Candidati a Milano / 1

La vecchia e buona città che Onida vorrebbe guidare gratis

Sandro Fusina

Valerio Onida, candidato alle primarie del centrosinistra per la candidatura a sindaco di Milano, mi riceve in via XX Settembre. A Milano via XX Settembre è una strada piena di significato. Non tanto per il giorno cui è dedicata (il 20 Settembre 1870, essendo Napoleone III, garante della sovranità temporale di Pio IX, impegnato in una guerra disastrosa, il re d'Italia approfittò per entrare con le armi a Roma), quanto per la sua storia

Il Foglio ha intervistato anche Boeri e Pisapia.

    Valerio Onida, candidato alle primarie del centrosinistra per la candidatura a sindaco di Milano, mi riceve in via XX Settembre. A Milano via XX Settembre è una strada piena di significato. Non tanto per il giorno cui è dedicata (il 20 Settembre 1870, essendo Napoleone III, garante della sovranità temporale di Pio IX, impegnato in una guerra disastrosa, il re d'Italia approfittò per entrare con le armi a Roma), quanto per la sua storia. Via XX Settembre è il cuore di Porta Magenta, il quartiere residenziale costruito all'inizio del secolo scorso tra l'antica piazza d'armi (trasformata nel parco del Castello) e la nuova piazza d'armi (futura fiera campionaria), per ospitare quelle famiglie borghesi che incarnavano il mito di Milano industriosa e capitale morale d'Italia. Di Porta Magenta, via XX Settembre fu la quintessenza. Nell'ultimo tratto verso il parco furono costruite le ville delle grandi famiglie dell'industria e della banca milanesi. L'assenza assoluta di esercizi commerciali, l'atmosfera appartata della strada, sulla quale non si aprivano neppure i cancelli delle ville, favorì l'attività di quelle passeggiatrici che, motorizzate grazie alla coincidenza della legge Merlin con il boom economico, furono battezzate taxi girl perché esercitavano al volante di Fiat modello 1.100 con sedili reclinabili.

    Il palazzo d'appartamenti di via XX Settembre
    in cui si trova il quartiere generale di Onida è però adiacente alla piazza Conciliazione che celebra la pacificazione tra stato e chiesa. Niente nell'appartamento del vecchio palazzo ricorda la centrale operativa o l'ufficio stampa di un candidato alla candidatura alla carica di sindaco di una delle più importanti città europee. Una signora dai modi eleganti mi introduce in quello che sembra lo studio di un vecchio avvocato di famiglia. I mobili sono vecchiotti, senza essere antichi o di pregio. Immagino che la libreria sia piena di testi giuridici, essendo stato il professor Onida ordinario di Diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano, e presidente della Corte costituzionale, ma non arrivo a leggere i dorsi. Nella stanza, al di fuori dell'aria disadorna e vissuta, non c'è nulla di studiato, fatto per colpire il visitatore. L'ambiente è perfettamente intonato al signore che sta scrivendo al computer. Bisogna ammettere che se non è questo lo studio abituale del professore, la location è stata scelta con grande perizia, con grande sensibilità per le atmosfere. Ma è possibile che tutto sia venuto da sé, naturalmente; come tutto appare naturale nei modi e nell'aspetto del padrone di casa. Gli indumenti sono così semplici che non viene neppure in mente di notare i particolari. Di certo non esprimono, neppure ben celato, il desiderio di comunicare qualcosa che non sia il gusto per un decoro dimesso. Il professore mi invita a sedermi e si siede accanto a me all'angolo di un grande tavolo ingombro di carte.

    Mi vieto di fare osservazioni sull'indirizzo,
    ma indirettamente me ne parla lui. Non è questa di via XX Settembre la Milano del suo cuore. La sua Milano è fatta da una serie di quartieri ormai inglobati nella città storica. Ma ai tempi della sua gioventù (Valerio Onida ha settantaquattro anni) quei quartieri erano popolari, se non di vera periferia. Tiene a dire che appartiene a una famiglia immigrata a Milano dalla Sardegna. Non per amore di retorica. Non vuole dare l'immagine dell'uomo che si è fatto da sé. Preferisce attribuire il merito della sua buona vita alla generosità di Milano. La sua immagine di buona città (è di questo che abbiamo convenuto di chiacchierare) coincide con la sua esperienza della Milano dell'immediato Dopoguerra, che fu aperta e generosa nei confronti degli immigrati, capace di assimilarli e non farli sentire un corpo estraneo, come avvenne in una città industriale come Torino. L'immigrazione è la questione principale della città, secondo Onida. Gli immigrati da altri paesi e altri continenti sono ormai il quindici per cento della popolazione cittadina. E il numero è destinato ad aumentare. Del fenomeno Onida dà un giudizio assolutamente positivo. Gli immigrati sono portatori di ricchezza materiale e culturale. Se talvolta sembrano costituire un problema è perché la città non è in grado di assimilarli in modo conveniente. Non solo è giusto e buono affrontare in modo costruttivo il problema, è anche conveniente. La strada di Onida è quella della rivoluzione, pardon, della restaurazione culturale. Qual è la vera identità di Milano, se non quella di un'antica città austro-ungarica che contava sull'integrità e sulla solerzia dei suoi servitori pubblici? Qual è il vero spirito di Milano se non lo spirito nordico rappresentato dalla severa etica sancarolina? Quei valori sono ancora vivi, seppure assopiti, nei milanesi. Lo si constata in una miriade di iniziative di volontariato che le istituzioni non sanno valorizzare e incanalare, quando non le ignorano o addirittura le ostacolano. Se non di tutti i problemi, la soluzione almeno dei problemi di convivenza nella città si può ottenere a un costo vicino allo zero, con la dedizione al ruolo e con il rigore di tutti. La cattiva congiuntura economica non può essere negata, ma non può neppure essere presa a pretesto per giustificare inadempienze, distrazioni o cattiva volontà.

    Quanto a lui, se verrà eletto sindaco di Milano, Onida promette di rinunciare all'indennità di servizio. L'indennità del sindaco, sostiene, è giustificata e sacrosanta perché va a compensare i redditi da lavoro che vengono a mancare nel periodo dell'ufficio. Un sindaco di una città come Milano non ha tempo residuo da dedicare alla sua professione, qualunque questa sia. Ma nel suo caso sarebbe diverso. Il sindaco Onida continuerebbe a percepire dallo stato il trattamento del quale attualmente vive il professore in pensione Valerio Onida. Cosa andrebbe mai a indennizzare la indennità di primo cittadino se non l'onore di potere operare per il bene della città e dei concittadini? Il vantaggio della sua rinuncia non sarebbero tanto il risparmio di soldi. I soldi risparmiati potrebbero certo essere utilizzati altrimenti. Ma il vero vantaggio sarebbe la possibilità di esemplificare e di testimoniare un comportamento di rigore di cui i milanesi hanno dimostrato storicamente di essere capaci.
    Mi rendo conto che l'uso del condizionale è faticoso per il lettore, ma temo di non potere farne a meno. Per realizzare il suo programma di mobilitazione morale attraverso l'esempio e il rigore del sindaco, Valerio Onida dovrà prima vincere le primarie di domenica 14 contro concorrenti piuttosto agguerriti. E anche allora non sarebbe neppure a metà della strada per palazzo Marino.

    Il Foglio ha intervistato anche Boeri e Pisapia.