The dollar network
Panico sulla rete. Ancora non si era spento l'incontenibile entusiasmo per il lancio della e-mail di Facebook che per alcune ore migliaia di utenti – soprattutto giovani donne di bell'aspetto, secondo il blog Boy Genius Report che ha lanciato la notizia – si sono visti sospendere misteriosamente il proprio account.
Panico sulla rete. Ancora non si era spento l'incontenibile entusiasmo per il lancio della e-mail di Facebook che per alcune ore migliaia di utenti – soprattutto giovani donne di bell'aspetto, secondo il blog Boy Genius Report che ha lanciato la notizia – si sono visti sospendere misteriosamente il proprio account. Per riattivarlo, dovranno inviare un documento personale che ne certifichi l'identità. Ufficialmente, l'origine di questa strana disavventura virtuale va ricercata nella presenza di un baco nel sistema di riconoscimento dei profili fasulli. Qualcuno, però, insinua che i tecnici di Mark Zuckerberg stiano mettendo sotto pressione il social network per renderlo sempre più attrattivo. Sempre più luccicante. In una parola: sempre più profittevole. E il blackout parziale di ieri potrebbe nascondere una risposta indiretta, uno scampolo di soluzione, per risolvere la più inquietante delle domande di “The social network”, il film di David Fincher: come fa a guadagnare, Facebook?
I dati finanziari non aiutano a sciogliere l'enigma. I ricavi sono in forte crescita – circa 800 milioni di dollari nel 2009 – ma, secondo quanto riferito da Zuckerberg, il gruppo “sta attorno” al pareggio di bilancio. Un mistero, dunque: Facebook è una potente macchina finanziaria, che incassa una montagna di quattrini, ne spende una montagna più o meno altrettanto alta, e non trattiene nulla per sé. Lo stesso modello di business è ambiguo: certo, i clic pubblicitari qualcosa porteranno, ma è difficile immaginare che siano sufficienti ad alimentare un margine proporzionato al fatturato. E infatti, stando almeno alle parole del Fondatore, non lo sono. Dunque, bisogna arrampicarsi sugli indizi. Indizio numero uno: da tempo Facebook sta cercando di fare pulizia tra il suo oltre mezzo miliardo di utenti per capire quali nascondono persone vere e quali sono “fake”. Indizio numero due: disservizi e sospensioni del servizio si sono fatti più frequenti, indice forse di una crescita più rapida delle attese, forse di una frenetica attività di sperimentazione, probabilmente di entrambe le cose. Terzo, e cruciale: l'ultima e pubblicizzatissima iniziativa di “faccialibro” è il lancio di una casella @facebook.com. Obiettivo: mangiare la stessa torta di Google e gmail.
Commento a caldo di Eric Schmidt, numero uno di Mountain View: “Non siamo preoccupati”. Traduzione: “Siamo preoccupati”. Google, infatti, possiede un asset di enorme valore: l'integrazione tra motore di ricerca, servizio e-mail, e altre applicazioni, le consente di conoscere i gusti e le preferenze degli utenti, e di profilare il messaggio pubblicitario appiccicato in coda alle e-mail che inviano e ricevono. Bene. Facebook possiede lo stesso asset, ma all'ennesima potenza: sa dove abitiamo, chi frequentiamo, quali siti leggiamo, dove andiamo, cosa pensiamo di Berlusconi e con quali giochi cazzeggiamo durante la giornata. Facebook ci conosce come le sue tasche, perché noi siamo, tecnicamente, nelle sue tasche. E' naturale che, volendosele riempire, parta da qui. Dalla consapevolezza che noi siamo quello che condividiamo. Lo ha detto anche Zuckerberg un mese fa: “Al momento non c'è ragione di avere grandi profitti”. Traduzione: “E' il momento di fare soldi a palate”.
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