce la sua richiesta di dimissioni a Berlusconi.
Il Cav. deve fare i conti con questa occorrenza, che è principalmente il prodotto delle sue scelte autolesioniste del recente passato. Può far finta, con Bossi, che tutto sia ordinatamente predisposto per una tranquilla navigazione governativa, nutrita di riforme e prima di tutto dei decreti restanti in materia di federalismo. In realtà non può non sapere che nel conflitto mortale e personale con Fini, suo alleato da diciassette anni, ha perso una sicura e stabile maggioranza politica, e una rotta possibile il cui porto d'arrivo era il Quirinale. Sarebbe bastato un po' di cinismo, con l'aggiunta di un'anticchia di professionismo politico, e lo psicodramma del secondo anno di governo si sarebbe ridimensionato a dialettica interna a un partito egemone. Invece è la logica di una battaglia per la vita e per la morte, che si gioca inevitabilmente sullo sfondo di elezioni politiche anticipate, ad avere alla fine prevalso su tutte le considerazioni di prudenza e intelligenza politica.
Nel sistema italiano tutto è possibile. Non c'è convenienza a fare le elezioni per alcuno. Tanto meno per l'acerba creatura di Fini, per un ringalluzzito ma insufficiente Bersani. Per Berlusconi è dubbio che nuove elezioni portino una sicura e stabile maggioranza. Unica eccezione la Lega, che ha il vento elettorale in poppa e forse vorrà giocarsela nella logica dell'arroccamento territoriale e tribale, in attesa di uno sviluppo dei fatti capace di costruire un nuovo schema di gioco. Dunque potrebbe darsi che, nonostante la radicalizzazione, la sfida ultimativa, il braccio di ferro sulle dimissioni e il voto di sfiducia, la minaccia di una accusa atomica di tradimento degli elettori, è possibile che malgrado tutto ciò alla fine si trovi il modo di accordarsi per continuare a litigare senza votare. Sembra di capire però che il margine di manovra sia ristretto, e prevalga il dato caratteriale e simbolico.
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