I dolori di Kouchner, quando l'ouverture brucia pelle e carriera
Bernard Kouchner sta sempre stretto. Non conosce più alcun luogo in cui riesca a sistemarsi, a sentirsi comodo, a suo agio, tranquillo. Il ministro degli Esteri francese, simbolo e martire dell'ouverture sarkoziana, è dato in uscita dal governo in vista dell'imminente rimpasto. Che cosa farà poi il dottor Kouchner, l'ex paladino della gauche arruolato dall'esercito presidenziale all'indomani della vittoria sui socialisti.
Bernard Kouchner sta sempre stretto. Non conosce più alcun luogo in cui riesca a sistemarsi, a sentirsi comodo, a suo agio, tranquillo. Il ministro degli Esteri francese, simbolo e martire dell'ouverture sarkoziana, è dato in uscita dal governo in vista dell'imminente rimpasto. Che cosa farà poi il dottor Kouchner, l'ex paladino della gauche arruolato dall'esercito presidenziale all'indomani della vittoria sui socialisti (quando Nicolas Sarkozy era il novello Napoleone celebrato dalla copertina dell'Economist e non un capo di stato alle prese con un'impopolarità degna del suo predecessore Jacques-Chirac-monsieur-un-per cento)? Nessuno lo sa: certo dovrà lavorare sodo per tornare ad avere uno spazio suo, che sia nella sua inospitale casa socialista o altrove.
La parabola di Kouchner è la sintesi perfetta dei tre anni di dominio sarkozista. Nella storia di questo ministro-intellò, il gastroenterologo impegnato da sempre nella difesa dei diritti umani, amico di Bernard-Henri Lévy e Alain Minc, volto noto della sinistra francese anche all'estero grazie alla sua creatura, Medici senza frontiere, c'è l'involuzione del pensiero sarkozista: prima il dialogo, l'apertura alla sinistra, la volontà di riforme condivise; poi l'arroccamento a destra, la paura dei traditori interni al partito di governo, lo spauracchio all'estrema destra della corazzata Le Pen, soprattutto il rachitismo di quella “rottura” su cui molti avevano scommesso, invano. Il ministro Kouchner è uno dei pochi rimasti in trappola: la politica francese è fatta di straordinari ricicli, di personaggi mezzi morti che poi tornano e spadroneggiano (pure Sarkozy pareva finito quando si schierò con Balladur contro Chirac, e invece), ma per il dottor Bernard l'affaire è molto più complicato, perché non ha più una casa politica in cui andare, o ritornare. Così mentre tutti si rifanno il trucco preparandosi al rimpasto – la signora Michèle Alliot-Marie si dichiara “pronta” a guidare l'esecutivo, l'attuale premier François Fillon prende le giuste distanze dal governo per non dover rinunciare con troppo anticipo ai suoi sogni presidenziali, poi i Borloo, le Lagarde, e così tutti i possibili inquilini di Matignon – Kouchner appare isolato e rabbuiato, o “umiliato”, come direbbe lui.
Dietro alle dichiarazioni di facciata colme di lealtà e correttezza, al Quay d'Orsay, sede del ministero degli Esteri, si è consumata una battaglia logorante ai danni di Kouchner. Secondo le indiscrezioni, poi smentite (pure se un testo è stato pubblicato dal Nouvel Observateur), il ministro ha scritto un'accorata lettere di dimissioni a fine agosto nella quale denunciava i soprusi subìti da parte degli uomini del presidente mentre tentava di fare il suo mestiere. L'estate era stata piena di incidenti e con settembre sarebbe arrivata la tempesta delle espulsioni dei rom, materiale difficile da maneggiare per il dottor Kouchner. La sintonia trovata con Sarkozy, per esempio, sulla questione iraniana con la condanna immediata e tempestiva delle brutture del regime, o sull'accoglienza riservata al Dalai Lama nonostante le ire cinesi, non poteva certo replicarsi in un contesto incandescente com'è quello delle politiche d'immigrazione. L'ingerenza umanitaria promossa dal giovane Kouchner piaceva a Mitterrand tanto quanto a Sarkozy, era il passepartout che ha permesso al “French doctor” di prosperare in molti esecutivi, lui superideologizzato ma con l'aura da “tecnico”. Ma su alcuni dossier non c'è spazio per l'incontro e per la trattativa, la si pensa in modo diverso punto e basta, non c'è tempo da perdere in snervanti tentativi d'intesa. Tanto più che quel ministero così importante e prestigioso occupato dal dottore ex comunista non è mai andato giù a buona parte dell'Ump: così il fedele e feroce Claude Guéant, regista sapiente del regime sarkozista, ha fatto sì che crescesse sempre più il peso dell'“uomo dell'Eliseo” dentro al ministero degli Esteri, Jean-David Levitte, in modo da esautorare di fatto Kouchner. Il quale non può interferire su alcune materie sulle quali l'ultima e unica parola spetta a monsieur Levitte. E questa è la massima “umiliazione”, come l'ha definita il dottore: non si può portare in giro per il mondo il verbo sarkozista – verbo spesso scomodo – se poi gli uomini del presidente non si fidano del loro ambasciatore.
Litigando a porte chiuse, Kouchner è finito sconfitto, se è vero come dicono i commentatori francesi che la sua presenza al Quay d'Orsay è ormai a tempo. Con l'aggravante che, nell'immenso parco di porte girevoli che è la Francia, non ci sono al momento ruoli alternativi per il ministro. Perché i socialisti lo hanno espulso dal partito nel momento in cui ha siglato il patto col diavolo sarkozista e sono troppo permalosi, troppo fragili, troppo riottosi per prendersi indietro uno che, nei sondaggi, è sempre stato in vetta al consenso non soltanto della sinistra, ma di tutta la Francia (superava anche il Sarkozy dei tempi d'oro). “E' soltanto un figurante”, ha commentato sprezzante il socialista Arnaud Montebourg a sottolineare la sconfitta della “parte debole” della coabitazione. Ségolène Royal a caccia di un posto al sole ha patrocinato la pubblicazione del primo documento di politica estera del Partito socialista degli ultimi trent'anni: una revisione degli equilibri mondiali in salsa gauchista, roba da far venire i capelli dritti al dottore dell'ingerenza umanitaria, anzi forse pensato con quel pizzico di malizia necessario per far sentire ancora più inadeguato Kouchner sia al fianco di Sarkozy sia nel grembo socialista. Tanto per non lasciare nulla al caso, due libri pubblicati l'anno scorso – “Monde selon K” e “Les 7 vies du Docteur K” – hanno macchiato l'immagine del ministro, troppo filoanglosassone per essere un fedele rappresentante del sentire francese e per di più intrallazzato in ambigui affari in Africa. Così si è conclusa la parabola del ministro umanitario, e con lui si chiude anche l'ouverture, uno dei tanti progetti ambiziosi di Sarkozy celebrati e presi a esempio dalle destre di tutta Europa, ma poi rimasti a terra, tramortiti dalla realtà.
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