Cacciate i coloni dagli insediamenti, bruceranno le sinagoghe

Giuliano Ferrara

Mentre sfilavo nella giornata del Foglio pro Israele, dal Campidoglio alla Sinagoga, ed erano giorni complicati, con i carri di Sharon spediti in giro per la Cisgiordania a smantellare le infrastrutture del terrorismo, era l'aprile del 2002, era l'inizio di una offensiva strategica che ha debellato le stragi suicide nelle città di Haifa, Tel Aviv, Gerusalemme, mi raggiunge una telefonata solidale di Abraham Yehoshua. Sentivo l'affetto, sentivo l'imbarazzo, sentivo l'immedesimazione e insieme la lontananza. Perché non eravamo insieme?

    Mentre sfilavo nella giornata del Foglio pro Israele, dal Campidoglio alla Sinagoga, ed erano giorni complicati, con i carri di Sharon spediti in giro per la Cisgiordania a smantellare le infrastrutture del terrorismo, era l'aprile del 2002, era l'inizio di una offensiva strategica che ha debellato le stragi suicide nelle città di Haifa, Tel Aviv, Gerusalemme, mi raggiunge una telefonata solidale di Abraham Yehoshua. Sentivo l'affetto, sentivo l'imbarazzo, sentivo l'immedesimazione e insieme la lontananza. Perché non eravamo insieme?

    L'altro giorno ho visto che Amos Oz è stato maltrattato a Torino dai soliti con la kefiah. Gli rimproverano la guerra di Gaza: non Hamas con i suoi missili, ma gli scrittori complici del governo di Gerusalemme di Tsahal, con le loro idee, ne sarebbero responsabili. Poi vedo David Grossmann e altri che firmano petizioni al fine di desertificare gli insediamenti ebraici in Palestina, e motivano pieni di struggimento, di incertezza mal dissimulata, il loro intendimento: non è un boicottaggio, dice Grossmann, è un tentativo di arginare la deriva fascista dell'apartheid nei territori, non possiamo fare serate letterarie o di teatro in mezzo all'ingiustizia.

    Ma perché, mi sono domandato, gli scrittori israeliani dell'establishment letterario di sinistra sono imbarazzati dalla loro stessa vita, dalla loro patria, dal sacrificio dei loro figli e fratelli, dalla splendida avventura del sionismo politico, dall'esistenza di una democrazia moderna con poteri divisi e autodeterminazione in mezzo all'orrore dispotico e corrotto dei regimi che li circondano? Gli scrittori non dovrebbero avere le remore dei leader politici, degli ambasciatori, degli analisti, dovrebbero dire la verità nella sua totale nudità morale. E la verità è che gli insediamenti non sono fascismo e apartheid ma scampoli di pionierismo democratico, gli ebrei hanno diritto di stare dove credono e la loro presenza urbanistica, sociale, familiare, umana, deve essere rispettata per quanto tragico sia il contesto in cui si realizza: la definizione di confini statali, la creazione di uno stato palestinese autogovernato e democratico e in pace con Israele, laddove un giorno dominava la dinastia hascemita alla testa delle tribù nel mandato coloniale britannico, è da tenere distinta da tutto il resto. Non ci sono aree off limits per gli ebrei in Palestina, e finché le forze politiche palestinesi rivendicheranno la cacciata dei coloni dagli insediamenti, vuol dire che vogliono la cacciata di Israele, il primo e più grande insediamento, da quella che considerano la loro terra.

    Si possono avere obiezioni politiche di ogni sorta alla strategia degli insediamenti territoriali e alla stessa decisione (temuta da Ben Gurion) di mantenere così a lungo l'occupazione dei territori; gli insediamenti corrispondono, come tutti sappiamo, al fondo più estremo ed espansivo dell'ideologia sionista, del suo profetismo nazionale e biblico, ma si deve partire dalla realtà e insieme dalla potenza d'immagine della verità: Israele, sfidato esistenzialmente, ha vinto la guerra ma resta in estremo pericolo, e i settlers sono quella sua avanguardia che offre con una vita di pazzesco eroismo quotidiano radici territoriali e civili all'albero della madrepatria, quella dei confini originari e riconosciuti dalla comunità internazionale ma non dai vicini di casa dello stato ebraico.

    Niente è più strano della smemoratezza con cui l'opinione pubblica benpensante, compresi gli scrittori israeliani pieni di fervore e di buona fede, trascura di inserire nel suo giudiziole verità scomode per l'ideologia irenista: i muri difendono dal terrorismo, e una volta sradicati gli isnediamenti, come a Gaza, bruciano le sinagoghe, crollano le pietre, vince l'estremismo fondamentalista.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.