La scrittrice libanese che sveste i corpi per liberare le donne arabe

Giulia Pompili

“Il marchese De Sade mi ha preso per le spalle e mi ha detto: ‘L'immaginazione è il tuo regno. Nulla è impossibile'”. E' un passo di “Ho ucciso Sherazade. Confessioni di una donna araba arrabbiata”, il libro di Joumana Haddad che uscirà a gennaio in Italia per Mondadori. Dopo un'infanzia passata nel Libano in guerra, in una famiglia cattolica e conservatrice, oggi la Haddad è diventata scrittrice, lavora al quotidiano arabo An Nahar ed è la mente della rivista Jasad (in arabo significa “corpo”).

    “Il marchese De Sade mi ha preso per le spalle e mi ha detto: ‘L'immaginazione è il tuo regno. Nulla è impossibile'”. E' un passo di “Ho ucciso Sherazade. Confessioni di una donna araba arrabbiata”, il libro di Joumana Haddad che uscirà a gennaio in Italia per Mondadori. Incontriamo la Haddad a Roma durante la Giornata delle Letterature Mediterranee nell'ambito della XVI edizione del MedFilm festival di Roma. Dopo un'infanzia passata nel Libano in guerra, in una famiglia cattolica e conservatrice, oggi Joumana è diventata scrittrice, lavora al quotidiano arabo An Nahar ed è la mente della rivista Jasad (in arabo significa “corpo”). Jasad mette in discussione tutti i tabù sulla sessualità tipici della cultura araba e “indaga intellettualmente nella coscienza del corpo”, come dice la Haddad. “Le vendite di Jasad sono in aumento – racconta al Foglio la scrittrice – anche chi rifiutava l'idea di una rivista erotica è stato costretto ad accettarla come una realtà. Molta gente sperava che mi sarei fermata al primo numero: oggi stiamo per entrare nel terzo anno di pubblicazioni”.

    Nel manifesto di Jasad, scritto dalla Haddad dopo le minacce anonime ricevute quando ha cominciato il progetto, si dice che la rivista non ha scopi educativi né pornografici, ma è un “serio progetto culturale, intellettuale, letterario”. La fondatrice non ha voluto aggirare la censura pubblicando on line perché “anche sfogliare la carta fa parte dei piaceri sensoriali del corpo”. Le vendite del giornale provengono soprattutto dalle edicole libanesi, “ma il numero più alto di abbonamenti è in Arabia Saudita, dove però viene consegnato in una busta scura. Il prossimo numero sarà dedicato al corpo della donna incinta, al suo modo di viverlo nella sessualità”, spiega la Haddad.

    Per descrivere il nesso fra la censura islamica
    e la sessualità, la scrittrice cita un vecchio proverbio libanese: “Desiderare qualcosa e sputarci dentro”. Una contraddizione dalla quale si è emancipata attraverso le letture (De Sade, Anaïs Nin e Nabokov tra tutti) e l'immaginazione: “Le mie ambizioni hanno rafforzato la mia identità femminile. Non è vero che le donne sono vittime, che non hanno capacità, e che questa regola è un dogma. Io non parlo mai di femminismo, ma di femminilità: una visione egualitaria del rapporto fra uomo e donna, una polarizzazione che si costruisce nel rispetto. Le donne non devono comportarsi come gli uomini per dimostrare la loro forza. Ecco perché le quote rosa sono una discriminazione positiva che non mi convince affatto”. La fondatrice di Jasad descrive il suo modello di femminilità come “la vetrina della boutique di Sonia Rykiel nel quartiere St. Germain a Parigi”: abiti eleganti e seducenti accanto a una selezione di libri di intellettuali, poeti e filosofi.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.