Wikileaks, tre passi nel delirio

Michele Arnese

Effetto Wikileaks anche in Italia. C'è molta apprensione per la divulgazione di 2,7 milioni di file di documenti del dipartimento di stato americano nei palazzi della politica e dell'economia del nostro paese. E' stato il quotidiano il Tempo diretto da Mario Sechi due giorni fa a preannunciare quella che si profila come la maggiore fuga di notizie riservate della storia. Le preoccupazioni per l'immagine del nostro paese sono solo in parte mitigate dai riflessi internazionali, e non solo domestici, del colpaccio di Wikileaks.

Leggi La trasparenza della politica è un'utopia regressiva ad altissimo costo

    Effetto Wikileaks anche in Italia. C'è molta apprensione per la divulgazione di 2,7 milioni di file di documenti del dipartimento di stato americano nei palazzi della politica e dell'economia del nostro paese. E' stato il quotidiano il Tempo diretto da Mario Sechi due giorni fa a preannunciare quella che si profila come la maggiore fuga di notizie riservate della storia. Le preoccupazioni per l'immagine del nostro paese sono solo in parte mitigate dai riflessi internazionali, e non solo domestici, del colpaccio di Wikileaks. Ma a Roma questo caso si aggiunge ad altri episodi che hanno indotto nel Consiglio dei ministri di ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a parlare di una convergenza di attacchi all'Italia. “Non si tratta di un complotto – ha precisato il capo della Farnesina – ma ci sono elementi preoccupanti”.

    Le indagini e le perquisizioni ieri su Finmeccanica per l'inchiesta che riguarda le commesse dell'Enav (Ente nazionale per l'assistenza al volo), innanzitutto. Ma pure “la diffusione ripetuta di immagini sui rifiuti di Napoli” su Bbc, Cnn e Al Jazeera danno un quadro fosco del paese. “Non c'è un unico burattinaio ma una combinazione il cui risultato è dannoso”. Bill Burns, deputy di Hillary Clinton, parlando al telefono con Frattini, ha detto ieri che i documenti sull'Italia coprono il periodo che va dal 2006 al maggio-giugno 2009: quindi due anni del governo Prodi con Massimo D'Alema agli Esteri e una parte del governo Berlusconi. “L'imbarazzo degli Stati Uniti – dice al Foglio una fonte confidenziale del dipartimento di stato – è senz'altro causato dal fatto che l'immagine dell'Italia data dai diplomatici americani è quella di un alleato stabile ma di un paese inaffidabile, a vari livelli”.

    Frattini non è catastrofico: “Ho parlato con il dipartimento di stato e mi è stato anticipato che ci saranno documenti di scenario che riguardano anche l'Italia”, ha aggiunto. Sta di fatto che ora si teme che nelle e-mail ci siano anche i report che periodicamente l'ambasciata americana invia al dipartimento di stato. Report in cui sono menzionate informazioni e riflessioni di interlocutori stabili o occasionali dell'ambasciata, per lo più costituiti da politici, esponenti ministeriali, imprenditori e uomini della finanza. Il periodo copre quindi sia la gestione del repubblicano Ronald Spogli che l'inizio di quella del democratico David Thorne, e l'intervallo vacante.

    Ieri i dirigenti dei servizi segreti italiani sono stati tempestati di telefonate proprio dalle fonti dell'ambasciata per il timore – ritenuto verosimile – che nei rapporti in possesso di Wikileaks siano contenuti anche nomi e cognomi di politici, manager e industriali. I leader politici più citati nei rapporti sono Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Giuliano Amato. Negli anni tra Italia e America non sono mancate le frizioni. Nei report le questioni militari non sono toccate a fondo, Pentagono e intelligence sono esclusi dalle rivelazioni, mentre sono affrontate analisi e scenari economici.

    Durante il governo Prodi, nella primavera del 2007, ad agitare gli umori della diplomazia americana e l'ambasciata di via Veneto è stata in particolare la fallita acquisizione di Telecom Italia da parte di gruppi finanziari e industriali  Usa e alleati. L'ostilità dell'esecutivo prodiano – tanto che il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, espresse “grandissima preoccupazione” – indusse di fatto al ritiro dell'offerta pubblica di acquisto dell'ex monopolista italiano. Un episodio che corroborò il giudizio di Washington sul quadro regolamentare e giuridico, giudicato incerto e anti business. In altri termini, chiuso a investimenti stranieri. D'altronde si ricordano ancora in questo senso le parole di Spogli sulla scarsa apertura del mercato italiano alla finanza internazionale. Ad allarmare costantemente gli osservatori americani – a prescindere dalla natura politica e dalla composizione degli esecutivi – è stato anche il grado di scarsa legalità e certezza del diritto negli affari.

    Di diversa natura invece i rilievi specifici espressi sul governo del Cav. Più che le relazioni strette con la Libia di Muhammar Gheddafi, e i rapporti con il Venezuela di Hugo Chávez, sono stati i rapporti considerati troppo stretti con la Russia di Vladimir Putin a preoccupare Washington. In particolare per l'alleanza Eni-Gazprom e per il progetto Southstream che si contrappone al gasdotto Nabucco che ha l'imprimatur dell'Unione europea e degli Stati Uniti. Qualche sorpresa potrebbe arrivare dai giudizi su Gianfranco Fini, che sarebbe considerato ininfluente, non decisivo: la figura del presidente della Camera è ancora un mistero per gli americani.

    Leggi La trasparenza della politica è un'utopia regressiva ad altissimo costo