Se ne può fare a meno?

Nessuno chiede al Cav. un passo indietro, ma a corte già se ne parla

Salvatore Merlo

La Lega, pur attraversata da malumori di base vagamente antiberlusconiani, ha confermato un patto granitico con Silvio Berlusconi. Le voci, che pure circolano, di una Lega interessata a coltivare scenari post berlusconiani, a partire dalle ormai quasi certe elezioni anticipate di marzo, vengono smentite dai vertici padani. Ne ha scritto la Stampa, ieri, in prima pagina: “Tentati dallo strappo, chiedere a Berlusconi di fare un passo indietro e di non candidarsi a premier alle elezioni anticipate di primavera”.

Leggi la situazione politica in breve

    La Lega, pur attraversata da malumori di base vagamente antiberlusconiani, ha confermato un patto granitico con Silvio Berlusconi. Le voci, che pure circolano, di una Lega interessata a coltivare scenari post berlusconiani, a partire dalle ormai quasi certe elezioni anticipate di marzo, vengono smentite dai vertici padani. Ne ha scritto la Stampa, ieri, in prima pagina: “Tentati dallo strappo, chiedere a Berlusconi di fare un passo indietro e di non candidarsi a premier alle elezioni anticipate di primavera”. Ma lo stato maggiore leghista smentisce, e un po' ne ride: “Auspici montezemoliani”, dicono loro. Al Foglio viene descritto un equilibrio tutto diverso, con Bossi più vicino a Berlusconi di quanto non lo sia a Giulio Tremonti, l'unico candidato alternativo possibile alla presidenza del Consiglio e l'unico gradito al partito del nord.
    Il premier, lunedì ad Arcore, ha garantito al leader padano l'approvazione dei decreti attuativi del federalismo entro dicembre, così la strada che porta al voto anticipato è segnata.

    Tutti d'accordo, dunque, per tenere aperto fino a quella data un tavolo di negoziato con Gianfranco Fini. Poi sono tutti decisi ad andare al voto, nonostante alcune, eccellenti, eccezioni. Gianni Letta e Roberto Maroni, che in queste ore tengono aperto un canale di comunicazione con Fli, sono favorevoli a un accordo politico per incassare l'allargamento della maggioranza a Pier Ferdinando Casini passando attraverso una crisi di governo “pilotata”. Ieri è stata una giornata di conciliaboli privati e di telefonate. L'area dei giovani ministri di Liberamente ha avanzato persino l'ipotesi che Fini si dimetta da presidente della Camera per entrare, da ministro, nel nuovo governo. Si tratta di posizioni diffuse anche tra i parlamentari del Pdl, ma apparentemente scavalcate dalla volontà del Cavaliere e dall'accordo siglato con Bossi lunedì pomeriggio ad Arcore.

    I messaggi che arrivano agli ambienti finiani sono ambigui, così come ambigue sono le risposte finiane a questi primi pour parler che prefigurano un incontro, probabilmente domani, tra il leader di Fli e Bossi. Sembra che l'ultimatum delle 48 ore stia slittando, Fini ha congelato per adesso il ritiro della propria delegazione dal governo, dando l'impressione di credere sul serio alla trattativa che i padani vorrebbero intavolare con lui. Eppure dallo stato maggiore dei nuovi colonnelli finiani, che per lo più tacciono pubblicamente, arrivano soltanto note di scetticismo. “E' troppo tardi, noi correremo da soli con Fini candidato alla presidenza del Consiglio. Saremo determinanti per la sconfitta del Pdl e di Berlusconi”, ha confessato ieri pomeriggio Flavia Perina a un proprio amico.

    E' tuttavia certo che la Lega
    non pensa affatto a mollare Berlusconi o a chiedergli un passo indietro alle prossime elezioni. L'idea di un centrodestra senza il Cavaliere, alle urne di marzo, rimane un suggerimento rivolto ai padani da un composito ambiente economico-industriale che non ha però sfondato tra i vertici della Lega. Benché la teoria di Maroni – l'unico favorevole a un patto con Fini e con Casini – contenga in sé un paragrafo implicito: conclusa questa legislatura, alle prossime elezioni il candidato premier non può essere Berlusconi. Una settimana fa, soltanto parlarne era considerato “tradimento”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.