Candidati a Milano / 2

Il candidato di piazza Sant'Ambrogio che vuole rifare Milano

Sandro Fusina

La Community, la società che cura per Boeri l'ufficio stampa per le primarie del Pd per designare il candidato sindaco a Milano, ha la sede in piazza Sant'Ambrogio. Vengo introdotto in un ambiente d'angolo al primo piano. Una specie di loggia vetrata dà da un lato sulla piazza e dall'altro su via Lanzone. Mi sembra di essere già stato lì, quasi in un'altra vita. Probabilmente vi abitava un mio compagno delle medie. Roba di mezzo secolo fa.

Il Foglio ha intervistato anche altri due candidati: Onida e Pisapia.

    La Community, la società che cura per Boeri l'ufficio stampa per le primarie del Pd per designare il candidato sindaco a Milano, ha la sede in piazza Sant'Ambrogio. Vengo introdotto in un ambiente d'angolo al primo piano. Una specie di loggia vetrata dà da un lato sulla piazza e dall'altro su via Lanzone. Mi sembra di essere già stato lì, quasi in un'altra vita. Probabilmente vi abitava un mio compagno delle medie. Roba di mezzo secolo fa.
    A non esserci mai stato, dopo due mesi di campagna, sembra invece l'architetto Stefano Boeri. Appena entra nella stanza, invece di presentarsi, va stupito alla vetrata e resta qualche istante a contemplare la piazza. Poi ci informa (se uso il plurale è perché alla chiacchierata è presente anche il titolare di Community) che nella casa bianca di fronte (il capolavoro costruito nell'immediato Dopoguerra dall'architetto Claudio Vender) vive sua madre ultra ottantenne, la quale è particolarmente infastidita e impacciata nella sua libertà di movimento dagli scavi che hanno messo sottosopra la piazza e che rischiano di non finire mai. Pensare di potere scavare in quella zona senza trovare manufatti di un qualche rilievo archeologico è una ingenuità. Ma l'ingenuità, quando provoca sprechi e perdite economiche, diventa a dir poco insipienza. E' vero che ancora nel 1845 Giuseppe Giusti poteva definire sant'Ambrogio come quello “vecchio là, fuori di mano”, ma il centro della città romana non dista da lì che poche centinaia di metri di vecchie vie.

    Era esattamente in piazza San Sepolcro,
    dove sorge ancora un arengario che commemorò le riunioni fondative del partito fascista, che si incrociavano le due strade che determinavano il centro della città romana, il cardo e il decumano. Se piazza Sant'Ambrogio è ingombra di pannelli che nascondono lo scavo interrotto, se la piazzetta antistante la basilica è invasa da macchine, in via Lanzone è in corso una trasformazione che non riguarda l'aspetto esterno degli antichi edifici, ma la vita della strada. I piccoli antiquari e negozietti di quartiere di un tempo si sono quasi tutti trasformati in bar tavola calda o copisterie. La vecchie case hanno mantenuto le vecchie facciate, ma all'interno hanno subito una trasformazione radicale. L'Università Cattolica in espansione, in attesa di subentrare nell'immensa caserma neoclassica dall'altra parte della piazza, ristruttura uno dopo l'altro gli edifici nelle vie adiacenti all'ateneo. L'espansione di un'università è una buona cosa, ma non è in questo modo che Stefano Boeri l'auspica. Un'espansione a pelle di leopardo come questa della Cattolica snatura la vita di un quartiere senza creare un vero polo funzionale.

    Nel modello di città metropolitana che Boeri auspica e propone le università devono essere localizzate in campus, secondo il sistema anglosassone, con biblioteche, laboratori, istituti e studentati, dove gli studenti possano vivere e studiare invece di brulicare per questo o quel quartiere. I campus non sono che alcune delle tessere che dovrebbero andare a costituire il disegno di quella città metropolitana quale Milano dovrebbe essere secondo la legge 142, e per l'articolo 114 della Costituzione. Il destino che Boeri assegna, o almeno augura, a Milano è quello di liberarsi dal ruolo angusto di capitale della Padania nel quale si è voluto costringerla per diventare una città di respiro europeo, una capitale internazionale, secondo le sue reali possibilità culturali e produttive. Milano ha tutti gli ingredienti per compiere il salto di qualità da capoluogo regionale a grande metropoli internazionale. Quello che manca è un disegno in grado di trasformare una ricca collezione di eccellenze e di potenzialità in un organismo vivo come dovrebbe essere una città europea. E' necessario rivitalizzare, potenziare quei punti di forza, come il design e la moda, che in un passato prossimo hanno promosso l'immagine di Milano capitale mondiale della creatività, per farli interagire con esperienze creative e produttive spontanee, di base, che se operano già bene nel loro ambito locale, non trovano nella città il riconoscimento e gli aiuti necessari a decollare.
    Poiché è un urbanista, professore di Progettazione urbanistica, Boeri è convinto dell'efficacia della progettazione urbanistica a fare della città un organismo vitale. Ma è convinto che l'attuale Piano di governo del territorio (Pgt) sia fondato su valutazioni sbagliate dell'incremento degli abitanti di Milano.

    Poiché è architetto, e quindi costruttore, è anche convinto che non ci sia nulla di più esiziale per una città della stagnazione edilizia. Per essere vitale una città deve crescere, i privati devono investire e costruire. Ma non tenere conto delle reali possibilità di assorbimento e di utilizzo delle nuove costruzioni non è utile né per i costruttori né per la città. Un censimento rivelerebbe che a Milano, all'interno della circonvallazione, ci sono molte migliaia di case sfitte, vuote. E' un fenomeno, sostiene Boeri, presente in molte città europee. Ma altrove, a Madrid per esempio, è stato escogitato un sistema di facilitazioni che consente di affittare le case in modo vantaggioso sia per i proprietari che per gli affittuari. Anche Milano dovrebbe assumere un'iniziativa del genere. Con la fame di spazio e di verde delle grandi città è assurdo continuare a costruire indiscriminatamente, senza tenere conto delle reali esigenze di case. Costruire però bene. Sempre la vitalità di una città è stata misurata sulla sua capacità di rinnovarsi, di creare nuovi complessi, perfino nuovi quartieri. Anche Milano, se vuole diventare una grande metropoli internazionale, deve avere finalmente i suoi grattacieli, le sue torri. Ma l'esperienza al servizio di grandi progetti edilizi (che gli avversari politici gli rimproverano, ma che Boeri rivendica se non altro come esperienza di prima mano dei rapporti e dei giochi tra l'amministrazione pubblica e l'impresa privata) gli ha insegnato la necessità di valutare bene le possibilità concrete di successo dei progetti e di vigilare sulla realizzazione. Non è solo una questione astratta di correttezza amministrativa da una parte e di sincerità imprenditoriale dall'altra. E' da una parte una questione di salute economica per le imprese e dall'altra di salute estetica e sociale per la città. Più deprimente di una città senza iniziative edilizie, senza nuovi quartieri, torri e grattacieli, c'è solo una città piena di nuovi quartieri, di nuove torri e di nuovi grattacieli destinati a restare vuoti, inutilizzati perché costruiti senza criterio, senza tenere conto di una destinazione reale. Costruire case destinate a restare vuote non può che gonfiare una disastrosa bolla speculativa. Un sindaco deve saperlo.

    Il Foglio ha intervistato anche altri due candidati: Onida e Pisapia.