Il Veneto riconquisti Venezia e il mondo saprà della sua esistenza

Camillo Langone

Il Veneto era allagato anche prima che straripasse il Bacchiglione, solo che me n'ero accorto soltanto io e temevo di avere le traveggole. Quindici giorni fa mi aggiravo nei dintorni di Treviso e intorno a me c'era un silenzio innaturale, poco traffico, case abbandonate. Che cos'era successo? Mi sembrava di camminare in un libro di Cormac McCarthy, magari le autorità avevano dato l'ordine di evacuazione e solo io non l'avevo sentito.

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    Il Veneto era allagato anche prima che straripasse il Bacchiglione, solo che me n'ero accorto soltanto io e temevo di avere le traveggole. Quindici giorni fa mi aggiravo nei dintorni di Treviso e intorno a me c'era un silenzio innaturale, poco traffico, case abbandonate. Che cos'era successo? Mi sembrava di camminare in un libro di Cormac McCarthy, magari le autorità avevano dato l'ordine di evacuazione e solo io non l'avevo sentito. Acqua per terra ancora non se ne vedeva ma certo sarebbe arrivata presto. Ho dormito a Carità di Villorba (già la toponomastica racconta molto del Veneto che fu) e di fronte c'era un palazzo nuovo e vuoto che, ho saputo, ha portato al fallimento il suo costruttore. Il giorno dopo, passeggiando per il disameno sobborgo in cerca di un'edicola, ho visto un mucchio di cartelli “Vendesi”, sembrava di essere a Detroit dove la crisi dell'auto ha azzerato il mercato immobiliare.

    Non si capisce nulla del declino italiano se non si visita il Veneto profondo: al sud la crisi non ha cambiato nulla, il lavoro non c'era prima e non c'è adesso, qui invece di lavoro ce n'era tantissimo e adesso è scomparso. Se in tutta Italia (resto del nord compreso) il prezzo delle case è sceso quasi impercettibilmente, vuoi un tre, vuoi un cinque per cento, qui nel giro di due anni è sceso almeno del venti, forse del trenta, e ovviamente i costruttori falliscono e non si capisce le banche come tirino avanti. Quindici giorni fa l'alluvione era metaforica, era sinonimo di globalizzazione, di merci che rompono gli argini rappresentati dai confini e spazzano via i capannoni mettendo in ginocchio interi comparti industriali, l'abbigliamento, l'arredamento, perfino la farmaceutica (sembra che ormai il Veneto si regga solo sull'economia dello spritz: grazie a Dio, da Valdobbiadene, continuano a giungermi le notizie dei successi prosecchistici firmati Gianluca Bisol).

    L'alluvione metaforica è più drammatica di quella idrica: quando il Bacchiglione, il Piave e il Livenza si saranno abbassati e non faranno più paura, l'Ikea, Zara, la Cina e l'India faranno paura più di prima. Ma perché i disastri euganei sono sempre sottopercepiti? La bonarietà delle popolazioni, l'abitudine a rimboccarsi le maniche senza lamentarsi troppo, c'entra fino a lì. C'entra di più la politica: in Italia il Veneto è un perfetto sconosciuto e quindi si tende a identificarlo con le emergenze più televisive vale a dire con la Lega, partito in crescita, e Luca Zaia, politico vincente. La plebe mediatica, composta da persone incapaci di andare oltre il “piove governo ladro”, non capisce che un'ascesa politica può tranquillamente accompagnarsi a un declino economico. Che poi è un'ascesa relativa, di livello poco più che regionale: vi siete accorti che a livello nazionale sta emergendo con prepotenza quel purissimo anti Veneto che sono Vendola e Fini, paladini del lavoro pubblico e revanscisti dell'assistenzialismo sudista? Inoltre c'è il problema del Bossi, forza e limite per la Lega nord, ormai solo limite per la Lega veneta: prima o poi, più prima che poi, Zaia e gli altri dovranno emanciparsi dal piccolo Lenin di Cassano Magnago e dalla sua pretesa di inserire il venetismo sotto la voce folclore.
    Folclore saranno la Padania, le camicie verdi, le ampolle del Monviso…

    La geografia dice che il Veneto
    non fa parte del bacino del Po e la storia ricorda che il Veneto è San Marco, un'idea che supera i confini amministrativi e vanta una lingua peculiare e viva: a Trieste, a Treviso e a Padova sento normalmente parlare il veneto, a Milano se voglio sentire il milanese devo resuscitare Carlo Porta. Le alluvioni, metaforiche e non, nessuno le nota perché il Veneto pur avendo una lingua non ha voce: non ha televisione, non ha cinema, non ha grande editoria, e la sua principale vetrina, Venezia, è marcia di cosmopolitismo e da decenni in balia di sindaci antiveneti che quando c'è bisogno di un nuovo ponte sul Canal Grande un architetto neopalladiano non lo coinvolgono manco morti, e quando inaugurano un trenino lagunare te lo chiamano immancabilmente “People mover”. Il Veneto deve riprendersi Venezia e finalmente il mondo saprà della sua esistenza.

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    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).