Inchiesta sulla scuola che non protesta/ 4

Le riforme non c'entrano con la passione per l'insegnamento

Pietro Salvatori

Dei troppi indirizzi, troppe categorie, troppi licei, troppi istituti professionali, a viale Trastevere si parla da almeno due decenni. Tutti i ministri hanno provato a metterci le mani – Gelmini compresa – finora con scarsi risultati. Tutto questo non sembra toccare gli studenti del liceo psico-socio-pedagogico Margherita di Savoia, nello storico quartiere San Giovanni di Roma.

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    Dei troppi indirizzi, troppe categorie, troppi licei, troppi istituti professionali, a viale Trastevere si parla da almeno due decenni. Tutti i ministri hanno provato a metterci le mani – Gelmini compresa – finora con scarsi risultati. Tutto questo non sembra toccare gli studenti del liceo psico-socio-pedagogico Margherita di Savoia, nello storico quartiere San Giovanni di Roma. A quattro passi dalla cattedrale del vicario della capitale, nella piazza prediletta dalla sinistra italiana. Ma anche a poche centinaia di metri da via Sannio, sede del tradizionale mercatino dell'usato dei giovani, una sorta di Camden street londinese in miniatura. Chiara, Azzurra, Francesca e Barbara frequentano l'ultimo anno. A poco gli è servito un indirizzo caratterizzante, tra chi vuole fare Lettere, chi Medicina, chi Infermieristica, perché “mi piacerebbe fare Giurisprudenza, ma c'è troppo da studiare e poi magari non trovi lavoro”.

    Per queste ragazze il problema non sono le riforme,
    la riorganizzazione, le novità introdotte per legge. Un vivace dibattito si scatena sulle ore da sessanta minuti, tra chi “il professore può spiegare meglio, alla fine è solo mezz'ora in più al giorno”, e chi “già non ci capiamo niente, pensa con più tempo”, ma i veri problemi non sono questi. “Noi ci accorgiamo dei professori che si preparano le lezioni a casa, gli appunti, e ci vogliono trasmettere qualcosa – dice Chiara – e invece di quelli che sono stufi e annoiati, e ci dicono il compitino da ripetere”. Ma non dipenderà anche dalla materia, se piace o meno? “Ma scherzi? – ci interrompe Barbara – cambia proprio la lezione e uno è più motivato a studiare. Se la cosa mi piace, perché il prof mi fa capire a cosa serve, nella vita poi posso metterlo in pratica. Le cose che ti vengono spiattellate le imparo, e muoiono lì”.

    Il professore bravo, a detta loro, è quello che “si sa mettere in discussione rispetto all'alunno. Insegnare non è solo imporre la propria autorità, ma quello che ha a cuore se capisci o meno. Come il Pisciotti, che ci insegna pedagogia”. Chiara concorda: “La cosa più bella che c'è al mondo è la faccia dispiaciuta quando si accorge che non hai capito la sua lezione”. Seguendo il Pisciotti, hanno imparato che, più che interessarsi alle beghe ministeriali, è importante avere “più a cuore capire quello che facciamo, metterci in discussione nel capire le cose”. Poi è vero che i problemi ci sono: “Ci sono troppi indirizzi, la riforma fa bene a ridurli, perché  i ragazzi non capiscono le differenze”, continua ancora Chiara. E poi: “Il professore deve insegnare le materie come Cristo comanda!”, come il Pisciotti.

    Uno così deve essere speciale.
    Così l'abbiamo incontrato. Maglione, giacca blu, è nativo della Campania, “ma vivo a Roma dal 1962, quando ancora questa città era vivibile”. Una vita passata a fare altro, poi, quasi per caso, quindici anni fa l'arrivo in classe. Cita Philiph Roth (“la vera trasgressione è pensare”) e poi dice: “Oggi i ragazzi non sono abituati a pensare. Un contraddittorio equivale quasi sempre ad una lite, per questo io mi espongo, con le mie idee, per abituare i miei studenti che nella vita potranno incontrare qualcuno che non la pensa come loro”. Gli insegnanti trattano la materia come qualcosa di astratto, un accumulo di nozioni da travasare negli studenti. Il professor Pisciotti, invece, tenta una strada diversa: “Oggi per parlare di disabilità ho fatto riferimento alla vita di tutti i giorni. Cito Avetrana se parlo della società, dell'ordine sociale. Mi servo della realtà per rendere comprensibili le cose di cui parlo, altrimenti sono solo parole prive di logica”. Ma vale per tutte le materie? “Certo. Nessun professore di matematica spiega alle classi l'utilità di quello che stanno facendo. Ma così il nostro lavoro diventa finalizzato solo al voto”.

    Il professor Pisciotti ha le idee chiare sul fatto che qualcosa non funzioni nella politica di tagli orizzontali di Tremonti. Ma nonostante tutti i problemi descrive il suo lavoro come un'avventura appassionante: “C'è un solo modo perché non diventi routine: la passione. Non c'entrano le riforme, il precariato, i disagi: sono due cose separate. Quando chiudo la porta, in classe tutte le problematiche politiche e sociali della scuola le lascio da parte. Gli alunni che c'entrano? E' giusto contestare chi di dovere, ma in classe si fa altro. L'operaio che costruisce una macchina avrà di sicuro risentimenti contro il suo datore di lavoro, ma c'è sempre uno che poi la macchina la comprerà. E di quello si deve preoccupare quando la costruisce. L'impegno sul lavoro non c'entra nulla con le altre problematiche”.

    Da dove iniziare? “La società è cambiata. Sono cresciuto negli anni Sessanta, dove famiglia e scuola andavano d'accordo. Oggi non è più così. Il problema della scuola, nei rapporti di lavoro, nasce dall'errore di volerla trasformare in un parcheggio per alunni, ma anche per insegnanti: hai lo stipendio sicuro e il pomeriggio libero. Dobbiamo tornare a una scuola di veri professori, che amano il loro mestiere”.

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