Strategia del paracarro

Mistero fitto a Palazzo. Perché il Cav. continua a rinviare la crisi?

Salvatore Merlo

“Le prospettive di vita del governo sembrano essere brevi”, ha detto Gianni Letta. Non sarebbe una notizia se a pronunciare queste parole non fosse un uomo a dir poco cauto e dalla riservatezza proverbiale. Così il tempo (le “brevi” prospettive di vita, citate da Letta) diventa fondamentale materia di analisi tattica, tanto nel Palazzo dei sospetti e dei timori, quanto tra gli osservatori che si divertono guardando dall'esterno.

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    “Le prospettive di vita del governo sembrano essere brevi”, ha detto Gianni Letta. Non sarebbe una notizia se a pronunciare queste parole non fosse un uomo a dir poco cauto e dalla riservatezza proverbiale. Così il tempo (le “brevi” prospettive di vita, citate da Letta) diventa fondamentale materia di analisi tattica, tanto nel Palazzo dei sospetti e dei timori, quanto tra gli osservatori che si divertono guardando dall'esterno. Per chi gioca il tempo? Gioca a favore del premier “paracarro” che dalla lunga attesa di una crisi mai formalizzata appare sempre più logorato; o gioca per Umberto Bossi, che ha interesse ad allontanare la crisi con l'obiettivo di raccogliere il successo del federalismo? O forse il tempo è invece un alleato dei congiurati, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, tanto inafferrabili per il Cavaliere quanto scivolosi per le manovre laterali di Massimo D'Alema e del Pd?
    Il più esposto all'azione del tempo sembra in realtà essere il solo presidente del Consiglio, e il suo rimanere immoto ai margini (da qui la metafora del paracarro) si fa sempre più singolare.

    Berlusconi ha fatto sapere che non si dimetterà, dunque nessun cedimento alle richieste ultimative di Fini. Non accetta un armistizio duraturo, ma neanche accelera troppo verso la scommessa del voto popolare. Il premier comunica al proprio entourage la consapevolezza di essere oggetto di una manovra a tenaglia la cui regia è affidata a Fini e Casini, ed è stato anche informato del rischio non più così remoto di perdere la maggioranza persino al Senato; ipotesi che rende sempre meno evanescente (benché ancora poco credibile) l'architettura di un governo tecnico antiberlusconiano. Un quadro che nel suo complesso, stando al manuale di base della politica, prescrive l'urgenza di un'azione evasiva, di una mossa che liberi il presidente del Consiglio dalla morsa in cui rischia di rimanere definitivamente intrappolato. Eppure il premier accetta la mediazione di Bossi, invia il plenipotenziario Letta dal presidente della Camera, viene informato dei contatti tra Roberto Maroni e il Quirinale che “non rinuncerà a far valere le proprie prerogative istituzionali”. Il Cav. rinvia sempre più in là lo scioglimento dell'impasse: la crisi e il ricorso alle urne.

    L'attendismo di Berlusconi ha dei tratti misteriosi. Perché il presidente del Consiglio in difficoltà non dà segnali? E' una tattica lungimirante quella di assecondare la flemma di Bossi, l'unico che ha da guadagnare e che domani, incontrando Fini, potrebbe anche lanciare al presidente della Camera messaggi ambigui – più utili alla Lega che al Cavaliere – intorno a uno scambio tra federalismo e governo tecnico? Non è strano che si autorizzi Bossi ad aprire un negoziato con Fli, legando il leader padano a un “mandato limitato” e a una offerta che verosimilmente Fini oggi non potrà accogliere?

    Berlusconi considera “la ritirata” come l'anticamera di un'apocalisse giudiziaria, dicono i suoi difensori e compagni di strategia del Pdl. Attende, dicono, perché c'è il G20, perché deve prima incassare la legge di stabilità e accontentare Bossi con i decreti attuativi del federalismo fiscale. E' la Finanziaria la chiave di tutto. Giulio Tremonti la sta riscrivendo, per poi porvi la fiducia. Dicono pure che i sondaggi riservati, sull'astensionismo, siano talmente preoccupanti (40 per cento nel segmento del Pdl) da consigliare cautela: dev'essere Fini a rompere, con la fiducia. Chissà. Intanto, nell'attesa, il Pdl perde pezzi anche al Senato. Alla nascita formale di una nuova maggioranza a Palazzo Madama mancano nove voti; mentre l'area malmostosa del Pdl – li chiamano “i finiani coperti” – si compone di quindici sospetti. La strategia del paracarro trova forse senso nell'eventualità che il Cav. stia puntando sul negoziato Bossi-Fini più di quanto non dica, o che lo scenario del governo tecnico si riveli uno sghembo intermezzo pre elettorale.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.