Consolazione per Montezemolo, riserva della Repubblica sportiva

Alessandro Giuli

A chi somiglia di più, Luca Cordero di Montezemolo? A Gianfranco Fini, quando si rivolta sdegnato, tipo “che fai, mi cacci?”, contro il leghista Roberto Calderoli che lo ha invitato a dimettersi dopo lo sconcertante fallimento dell'ultima gara di Formula 1 che è costato il Mondiale alla sua Ferrari. Oppure al Cav., quando si oppone alla tribù padana secondo i canoni della più limpida apologetica berlusconiana: “Ci dispiace invece vedere che c'è qualche politico che, stando alla finestra, una volta è pronto a saltare sul carro del vincitore, l'altra reclama la ghigliottina quando le cose vanno male”.

    A chi somiglia di più, Luca Cordero di Montezemolo? A Gianfranco Fini, quando si rivolta sdegnato, tipo “che fai, mi cacci?”, contro il leghista Roberto Calderoli che lo ha invitato a dimettersi dopo lo sconcertante fallimento dell'ultima gara di Formula 1 che è costato il Mondiale alla sua Ferrari. Oppure al Cav., quando si oppone alla tribù padana secondo i canoni della più limpida apologetica berlusconiana: “Ci dispiace invece vedere che c'è qualche politico che, stando alla finestra, una volta è pronto a saltare sul carro del vincitore, l'altra reclama la ghigliottina quando le cose vanno male”. Comunque la si voglia vedere, Montezemolo non è ancora entrato nelle paludi della politica e sembra già volerne uscire dichiarando non bonificabile la zona. Quale Canale Montezemolo riuscirebbe ad arginare la fanghiglia su cui galleggia il Palazzo in questi giorni? LCdM ha potuto sperimentare su di sé l'effetto derivato dall'uso politico di disgrazie sportive.

    Sebbene l'Italia sia graniticamente ferrarista, in molti devono aver condiviso il languore sanguinario riversato da Calderoli sul capo della Ferrari: tiè, potere forte che non sei altro, nemico della sovranità popolare, avvoltoio senz'ali sulle carcasse del nostro potere in disfacimento temporaneo, nell'attesa che la fenice di Arcore rinasca una volta in più nel suo nido rovente. Così dettano le viscere, e sono istinti due volte fallaci. Perché Montezemolo non è un potere forte, semmai è un professionista apprezzato che guarda in modo ingenuo la politica; e perché chi gode nel vedere il riflesso grigio proiettato su di lui dalla delusione ferrarista non fa che replicare lo schema dei forsennati antimilanisti impegnati da quindici anni nel tifare contro la squadra di Silvio Berlusconi. Con il risultato che numerosi berlusconiani di altra fede calcistica hanno preso a tifare Milan per un malinteso senso della propria militanza.

    Certo, se Montezemolo avesse vinto il Mondiale e ne avesse fatto la cornice ammiccante d'una candidatura in politica non avremmo perso l'occasione di sorriderne. Con lui o suo malgrado. Gli avremmo ricordato che di Cav. ce n'è uno solo e basta. Adesso che lo vediamo triste ci viene da solidarizzare, e da dirgli che i sondaggi non smetteranno di raffigurarlo come un uomo popolare e affidabile. E la politica? Non tutte le riserve della Repubblica sono destinate a nobilitarla allo stesso modo. E poi il suo non è un consenso che si conti nelle urne o si pesi sul mercato parlamentare. E' un'altra cosa, più vaporosa e aggraziata, è l'immagine di uno che nello sport sa vincere anche perché immalinconisce quando arriva secondo o terzo. Mentre in politica bisogna sempre dire d'aver vinto.