La borsa è la vita
Finalmente una buona notizia: le borse ecologiche, quelle per la spesa, riutilizzabili, enormi, di solito di un ricattatorio colore verdastro che promette prati fioriti alle prossime generazioni grazie alla mancata immissione nell'ambiente delle buste di plastica del supermercato, non sono per niente ecologiche. Scrive il New York Times che sono probabilmente piene di piombo, sono fatte in Cina con inserti di pelle di bambine (satira) e diventano già dopo il primo utilizzo ricettacoli di batteri.
Finalmente una buona notizia: le borse ecologiche, quelle per la spesa, riutilizzabili, enormi, di solito di un ricattatorio colore verdastro che promette prati fioriti alle prossime generazioni grazie alla mancata immissione nell'ambiente delle buste di plastica del supermercato, non sono per niente ecologiche. Scrive il New York Times che sono probabilmente piene di piombo, sono fatte in Cina con inserti di pelle di bambine (satira) e diventano già dopo il primo utilizzo ricettacoli di batteri perché a furia di buttarci dentro, anche se impacchettati, pomodori, petti di pollo, bresaola e carote, la plastica si deteriora e contamina i cibi (a questo punto bisognerebbe interrogarsi, ma è troppo ansiogeno, sul controsenso di utilizzare borse ecologiche e andare in giro bevendo ogni giorno acqua dalle mezze bottigliette di plastica).
Le borse fintamente ecologiche sono brutte, scomode, esageratamente larghe, fatte di un materiale rumoroso, utili nei traslochi ma inadatte a dondolare dal polso di una ragazza. Ecologicamente parlando, meglio le borse di stoffa (quelle delle librerie, quelle fatte con i divani vecchi, quelle con la scritta: “Non sono una borsa di plastica”), hanno commentato centinaia di lettrici sul sito del Nyt. Si rincaserà dalla spesa con varie borse per mano, si faranno le scale a piedi e si salverà in un colpo solo il pianeta e la tonicità delle braccia. Comunque, la borsa è molto più di una questione ambientale. Appena esce dalla definizione di sacchetto, diventa una categoria di pensiero. C'è il pensiero rigido, alla Margaret Thatcher, portatrice di borsette contundenti e minacciose, e c'è l'attitudine floscia, grandi borse morbide in cui infilare qualunque cosa (sempre introvabili), ma sembrando comunque rilassate. Ci sono studi filosofici sul punto esatto dell'avambraccio in cui appoggiare il manico, e trattati sull'opportunità o meno di andare in giro con più di una borsa (una grande e una piccola), ci sono le liste d'attesa e ci sono donne che sentono di non aver vissuto invano soltanto nel momento in cui hanno ispirato una borsa.
Le borse provocano crisi d'ansia che un uomo (almeno un uomo in senso tradizionale, quindi semi estinto) non può comprendere, e anzi non dovrebbe mai regalare una borsa a una donna, a meno che lei non gli abbia dato un bigliettino con il modello, il colore e l'indirizzo e abbia telefonato al negozio per avvertire. Ci sono le collezioniste, le drogate e ci sono Franca Sozzani e Anna Wintour che non portano borse, ma solo il BlackBerry (perché possiedono portaborse che arrancano dietro di loro), mentre quando la Regina d'Inghilterra appoggia la borsa per terra significa che si sta annoiando e bisogna provvedere. Va molto di moda descrivere una donna guardando dentro la sua borsetta, ma le borse dentro sono tutte uguali: rossetti, pillole, cellulari, disordine, scontrini, ricevute di taxi, fazzoletti, penne senza tappo, pezzi di rubrica telefonica, chiavi sbagliate, caramelle sparse, aspirina, libri, pupazzetti. Non serve aprire le borsette, basta guardarle da fuori: racconteranno ogni cosa. In nome della borsa si passa sopra alla questione vegetariana e alla distruzione dell'ambiente: se venisse lanciata una bellissima borsa radioattiva, creata intrecciando metalli pesanti intinti nel petrolio, si troverebbero file di ragazze entusiaste, pronte al sacrificio di sé e dei propri cari.
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