Golpe costituzionale

Giuliano Ferrara

Un manifesto golpista, in nome della Costituzione. Scritto da una gran signora del giornalismo. Il sovversivismo delle classi dominanti era un vecchio cavallo di battaglia, tragico, di Antonio Gramsci. Ma Gramsci non sapeva che tutto sarebbe finito nel grottesco, nel golpismo dei perbenisti. Di questa urgenza dell'anima, nella forma antidemocratica e illiberale della pulsione al colpo di stato costituzionale (novità politologica assoluta), l'articolo con cui Barbara Spinelli ha cominciato ieri la sua collaborazione a Repubblica è un caso di scuola.

    Un manifesto golpista, in nome della Costituzione. Scritto da una gran signora del giornalismo. Il sovversivismo delle classi dominanti era un vecchio cavallo di battaglia, tragico, di Antonio Gramsci. Ma Gramsci non sapeva che tutto sarebbe finito nel grottesco, nel golpismo dei perbenisti. Di questa urgenza dell'anima, nella forma antidemocratica e illiberale della pulsione al colpo di stato costituzionale (novità politologica assoluta), l'articolo con cui Barbara Spinelli ha cominciato ieri la sua collaborazione a Repubblica è un caso di scuola.

    Berlusconi è tutt'altro che finito, scrive allarmata l'editorialista dell'establishment più radicalizzato. Il regime è ricco di risorse, è penetrato nei cervelli, ha riplasmato perversamente il sistema politico e la società: quella di Berlusconi è una dittatura televisiva, perché secondo i dati del Censis il cittadino in politica decide al 63 e qualcosa per cento in base a ciò che vede in televisione. Non importa che Berlusconi abbia perso due volte le elezioni, con tutte le televisioni nella sua “disponibilità”; non interessa che le televisioni siano il regno delle idee, dei valori, delle formule, degli estetismi, della satira, del senso comune, del luogocomunismo e dello star system antiberlusconiano, con ascolti da Sanremo che premiano programmi in cui si tratta da ‘ndranghetista il ministro dell'Interno che vanta maggiori successi nella lotta alle mafie, e senza che il ministro abbia un ovvio e immediato diritto di replica (se lo dovrà guadagnare facendo la corte a tre conduttori e arrestando il capo dei Casalesi). Non importano i fatti. La dittatura c'è, il consenso è artefatto, il dispotismo è televisivo e criminale.

    Infatti il regime è anche “malavitoso”. Dimostrarlo è tortuoso, complicato, ma asserirlo senza problemi è lieve, facile, soffice. Fare come Saviano è la parola d'ordine: chi mi sfida è come Sandokan, la malavita è al potere (specie se tocca i divi della tv e della cultura). Il fondamento della malavita di governo è il consenso fondato sulla proprietà dei media. Quegli sciocchi dell'opposizione si stanno a baloccare con la legge elettorale da cambiare, figuriamoci. Immaginano un governo di transizione o tecnico, figuriamoci. La Spinelli vede più lungo, sa del “maciullamento delle menti” provocato dal costruttore di Milano 2, la graziosa cittadella verde alle porte di Milano cantata all'epoca con parole alate da Natalia Aspesi e Enzo Siciliano. Questo maciullamento ha portato gli italiani alla disperazione dostoevskjana, al sottosuolo della coscienza morale, e li induce ad arrabbiarsi contro chiunque intenda “illuminarli”. Scrive proprio così, in una prosa di simpatica e sfacciata impronta massonica, la perbenista e golpista che apriva ieri la prima pagina di Repubblica.

    I giornali, i magistrati combattenti, Marchionne: sono questi gli illuminati che la cattiva società berlusconiana, sorella dei Tea Party americani, rigetta e spregia, invece di sottomettersi ai loro buoni e disinteressati consigli, invece di scappellarsi.
    Inconsapevole della sua posizione autocontraddittoria, la Spinelli attribuisce a Berlusconi, qualificato come magnate dei media che spadroneggia sulle menti dei cittadini, la cieca volontà censoria di tenere disinformati i cittadini inducendoli a non leggere i giornali e a non guardare la tv! Il dittatore che governa il consenso con i media non vuole che la gente guardi la tv: questo è l'ultimo approdo di grido, nel contesto di una svolta culturale di Repubblica all'inseguimento di quei mattacchioni del Fatto, della politologia borghese italiana.

    E il culmine del manifesto ideologico spinelliano è nella proposta golpista. No al governo di transizione che cambia la legge elettorale. No al voto, detto papale papale. Ci vuole una soluzione che anzi allontani il voto, e con esso l'effetto pernicioso che avrebbe un pronunciamento corrotto della sovranità popolare, e annulli per decreto Berlusconi come competitore politico. Si voterà sì, ma al momento della scomparsa legale dell'avversario, del nemico. Rendere ineleggibile Berlusconi, come proponeva Paolo Sylos Labini, è un dovere. Mettere sotto processo la sinistra (i D'Alema, i Violante) che in tutti questi anni, senz'altro un crudele ventennio dittatoriale, ha cercato di costruire l'alternativa a Berlusconi con mezzi politici tipici di un sistema democratico, governando tra l'altro per nove anni da Dini al secondo Prodi.
    Il golpe costituzionale caro al pensiero perbenista, che è pronto a sovvertire le regole liberaldemocratiche perché ha in uggia lo stile di vita e la facies di Berlusconi, si definisce così: decretare l'esclusione del Cav. dalle liste elettorali e arrivare al voto solo dopo che un'alleanza costituzionale, da Fini a Vendola passando per Casini e Bersani, abbia ricostruito le condizioni per l'abbattimento del tiranno e l'esclusione del suo popolo dalle urne.
    D'altra parte un altro gran signore del giornalismo di rarefatta ascendenza borghese-meneghina, Corrado Stajano, nello stesso giorno spiega sul Corriere della Sera che a Brescia, per la strage orrenda del 1974, bisognava comunque condannare perché la giustizia ha un contenuto “simbolico”. In nome della Costituzione certi perbenisti preparano un golpe (in versione cartacea, quella loro disponibile), con annessa eliminazione del nemico, e certi altri si autoinvestono della bandiera dell'antifascismo per inneggiare a un'idea sommaria di giustizia se non proprio alla giustizia sommaria. Lo spirito sovversivo gode buona salute.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.