“Che fai, ritorni?”. Sponsor finiani spiazzati da un video

Salvatore Merlo

La speranza è che la sua sia tutta tattica. Ma Gianfranco Fini con la mossa di un solo breve videomessaggio, giovedì scorso, ha messo a rischio un cospicuo tesoro di simpatie, più e meno interessate, anche di ambienti a lui storicamente lontani eppure da diverse settimane vicinissimi per la comune battaglia di liberazione nazionale da Silvio Berlusconi. Il Corriere della Sera ha paragonato il presidente della Camera all'ultimo Arafat.

    La speranza è che la sua sia tutta tattica. Ma Gianfranco Fini con la mossa di un solo breve videomessaggio, giovedì scorso, ha messo a rischio un cospicuo tesoro di simpatie, più e meno interessate, anche di ambienti a lui storicamente lontani eppure da diverse settimane vicinissimi per la comune battaglia di liberazione nazionale da Silvio Berlusconi. Il Corriere della Sera ha paragonato il presidente della Camera all'ultimo Arafat, che “quando parlava inglese rassicurava la comunità internazionale, ma quando parlava arabo rassicurava i palestinesi sulla sua determinazione a combattere il nemico sionista”. La richiesta di dimissioni del Cavaliere è stata disdetta che ancora era calda, tra l'imbarazzo e le smentite dei finiani più tosti, le conferme dei più moderati, lo stupore di alcuni militanti, il sollevarsi di qualche commento derisorio dalle parti del Pdl (e di qualche pernacchia assassina nei corridoi laterali della Camera).

    “Spero sia ancora la strategia del cerino, perché altrimenti c'è da rimanere allibiti”, dice Riccardo Barenghi, inviato della Stampa, ex direttore del manifesto, dunque uomo di sinistra e forse di transitiva simpatia finiana; ma soprattutto alter ego compassato di quella Jena satirica che ieri, sul quotidiano torinese, ha chiosato così: “Retromarcia e libertà”. Dice oggi Barenghi al Foglio: “E' probabile che questa indeterminatezza costerà cara. Avevo capito che cominciava a tirare un'aria diversa da quelle parti, ma quando ho visto il video di Fini sono rimasto completamente di sasso. Poi mi è venuto un po' da sorridere. Ma come, il giorno prima non aveva chiesto le dimissioni di Berlusconi?”.

    Il Partito democratico, il centrosinistra dei quotidiani, il terzismo corrierista, l'antiberlusconismo corsaro del Fatto, forse persino i nuovi amici dell'Udc, sono rimasti tutti perplessi di fronte all'appello di Gianfranco Fini indirizzato al senso di “responsabilità” del premier. Spiazzati almeno quanto il Pdl, in queste ore indeciso tra il prendere sul serio l'ultimissimo Fini – già si parla dell'ennesimo negoziato – e la tentazione liberatoria di ricoprirlo invece di lazzi e di assecondare l'invito di Umberto Bossi: “Andiamo al voto comunque”. Da una parte il moderatismo diplomatico dei Fabrizio Cicchitto, dei Gianni Letta, degli Angelino Alfano; dall'altra parte la baionetta innestata di Daniela Santanchè, gli sberleffi di Vittorio Feltri sul Giornale e la diffidenza istintiva dell'inquilino di Palazzo Grazioli.

    “Sospendo il giudizio definitivo su Fini”, sorride il direttore del Fatto, Antonio Padellaro. “Certo è che era partito benissimo, con quell'indice sollevato e la frase ‘che fai mi cacci?'. Poi forse si è un po' perso lungo la strada”. Come Repubblica, ma con una franchezza che il giornalone della sinistra non può permettersi sino in fondo, il Fatto quotidiano ha manifestato benevolenza nei confronti del presidente della Camera. “Non che avessimo mai dimenticato chi fosse Fini e cosa avesse rappresentato negli ultimi quindici anni a fianco del Cavaliere”, dice Padellaro. “Ma le sue sortite di Mirabello e di Bastia Umbra sono state uno squarcio di verità nel cielo di carta della politica italiana”. Fini il berlusconicida? Possibile, davvero? Il dubbio rimane, il giudizio è sospeso. “Ha dettato dei bei titoli, ora però deve riempirli di contenuti”. Come Barenghi, anche Padellaro spera che la retromarcia finiana sia solo apparente e, in quanto tale, “un'opzione sommamente tattica, la riapertura del gioco del cerino provocata dalle mosse del Quirinale, che ha esteso i tempi della crisi. Vengo dalla Prima Repubblica, ho speso una vita a interpretare i comunicati della Democrazia cristiana. Anche questo video di Fini si presta a una doppia, possibile, interpretazione”. Chissà.

    L'ambiguità del messaggio, l'indeterminatezza personale, il dubbio degli osservatori anche consentanei, tutti elementi che sembrano incartare il presidente della Camera e diventare la cifra inafferrabile del suo posizionamento politico. “O forse c'è un profondo malinteso?”, si chiede Barenghi. “E' stato un errore puntare così tanto su Fini da parte della sinistra? Non è stato certo un segnale di forza aver assistito al coagularsi di tante speranze intorno a un uomo che di sinistra non è mai stato. Lo si voleva usare come cavallo di Troia, lo si può ancora usare come cavallo di Troia? Non so. La sinistra vaga perduta nel vuoto, e lui, Fini, neanche lui sa bene dove e come collocarsi. Sta un po' dappertutto, flirta con Casini, si fa corteggiare da Rosy Bindi.

    Manovre che lo rafforzano all'interno del Palazzo, in questa fase, ma che forse poi non pagheranno al momento della verità: quando dovrà misurarsi, prima o poi, con il consenso vero, quello delle urne”. La forma delle riflessioni di Barenghi però aderisce al soggetto (Fini), e dunque si fa un po' amletica: “La sua indeterminatezza, da un certo punto di vista, potrebbe anche rivelarsi la sua forza. Fini prende un po' di cose dalla sinistra, un po' dalla destra, e apparecchia una tavola post ideologica che potrebbe anche risultare gradita a più di un commensale”. Gli ultimi sondaggi danno Fli a un lusinghiero 8 per cento. Ma i risultati, in realtà, variano molto a seconda dell'istituto e del committente. Resta l'immagine di un leader che non può andare a sinistra, probabilmente non può tornare nel centrodestra e ha più di qualche problema nello stare al centro, con l'Udc, dove non piace alle gerarchie vaticane e a parte dell'elettorato cattolico. Padellaro ha un'idea, forse più utile a liberarsi da Berlusconi che a salvare Fini dall'autoaffondamento: “Casini, Fini, il Pd, Vendola, Di Pietro, tutti insieme, con un programma minimale, smilzo. Obiettivo: sconfiggere Berlusconi. Perché, sia chiaro, se vince anche stavolta, ‘la terza volta', il Cavaliere non farà prigionieri”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.